Riprendiamo qui quattro testi, di Maria Galindo, Marco Teruggi, Pablo Solón e Raul Zibechi – una rassegna di posizioni su quello che sta succedendo in Bolivia.

In Bolivia esiste solo il potere delle armi

Di MARCO TERUGGI

Il centro di La Paz si è trasformato in uno scenario di barricate, code nei pochi negozi che aprono, trasporti bloccati, vicini appostati negli incroci attraversati da fili spinati e lamiere si zinco. Vicino a Plaza Murillo, centro del potere politico, passano gruppi che indossano caschi, scudi, maschere antigas, bandiere boliviane, contingenti di polizia che che si appostano e che chiedono rinforzi alla Fuerza Armada Nacional (FAB).

È lunedì sera e vi è il timore che che la città di El Alto cada. Le scene viste durante il pomeriggio hanno ricordato a molti del centro e della zona di La Paz che metà del paese che ha votato per Evo Morales esiste e non starà a guardare.

Quello che si pensava succedesse a El Alto è successo, e in migliaia di comunità confinanti, per lo più della nazione Aymara, sono scese in strada per far fronte al colpo di Stato, per difendere il processo di cambiamento, e qualcosa di molto profondo: la bandiera whipala, che durante le ore dell’offensiva golpista è stata rimossa dalle istituzioni e bruciata in strada dai manifestanti di destra.

Quello che è successo non faceva parte del piano di coloro che guidano il colpo di stato che, in questo momento, presenta più elementi di confusione e violenza che di un progetto pianificato. Un elemento è chiaro: l’obiettivo principale era quello di rovesciare Evo Morales e perseguitarlo, come ha denunciato quando ha reso pubblico che un ufficiale della polizia nazionale boliviana (PNB) ha un mandato di arresto illegale contro di lui, si trova in un luogo sconosciuto.

La situazione di Morales era incerta ieri sera. Il cancelliere del Messico, Marcelo Ebrard, ha annunciato che l’ex presidente era su un aereo che lo avrebbe portato lì.

La sua sicurezza personale è motivo di grande preoccupazione in un contesto in cui la sua casa è stata assaltata da gruppi violenti e in cui non esiste un’autorità pubblica tra coloro che hanno compiuto il colpo di Stato. Lo Stato di diritto è stato violato e questo ha aperto le porte all’impunità assoluta a chi riesce ad esercitare il potere.

Durante la giornata, Morales ha inviato messaggi dal suo account Twitter per denunciare la repressione in El Alto che ha causato diverse vittime, tra cui quella di una ragazza, e per chiedere di non cadere in una guerra “tra fratelli”. La sera, prima di salire sull’aereo, twitta: “Sorelle e fratelli, parto per il Messico, grazie al distacco del governo di questo popolo fraterno che ci ha dato asilo per salvaguardare la nostra vita. Mi fa male lasciare il paese per motivi politici, ma sarò sempre in attesa. Presto tornerò con più forza ed energia”. La proposta di asilo in Messico sarà una possibile via d’uscita per il presidente rovesciato e in pericolo.

Senza governo

In Bolivia, il blocco del colpo di Stato non è ancora riuscito a formare un governo. Dopo le dimissioni di Evo Morales, il vicepresidente Alvaro García Linera, la presidente del Senato, il vicepresidente, dovrebbe sostenere il terzo fronte, Jeanine Añez, atterrata in Bolivia. Tuttavia, dovrebbe sostenerla con l’accordo del potere legislativo, dove in entrambe le camere è maggioritario il MAS, cioè il partito che è stato rimosso con la forza.

Non esiste quindi un governo golpista ad interim visibile dopo più di 24 ore da quando si è consumato il golpe. Esistono però dei poteri che si sono dispiegati in azioni repressive e persecutorie, con gli annunci nei social network di Fernando Camacho, volto visibile dell’ala civile del colpo di stato, le azioni della PNB e della FAB.

Quest’ultima ha emesso un comunicato lunedì notte attraverso la lettura del comandante generale Williams Kaliman: il FAB dispiegherà azioni per le strade per accompagnare il PNB. Non esiste un governo formale, ma c’è il potere delle armi.

Lo scenario non è quello previsto da coloro che hanno guidato il colpo di stato. La domanda è invece: avevano uno scenario organizzato che non fosse solamente rovesciare e perseguitare Morales e i leader del processo di cambiamento?

