Di CARLOTTA BENVEGNÙ, AMADINE CAILHOL e DAVID GABORIEAU

Per Carlotta Benvegnù e David Gaborieau, sociologi del lavoro rispettivamente all’Università Paris-XIII e a Paris-Est, i magazzini sono “l’estensione di un mondo industriale in forma logistica”. Descrivono un settore precario, composto da una grande massa di forza lavoro “che si esaurisce rapidamente” e che fatica a mobilitarsi.

Amadine Cailhol: La CGT di Geodis Gennevilliers segnala il moltiplicarsi degli infortuni sul lavoro. Che cosa rivela questo conflitto sul settore?

David Gaborieau: Nella logistica c’è un’alta frequenza di incidenti sul lavoro, simile, se non addirittura superiore, a quella nel settore edile. Le mansioni sono fisiche, con carichi fino alle 8-10 tonnellate al giorno. La lombalgia è la malattia più diffusa nel magazzino, ma anche i gomiti, le spalle, le ginocchia possono essere colpiti. I gesti ripetitivi causano anche disturbi muscoloscheletrici. Vi è un’usura accelerata sui corpi. Si verificano anche incidenti gravi, come le cadute, ma tendono a diminuire. Per quanto riguarda tutte queste altre patologie d’ipersollecitazione invece si ha un aumento.

Carlotta Benvegnù: I lavoratori della logistica dicono spesso: “Gli incidenti arrivano poco a poco”. Nel settore, i salari sono bassi, con una scarsa prospettiva di carriera. Per guadagnare un po’ di più, i lavoratori sono costretti ad aumentare la loro produttività, sperando di ottenere dei premi, o fanno degli straordinari e bruciano molto rapidamente la loro forza lavoro.

A.C.: In che modo la tecnologia digitale ha cambiato la vita quotidiana di questi lavoratori?

D.G.: A partire dagli anni 2000 c’è stata una razionalizzazione del settore, con l’utilizzo di pacchetti software gestionali, strumenti di controllo, scanner e comandi vocali. Questo ha aumentato il ritmo e l’individualizzazione del lavoro. Il carattere usurante del lavoro, lungi dall’essere scomparso, è cambiato.

C.B.: Le tecnologie hanno avuto un ruolo, ma sono state anche accompagnate da un cambiamento nell’organizzazione del lavoro, con l’emergere di nuove forme di taylorismo nel settore terziario. E la logistica non ha fatto eccezione.

A.C.: A luglio, uno sciopero internazionale ha colpito Amazon. Ma, a parte il gigante americano, sappiamo poco di quello che succede negli hangar della logistica…

D.G.: Amazon è l’albero che nasconde la foresta. La logistica è stata a lungo invisibilizzata, poi si è costruita un’immagine di modernità e tecnicità. Parallelamente, l’e-commerce è stato presentato come un’economia high-tech. Però ci si dimentica che si basa sullo sfruttamento di una grande forza lavoro: i “prigionieri della logistica”. Il settore ha 900.000 dipendenti, di cui più di 700.000 operai. Secondo l’Insee, oggi, il 50% della popolazione attiva lavora nel terziario. Lungi dall’essere scomparso, il mondo operaio non si vede.

C.B.: La narrazione della start-up nation, dell’economia dematerializzata, contribuisce a rendere invisibile la logistica. Questo impedisce di percepire la realtà di queste fabbriche di colli. E rende inoltre più difficili le rivendicazioni dei lavoratori rispetto alle loro condizioni di lavoro.

A.C.: Quali sono gli altri ostacoli all’azione collettiva?

C.B.: Il settore è frammentato ed è retto da diversi contratti collettivi. Questo ostacola la strutturazione sindacale. E poi, il lavoro interinale, crea una disparità di status, non aiuta. In Italia non ci sono lavoratori interinali nel settore. Le condizioni di lavoro più unificate possono aver favorito l’emergere di un movimento sociale, una decina di anni fa, con significativi periodi di sciopero.

D.G.: Anche la durezza delle condizioni di lavoro è un freno. Pochi dipendenti, precari, sono disposti a impegnarsi. Spesso la loro prima priorità è di lasciare il settore. In Francia, c’è stata una rinnovata mobilitazione dal 2016. Sono state costruite delle sezioni sindacali, in particolare in Amazon. Ma altrove, il livello rimane basso. Tuttavia, nella nostra economia di circolazione, questi lavoratori hanno un mezzo per esercitare pressioni. Perché non è più solo bloccando le fabbriche, ma è puntando sui flussi che possiamo paralizzare le economie occidentali.

(Traduzione di Clara Mogno)

Questo articolo è stato pubblicato su Libération il 31 luglio 2019.
Qui la versione in francese: Carlotta Benvegnù et David Gaborieau : «Le monde ouvrier s’est déplacé vers des angles morts» 

 

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