Di SIMONE PIERANNI.
La scrittrice inglese Ali Smith ha ambientato il suo ultimo libro Autunno durante i giorni della campagna elettorale per la Brexit. Erroneamente considerato un romanzo «post Brexit», Autunno in realtà pone l’ora violetta del cambiamento repentino e del senso di netta polarizzazione della società britannica, come sfondo alla storia di un’amicizia tra una giovane donna e un uomo anziano. In uno dei richiami leggeri e quasi secondari rispetto alla trama portante, la protagonista controlla il proprio smartphone per capire cosa sia successo «di epocale nell’ultima mezz’ora nel mondo». Fotografare il presente è decisamente complicato, si tratta di un tentativo che rischia di produrre un risultato «mosso», tanto più in questi tempi contrassegnati da una rapidità e un flusso di notizie ininterrotte sui social.
MA LE OMBRE di quanto rimane sfocato diventano dirimenti per provare a raccontare quanto sta avvenendo sotto i nostri occhi. Le vicende dei gilet gialli rappresentano un banco di prova arduo, complesso, immerso nella nostra contemporaneità che sovrappone analisi a umori da social, contesti necessari al rumore di fondo degli instant post, diffidenza o entusiasmo. Eppure quanto sta accadendo in Francia ha in sé alcune caratteristiche che permettono di inserire il «contropotere» dei gilet gialli, all’interno dell’attuale «schema» neoliberale a trazione sovranista, scorgendone importanti schegge non più di resistenza, quanto di rilancio di immaginari moltitudinari.
Gilets Jaunes, libro prodotto dal Collettivo Euronomade (manifestolibri, pp. 152, euro 10) pur cimentandosi nell’analisi di eventi accaduti «nell’ultima mezz’ora nel mondo» è in grado di offrire un contesto e diverse analisi di quanto sta succedendo in Francia. Non ci sono risposte facili, naturalmente: il volume evidenzia alcune «tendenze», provando a inoltrarsi in diverse specificità di quanto sta accadendo: il contesto, quali sono i metodi usati dai gilet gialli e soprattutto chi sono.
COME SPIEGA Marco Bascetta nel prologo, «nella storia di Francia c’è qualcosa come un gene «comunardo», un’aspirazione all’autogoverno, quasi un bisogno esistenziale che alimenta questo genere di esperienze collettive, che diffidano di ogni potere e si sottraggono, in conseguenza, anche ai tentativi delle formazioni nazionalpopuliste di cavalcarle e manipolarle». Detto che la Francia «è quello strano paese in cui niente esiste finché un giorno tutto esplode», il volume comincia a scavare in questa temporaneità rivoltosa: come ricordano Marco Assennato – citando Balibar e più in generale offrendo una panoramica di una discussione che in Francia è stata molto più «politica» di quanto accaduto in Italia – e Judith Revel, nonostante i gilet gialli non siano immuni da elementi populisti, è innegabile il loro ruolo fuori da ogni rivendicazione di tipo corporativo. Questo elemento, unito a quello organizzativo («rizomatico» verrebbe da dire) dei round points, offre altri spunti: l’aspetto organizzativo e le dinamiche scelte dai gilet gialli, ad esempio, come sottolinea Revel, dilaniano una grammatica che ben conosciamo: il blocco dei «nodi» può essere fatto da ben poche persone e permette di sottrarsi alla «totale inefficacia del conteggio». I round points, inoltre, come sottolinea Benedetto Vecchi, definiscono una conoscenza del «territorio» geografico fondamentale per comprendere la composizione di questo soggetto e alcune sue istanze.
Il volume, naturalmente, si addentra anche nel tentativo di comprendere la composizione dei gilet gialli, provando a rispondere alla domanda che fu immediata al loro apparire: chi diavolo sono? A questo proposito Antonio Negri – dopo aver ricordato il valore del termine fraternité in Francia, un elemento che non va sottovalutato – specifica che «doppio-potere o no, per ora comunque l’unica mediazione visibile tra potere statale e gilets jaunes è quella poliziesca, e cioè il braccio della repressione.
QUESTA FIGURA è inevitabile quando i gilets jaunes, come moltitudine, come classe sociale, si presentano e mostrano la crisi profonda dell’intermediazione Stato-società – un’intermediazione che non può più essere affidata alla rappresentanza politica». Siamo nel cuore della categoria del politico nell’analisi dei gilet gialli: sulla base delle rivendicazioni del movimento (elencato con molta precisione in più parti del volume) viene da chiedersi «chi sia il soggetto», partendo dalla composizione (lo fanno anche Clara Mogno e Michael Hardt in altri due capitoli del libro, completati poi da un finale tutto musicale di FantPrecario): donne e uomini in uguale proporzione, per lo più salariati, una minima parte di pensionati e lavoratori indipendenti e infine disoccupati (pochi). Ne consegue che il movimento è «essenzialmente per la valorizzazione del lavoro. Un movimento di rivendicazione salariale, sul terreno sociale». Ecco allora – ma è uno spunto da mettere a verifica – «da dove viene, per il governo, il pericolo di una “deriva radicale”. È la riappropriazione della lotta di classe che terrorizza il potere».
Questo articolo è stato pubblicato su il manifesto il 16 febbraio 2019.