Il blocco golpista è eterogeneo, ci sono al suo interno settori civili, imprenditoriali, di polizia, militari, religiosi e internazionali. Quest’ultima dimensione è stata espressa nella complicità dell’ Organización de Estados Americanos (OEA) che non ha qualificato ciò che è accaduto come colpo di Stato, e nelle stesse dichiarazioni degli Stati Uniti, che hanno presentato il rovesciamento come un ritorno alla democrazia.

La congiuntura delle forze che hanno ottenuto il colpo di Stato sembra avere un obiettivo chiaro: guidare il processo di cambiamento, dai suoi funzionari fino ai leader politici. Ciò si è tradotto in persecuzioni, come dimostrano le domande di asilo nelle ambasciate, in particolare in quella del Messico.

Vi è quindi un’instabilità tra coloro che hanno guidato l’offensiva, così come una reazione che si mette in moto, non solo a El Alto – con un forte livello di radicalità –  ma in varie parti del paese.

Così, ad esempio, la Confederación Sindical Unica de Trabajadores Campesinos de Bolivia (Csutcb) ha annunciato blocchi in tutta la Bolivia sulle strade principali, “resistenza generale al colpo di Stato in tutto il paese”, così come l’espulsione dei leader che hanno preso parte al rovesciamento.

La situazione è più instabile della promessa venduta da Camacho e da coloro che hanno festeggiato la domenica pomeriggio e la notte. C’è un paese che hanno negato, disprezzato, nonostante i loro sforzi per mostrarsi democratici e inclusivi, e quel paese ha iniziato a muoversi, a sfidare, a confrontarsi con la restaurazione conservatrice che cerca vendetta.

Al momento non si da, in una maniera visibile, una direzione dei processi di resistenza. Ciò che è chiaro è che la decisione di chi conduce il colpo di Stato sarà quella di rispondere con la repressione su ogni scala possibile. Già lunedì notte si vedevano vedere i carri armati per le strade di La Paz e i vicini che celebravano il rovesciamento e il rogo delle whipala ora applaudono la militarizzazione.

Questo articolo è stato pubblicato su Página12 il 12 novembre 2019.


La notte dei cristalli

Di MARIA GALINDO

Bruciare la wiphala – la bandiera che ha rappresentato le popolazioni indigene in tutto il continente – in tutte le istituzioni pubbliche è un atto fascista, ma altrettanto fascista è ogni limitazione di idee, corpi e spazi.

Entrare nel Palazzo del Governo con una Bibbia e una lettera in mano per inginocchiarsi davanti alle telecamere senza mandato popolare di legittimità è un atto fascista e un colpo di stato.

Bruciare le case dei membri del governo di Evo Morales è fascismo.

Bruciare la casa del rettore dell’Università Pubblica, Waldo Albarracín, che è sempre stato un difensore dei diritti umani, è un atto fascista di intimidazione sociale contro chiunque osi prendere la parola, assumere una posizione dissidente contro Evo Morales o mettere in questione il broglio elettorale.

Questi sono alcuni degli esempi che stanno inondando gli schermi delle televisioni e dei telefoni cellulari in tutto il mondo.

Scrivo sotto una pioggia torrenziale in una notte che ho battezzato come la “Notte dei cristalli”, perché è destinata a seminare paura, ad aprire tutte le ferite di una società coloniale e razzista, misogina e omofoba. Il revanscismo è sceso in strada in cerca di sangue, in cerca di nemici.

Oggi in Bolivia la cosa più sovversiva è avere speranza, sono è l’umorismo e la disobbedienza, la cosa più sovversiva è non avere fazioni ed è su questo che scommettiamo ancora una volta.

Che cosa sta succedendo?

Non è facile spiegarlo perché questo conflitto non è ancora finito. È cresciuto trasformandosi per ore. Il conflitto ha svuotato gli occhi, ha paralizzato tre cuori e battuto innumerevoli gambe e teste fino a trasformare le strade della città di La Paz in una scena di guerra, che si è calmata per qualche ora con un ammutinamento generalizzato della polizia.

Evo ha denunciato alla comunità internazionale che si tratta di un colpo di stato promosso dalla CIA e dall’oligarchia fascista terra-tenente di Santa Cruz, e questo è in parte vero, ma è solo la metà del conflitto.

Il 20 ottobre siamo andati alle elezioni generali per votare con la dolce mitezza di queste terre, ma sia le urne che le schede elettorali erano bagnate e vuote. Erano prive di alternative reali e bagnate da un broglio la cui entità è già stata denunciata dalla commissione di osservazione elettorale dell’Organizzazione degli Stati Americani e dalla Commissione di osservazione elettorale dell’Unione Europea.

