All’indomani della formazione del governo Lega-M5S, segnaliamo due contributi apparsi nei giorni precedenti su Dinamopress ed Effimera, al cui interno ci sono già utili indicazioni di lettura e critica della fase.
L’azzardo del Presidente e la spirale sovranista
di DINAMOpress
Chissà se Mattarella, mentre scriveva il suo discorso, ha recitato a mente il monologo sul potere che Sorrentino ha rappresentato nel film Il Divo. Quello che è certo, è che gli effetti del suo atto e del suo discorso sono, allo stato attuale, incalcolabili. Ed è sugli effetti che bisognerebbe concentrarsi.
Il dibattito scaturito attorno all’interpretazione delle prerogative costituzionali del presidente e sulla facoltà di porre il veto su una nomina di un ministro, rimane massimamente aperto: tesi opposte sono sostenute da autorevoli costituzionalisti. Pur rilevante dal punto di vista procedurale, questo dibattito tuttavia rischia di non cogliere il punto. E serve anche a poco annoverare i “precedenti” della storia repubblicana: per la fase politica entro cui è collocato, per il discorso che lo ha sostenuto e nella crisi istituzionale entro cui si inserisce, il rifiuto della nomina del ministro dell’Economia Paolo Savona da parte di Sergio Mattarella assume dei tratti assolutamente inediti e apre a scenari sconosciuti.
È a dir poco spiazzante leggere i commenti entusiastici di coloro che da posizioni radicali e democratiche vedono nel gesto di Sergio Matterella un coraggioso argine alla svolta reazionaria e autoritaria che il promesso governo “giallo-verde” avrebbe impresso sulla società italiana. E questo non certo perché tale pericolo non vi fosse o non ci sia – tutt’altro – quanto perché le motivazioni che hanno portato Conte a rimettere l’incarico di premier non riguardano affatto i contenuti anti-democratici e autoritari presenti nel “contratto di governo”: la rottura non si consuma sulla matrice regressiva e dunque incostituzionale della flat tax, non sulle norme apertamente discriminatorie nei confronti dei migranti, non sull’avvitamento autoritario contenuto nelle proposte circa la giustizia e i poteri di polizia. Le motivazioni di Mattarella sono chiare e inequivocabili: l’Italia non può avere un Ministro dell’Economia che pensa, o ha anche solo pensato, l’uscita dall’euro come una possibilità. «La designazione del ministro dell’Economia costituisce sempre un messaggio immediato, di fiducia o di allarme, per gli operatori economici e finanziari». E l’Italia, un paese con un debito pubblico elevatissimo, non può permettersi di creare dei dubbi negli investitori. E aggiunge Mattarella, rievocando gli spettri della crisi del ’92: «Occorre fare attenzione anche al pericolo di forti aumenti degli interessi per i mutui, e per i finanziamenti alle aziende».
Del resto, l’”ordine del discorso” presidenziale si inserisce coerentemente in una campagna mediatica sostenuta dalle forze della sinistra istituzionale che si sono concentrate esclusivamente sugli elementi di incoerenza, incompetenza e incompatibilità finanziaria contenuti dalla sintesi programmatica della Lega e dei 5 Stelle. [continua qui]
Più dell’elettorato potè il mercato
di Gianni Giovannelli
In queste ore lo scenario politico va mutando. Non solo l’asse Lega 5 Stelle si scontra con le direttive emanate da BCE e Commissione Europea ma sembra profilarsi un aperto conflitto, le cui conseguenze difficilmente possono essere previste in dettaglio.
Lo schema sperimentato a suo tempo in Grecia appare sempre più come una sorta di laboratorio; la Lega e il Movimento 5 Stelle debbono “farsi Tsipras” o, in alternativa, saranno chiamati a battaglia, senza esclusione di colpi.
Torniamo alla lettera segreta che Draghi e Trichet inviarono al governo italiano (altra di contenuto similare fu recapitata a Zapatero). Trovate il testo in rete [qui]; nel settembre 2011 fu il Corriere della sera a pubblicarla [qui]. In entrambi i casi cadde il governo: quello spagnolo sostituito da un governo di destra e quello italiano sostituito da un governo di sinistra.
Le elezioni italiane del 2013 segnarono la secca sconfitta del partito democratico e la legge elettorale fu giudicata illegittima dalla Corte Costituzionale, di cui era componente Mattarella. Il parlamento illegittimo elesse poi Mattarella quale suo presidente.
Nella legislatura 2013-2018 si è consumato un processo di sussunzione più vicina ormai al dispotismo che all’autoritarismo, con l’abrogazione delle leggi di tutela dei lavoratori, votata sotto la presidenza delle Camere affidata a Grasso e Boldrini (poi candidati alle elezioni che hanno visto l’inevitabile disfatta di LeU); l’attacco spietato alle condizioni dei lavoratori e dei precari e la difesa altrettanto spietata del potere finanziario sono stati appoggiati dalle rappresentanze storiche di sinistra, ascari imperdonabili inquadrati nelle truppe avversarie e licenziati, come meritavano, dopo l’uso.
Il referendum costituzionale ha mostrato il divario fra rappresentanti e rappresentati. Eppure, senza battere ciglio, sono andati avanti per la via intrapresa, affidando le posizioni di comando ai funzionari e alle funzionarie della finanza. Il CNEL (Consiglio Nazionale Economia e Lavoro), sopravvissuto al referendum, ha estromesso (per decisione della Presidenza del Consiglio e di Mattarella) tutti i sindacati di base che prima ne facevano parte e affidato il comando a chi voleva eliminare l’organismo. Non è un passaggio decisivo; è il segno di un metodo, la spia di un programma.
Per la prima volta il rifiuto di nomina del ministro (in questo caso il ministro Savona) viene giustificato a fronte delle possibili reazioni delle agenzie di rating, della banca centrale europea e di meno identificabili mercati. Anche la guerra rimane ormai ordinaria amministrazione.
La discussione molto coltivata (purtroppo) circa la reale natura del Movimento 5 stelle (se sia populista o meno, se sia di destra o se sia costola della sinistra) ricorda quella sulla peste nelle pagine di Manzoni. Il problema non sta in Salvini o in Di Maio; sta nelle banche e in Mattarella. [continua qui]