Traduciamo di seguito in italiano e qui in francese il documento del collettivo NiUnaMenos che convoca un’azione del movimento femminista argentino di fronte alla sede della Banca Centrale, a Buenos Aires. L’azione si terrà il 2 giugno, il giorno prima della nuova grande mobilitazione femminista convocata dall’assemblea di NiUnaMenos, la manifestazione 3J [qui la piattaforma della manifestazione: https://www.facebook.com/notes/ni-una-menos/ni-una-menos-basta-de-violencia-machista-y-de-violencia-estatal-volvemos-a-salir/646077945583391/ ]. Il testo e l’azione ci sembrano particolarmente importanti, per la capacità di sviluppare e articolare in modo nuovo e concreto la pratica dello sciopero, che ha caratterizzato le mobilitazioni femministe degli ultimi mesi in Argentina, così come l’8 marzo 2017 in Italia e in quasi 60 paesi nel mondo (EN)
#DesendeudadasNosQueremos (Disindebitate ci vogliamo)
Perché la Banca Centrale?
Il 10 maggio, mentre insieme stavamo componendo un corpo collettivo in Plaza de Mayo per affermare il nostro contropotere di fronte al tentativo di garantire l’impunità per i crimini del terrorismo di Stato, il governo di Macri – della “Alianza Cambiemos” – metteva in discussione la vita delle generazioni future contraendo un nuovo debito miliardario. È la stessa cosa che pensò di potersi permettere l’ultima dittatura civico-militare, con il sangue, con la tortura, con i sequestri, con le sparizioni, con lo sterminio e con l’appropriazione di bambini e bambine. I genocidi e i loro complici da una parte mettevano a tacere le voci dissidenti; dall’altra, usurpando il governo, contraevano debiti, confiscavano la forza lavoro e le forze produttive per metterle al servizio del capitale finanziario.
E nel momento stesso in cui denunciamo l’impunità del genocidio che questo governo cerca di assicurare, tornano a indebitarci? Questa simultaneità di fatti ci obbliga a gridare: il debito è un’altra forma di violenza che pone in pericolo le nostre vite.
Da quando è stato nominato il governo della “Alianza cambiemos”, il paese è entrato in un nuovo ciclo di indebitamento, per una cifra di 77 miliardi di dollari. Si calcola che questo gigantesco indebitamento arriverà al 60% del PIL alla fine del 2017.
Noi donne sappiamo, lo impariamo quotidinamente, che cosa significa essere indebitate. Sappiamo che i debiti non ci permettono di dire “no” quanto vogliamo dire “no”. E il debito pubblico regolarmente scarica nuove forme di assoggettamento su di noi. E sull* nostr* figli*. E sull* nostr* nipoti. Ci espone a un’intensificazione dei livelli di precarizzazione e a ulteriori violenze.
Per contrarre debiti, lo Stato si impegna a varare nuovi piani di flessibilizzazione del lavoro, di riduzione della spesa pubblica che colpiscono in modo differenziale le donne. Ma al tempo stesso, che lo vogliamo o meno, siamo utenti del sistema finanziario: negli ultimi anni siamo state “bancarizzate” in modo compulsivo, al punto che i sussidi sociali costituiscono ad oggi entrate per il sistema finanziario. Come responsabili di nuclei di convivenza, occupiamo una posizione centrale nell’organizzazione e nell’autogestione di reti di cooperazione. Le multinazionali finanziarie sfruttano queste economie comunitarie, riscuotendo commissioni sui sussidi e sui salari e applicando tassi di interesse esorbitanti per prestiti, carte di credito e micro-credito.
Eppure per festeggiare un compleanno usiamo la carta di credito, per costruire una stanza ricorriamo a un prestito, e con il micro-credito cerchiamo di avviare quelle attività che ci permettano di sopravvivere. E così passiamo le nostre notti facendo conti, cercando di farli tornare e vedendo che cosa ci rimane da spendere. Questi conti a cui noi donne diamo corpo di giorno in giorno, facendo giochi di prestigio per arrivare a fine mese, diventano qualcosa di astratto nelle politiche finanziarie.
Obbligate a pagare il debito dalla minaccia di perderlo interamente, come possiamo dire basta alla violenza machista, quando ogni squilibrio della fragile struttura economica in cui viviamo ci pone di fronte all’incertezza e alla precarietà più assolute? Se scappiamo dalla violenza domestica per sopravvivere, come paghiamo i conti del giorno dopo?
La finanza, attraverso i debiti, costituisce una forma di sfruttamento diretto della forza lavoro, della potenza vitale e della capacità di organizzazione delle donne nelle loro case, nei loro quartieri, nei territori. La violenza machista è resa ancora più forte dalla femminilizzazione della povertà e dalla mancanza di autonomia economica determinata dall’indebitamento.
Il movimento delle donne si è consolidato come un attore sociale dinamico e trasversale, capace di mettere al centro della sua azione le diverse forme di sfruttamento economico. Abbiamo smesso di essere vittime proprio perché siamo in grado di rendere comprensibili le forme in cui ci sfruttano e di agire collettivamente contro lo spossessamento.
Nei due Scioperi delle Donne che abbiamo realizzato in meno di un anno, coordinandoci con sindacaliste donne, siamo state capaci di mettere in agenda e di articolare in una piattaforma comune le rivendicazioni del lavoro formale, quelle delle disoccupate e quelle delle “economie popolari”, tenendo insieme la storica rivendicazione di riconoscimento delle attività non retribuite che noi donne svolgiamo da sempre, la politicizzazione della cura unitamente al riconoscimento del lavoro auto-gestito.
In questo quadro, crediamo sia necessario continuare a dar conto delle nuove forme di sfruttamento che impoveriscono le nostre condizioni di vita e precarizzano le nostre esistenze: è questa la cornice in cui è raddoppiato il numero dei femminicidi. Sono cifre in stretta relazione.
Per dare corpo a questo grido, proponiamo di realizzare un’azione di fronte alla Banca Centrale, con l’obiettivo di rendere pubblico il condizionamento delle nostre vite determinato dall’indebitamento, e contemporaneamente denunciare le politiche del governo di “Alianza Cambiemos” in ambito finanziario, in evidente sodalizio con il capitale finanziario. Queste rivendicazioni si articolano con quelle relative alle condizioni di lavoro della lavoratrici bancarie. Questa alleanza è un punto essenziale: unendoci tra lavoratrici e utenti del sistema bancario mettiamo in gioco quel corpo che il denaro pretende di non avere.
Chiuderemo simbolicamente per alcuni minuti l’ingresso della Banca Centrale con uno striscione su cui sarà scritto “DesendeudadasNosQueremos”. Al contempo distribuiremo volantini di fronte al portone, con l’obiettivo di rendere visibili le conseguenze di queste politiche finanziarie. Il giorno dopo, durante la manifestazione 3J, proietteremo su edifici pubblici di Plaza de Mayo le cifre aggiornate del debito.