È per questo motivo che l’atto elettorale non ha rappresentato nient’altro che l’apertura di un conflitto latente nella società boliviana e nella regione. La profonda crisi della democrazia liberale rappresentativa e della forma “partito” come modo esclusivo e ufficiale di fare politica.

Falso conflitto tra sinistra e destra

Mi stanca ripetere ancora una volta che il Movimento per il Socialismo (MAS) sta presentando al mondo l’idea che quello che sta accadendo in Bolivia è un blocco popolare progressista contro una destra estrema e fondamentalista. Il governo di Evo Morales è stato per molti anni lo strumento per smantellare le organizzazioni popolari dividendole, trasformandole in dirigenze corrotte e clientelari, stringendo patti di potere parziali con i settori più conservatori della società, comprese le sette cristiane fondamentaliste alle quali ha dato la candidatura illegale fascista di un pastore evangelico coreano, approvata con il beneplacito del MAS.

Allo stesso tempo Evo Morales stava costruendo intorno alla sua figura un caudillismo (ndt: caudillo indica un leader politico-militare a capo di un regime autoritario)che ha portato l’intero paese e lo stesso progetto del MAS in un vicolo cieco.

È la figura unica trasformata in maniera delirante nel simbolo e nella concentrazione del potere insostituibile, nella figura che porta il mito del “presidente indigeno” il cui unico potere simbolico è il colore della pelle, perché porta avanti un governo abitato da una cerchia corrotta di intellettuali e dirigenti che lo venerano perché hanno bisogno di lui come maschera. Come Franz Fanon intitolò nel suo libro Pelle nera, maschere bianche. Evo è il caudillo e la maschera, niente di più. Tutto il suo contenuto popolare è meramente retorico e questo ha portato al fatto che oggi è responsabile di un progetto politico esaurito, vuoto e la cui unica possibilità di continuità è stata la distruzione di ogni forma di dissidenza, critica, dibattito, produzione culturale o economica. Il suo modello è neoliberista consumista, estrattivista, ecocida e clientelare.

È per questo motivo che fronte ai brogli elettorali è sorto rapidamente il ripudio concentrato in una generazione sotto i 25, giovanissima e urbana, che è stata la protagonista di questa resistenza di quasi 20 giorni.

La fascizzazione del processo: tra due caudillos deliranti

In questi giorni la parola democrazia è stata lentamente svuotata di contenuti e trasformata in uno slogan di gruppi fascisti e fondamentalisti.

Evo Morales ha deciso di esaltare le manifestazioni razziste per vittimizzarsi e usarle in modo perverso, al punto che gli atti di razzismo commessi nello sciopero sono entrati a far parte della propaganda governativa amplificandone il discorso e trasformando il razzismo in un atto efficace per il governo stesso. Poiché il movimento critico era ed è esclusivamente urbano, il governo ha anche esaltato le contraddizioni urbano-rurali, come se il conflitto fosse tra l’uno e l’altro. L’intenzione era di usare entrambe le contraddizioni per squalificare le critiche e guadagnare tempo. Il costo sociale non era importante per loro.

Al caudillismo evista, Santa Cruz ha opposto un altro caudillo apparentemente antagonista, ma allo stesso tempo complementare. Un uomo bianco, imprenditore, presidente di un ente “civico”, che ha usato il fanatismo religioso e un discorso apertamente misogino e che, tra le righe, promette agli uomini della società il recupero del controllo sulle donne. Al punto che il suo braccio destro, avvocato e consigliere, è il difensore di quello che in Bolivia è stato chiamato la Manada boliviana, che ha stuprato una sua amica una notte in discoteca. Il fondamentalismo religioso del civico di Santa Cruz chiamato Camacho ha venduto l’idea del recupero della famiglia, della nazione e della persecuzione del “male”, sfruttando il suo razzismo come interesse nazionale e la sua misoginia come interesse per la famiglia. L’apparente antagonismo ha esacerbato gli animi, polarizzato il conflitto e sostituito gli argomenti per la democrazia, trasformandoli in palcoscenici di aumento del machismo. I giovan- hanno cominciato a sfilare con gli scudi, e quando la polizia si è ammutinata, si è trasformata immediatamente da forza repressiva in eroi armati e protettori del conflitto.

Oggi, con molti milioni di dollari di mezzo, si sta garantendo la lealtà dell’esercito per uno dei due fronti in conflitto. Evo Morales o Camacho.

In entrambi i casi la risultante è conservatrice. La fascizzazione del processo ha messo a tacere la società civile e ha concentrato la decisione nei leader più sanguinari di Morales o Camacho.

Parlamento delle donne

Quello che vi dico è accaduto in poche ore in un processo confuso di una guerra intensa di fake news, che ha esacerbato tutte le paure: paura di parlare, paura di prendere posizione, paura di non avere uno schieramento.

La capacità della popolazione di elaborare ciò che sta accadendo è stata mutilata. Non ci sono spazi di analisi o di discussione. La discussione sull’esito è di nuovo lontana dalla gente e molto confusa. Nessuno che non abbia un’arma sembra avere il diritto di parlare.

Ecco perché, nell’ambito di una serie infinita di azioni intraprese da Mujeres Creando in questi giorni, abbiamo deciso di aprire uno spazio deliberativo femminile, chiamandolo “Parliamento de las mujeres”, dove possiamo dare voce alle nostre speranze, dove si instaura un clima di dialogo e di discussione, che è quello che questa fascizzazione ci sta togliendo.

Farlo in un clima che è diventato la lotta tra due colpi di Stato, tra due fascismi, rappresenta uno sforzo di tornare al dibattito originario sulla democrazia. Dobbiamo pensare, discutere e fornire soluzioni concrete: questo è il compito del Parlamento delle donne, che riprende, ma in condizioni di emergenza, la proposta nata nella Grecia di Tsipras e presentata da Paul Preciado.

Contro la privatizzazione della politica: la crisi regionale

Sono convinta che i conflitti in Bolivia, Perù, Ecuador e Cile mostrano, con sfaccettature e contesti diversi, la crisi della democrazia liberale rappresentativa e la privatizzazione della politica.

L’intero processo neoliberale aveva ridotto il contenuto della democrazia a una sorta di atto burocratico e a una sorta di apparato elettorale, e niente di più. Questo processo ha fatto sì che le elezioni si siano convertite in atti legittimanti dell’esclusione massiva degli interessi della società, degli interessi di settori specifici, delle complesse voci che compongono una società in spettatori legalmente esclus- dal diritto di parlare, pensare e decidere.

Questa è quella che io chiamo la privatizzazione della politica. Evo Morales, nelle sue dimissioni, ha affermato di aver nazionalizzato le risorse naturali in Bolivia, riferendosi allo sfruttamento del gas naturale. Anche se questa nazionalizzazione è parziale, una cosa che ha fatto è di privatizzare la politica al punto che se non sei del partito non hai il diritto di dire nulla, ma nemmeno se sei del partito, perché le decisioni sono state, e sono, gestite da una leadership chiusa. Questo ha creato intorno a sé un gigantesco vuoto democratico, che è lo spazio che il fascismo ha utilizzato per installare un contro-modello caudillista, che pone le frustrazioni sul piano di una polarizzazione insormontabile che può essere risolta solo attraverso l’uso del terrore, della menzogna e della logica del più forte.

Questa stessa crisi in Cile, Perù o Ecuador ha caratteristiche diverse, ma fondamentalmente espelle la società e le lotte sociali al di fuori della “politica” e ci allontana dall’idea che le soluzioni sono “politiche”, deliberative o basate su accordi. Si installa una fascizzazione generalizzata, il terrore, per convertire le soluzioni legittime e le questioni sociali in scenari di confronto violento di forze. Questa è quella che io chiamo la fase fascista del neoliberismo.

La religione quindi, in tutti i casi, acquista una preponderanza perché negando alla politica lo spazio del discorso, si aprono i fanatismi alimentati da visioni “religiose”, la cattura delle libertà sessuali e delle libertà delle donne è la ricompensa che questi processi promettono.

L’invisibile

Lo scenario si sta muovendo inoltre anche con forze invisibili e non esplicictate che mettono soldi, armi e progettano strategicamente scenari di dolore e storie. Dietro di loro ci sono gli interessi dei progetti cinesi, russi e americani non sulla Bolivia, ma sull’intera regione, ed anche anche il conflitto per il giacimento di litio più grande del mondo, che è inutilizzato e non sfruttato nelle saline di Uyuni a Potosí.

In Bolivia si sta giocando il controllo su Bolivia, Venezuela, Cuba e Nicaragua, come minimo. Così le proteste sono diventate lo scenario manipolato delle forze che ci stanno usando.

Esiti invece di soluzioni

Nel caso boliviano non sembra esserci soluzione: la gente è costretta ad assumere una parte secondo processi di identità fanatici, secondo storie che non hanno nulla a che fare con i fatti, secondo storie messianiche e caudilliste.

Ecco perché stiamo concentrando i nostri sforzi sulla discussione più elementare, non spendendo le nostre energie per convincere nessuno degli anelli fascisti che costruiscono le loro rispettive storie, ma affermando gli spazi sociali che abbiamo aperto per decenni.

Riprendere lo spazio del nostro corpo. Ecco perché la parola democrazia, che suscita illusioni, può essere un richiamo a preservare ciò che abbiamo, il posto che occupiamo, le libertà che di fatto e senza alcun permesso esercitiamo.

Non solo dall’attivazione delle idee, ma anche dall’attivazione degli affetti, delle emozioni. Ecco perché l’umorismo, per quanto ironico possa sembrare, l’umorismo sociale, la capacità di deridere storie fasciste, è emerso spontaneamente e con grande forza da ogni angolo.

Se hanno trasformato le nostre richieste in una domanda “qual è il più macho, qual è il più forte?” chiediamo un ring in cui tutti gli attori in conflitto siano coinvolti in un duello a morte tra loro, e che lascino in pace noi.

Non siamo carne da macello.

Questo articolo è stato pubblicato in lavaca  l’11 novembre 2019.


Che succede in Bolivia? C’è stato un colpo di Stato?

Di PABLO SOLÓN

1) Evo Morales avrebbe terminato il suo terzo mandato il 22 gennaio 2020 con grande popolarità e con la possibilità di correre, e anche vincere, le elezioni del 2024 se non avesse forzato la sua rielezione per un quarto mandato. Da presidente della Bolivia: a) ha ignorato il referendum del 2016 che ha detto NO alla sua rielezione [1], b) ha promosso nel 2017 la possibilità per la Corte Costituzionale di sospendere gli articoli della Costituzione che stabiliscono che una persona può essere rieletta solo una volta, c) ha commesso brogli nelle elezioni del 20 ottobre per evitare un secondo turno e imporre la maggioranza del suo partito in parlamento.

2) Il governo si è proclamato vincitore delle elezioni nonostante le gravi irregolarità: a) Il conteggio rapido è stato interrotto prematuramente il giorno delle elezioni, b) la società responsabile del conteggio rapido ha denunciato che l’ordine proveniva dal presidente del Tribunale Elettorale Supremo (TSE) e che le hanno tolto internet ed elettricità affinché non continuassero con il loro lavoro [2], c) analisti indipendenti[3] e dell’università hanno mostrato diversi crimini elettorali, d) la società incaricata dal tribunale elettorale di sovrintendere alle elezioni ha dichiarato che il processo è stato “viziato da nullità” per una serie di fattori[4], ed e) la verifica delle elezioni richieste dal governo di Evo Morales all’OSA ha stabilito nella sua relazione che “i risultati delle attuali elezioni non possono essere convalidati”[5].

3) Il governo ha minimizzato l’indignazione generata dal broglio. All’inizio, Evo Morales ha detto che si trattava di proteste di piccoli gruppi di giovani ingannati dal denaro e notando che non sapevano come bloccare si è addirittura offerto di dar loro ripetizioni. Quando gli scioperi in tutte le città sono diventati massicci, ha fatto ricorso alla tattica dell’intimidazione e ha dato il via libera all’accerchiamento delle città per “vedere se possono resistere”[7]. Gli scontri e le violenze hanno causato diverse vittime e centinaia di feriti. Lungi dal cadere, i blocchi e gli scioperi nelle città so sono radicalizzati.

4) Il governo ha cercato di mostrare questa mobilitazione come un colpo di stato della destra fascista e razzista. Infatti, tutti i settori della destra reazionaria hanno applaudito le proteste. Nella città di Santa Cruz, il principale leader del Comitato Civico, Luis Fernando Camacho, proviene da un’organizzazione di estrema destra come è quella dell’Unión Juvenil Cruceñista. Tuttavia, nelle altre città ci sono state diverse articolazioni di settori indipendenti e politici di destra e sinistra che hanno guidato la protesta. A Potosí, l’opposizione al governo si è radicalizzata prima delle elezioni per la firma di un contratto di 70 anni senza pagamento di royalties per la produzione di idrossido di litio dalle saline di Uyuni. Nel caso di La Paz, il Comitato nazionale per la difesa della democrazia annovera tra i suoi principali leader due ex Difensori del Popolo che hanno esercitato le loro funzioni durante il governo di Evo Morales e che hanno denunciato gravi violazioni dei diritti umani come la repressione della marcia indigena del TIPNIS nel 2011. Da parte sua, Carlos Mesa, che è stato vicepresidente del governo neoliberale di Gonzalo Sánchez de Lozada, e si è convertito nel principale contendente elettorale di Evo Morales, non ha un partito strutturato ed è stato più un veicolo dell’opposizione alle urne prima che l’artefice organizzatore delle proteste. La ribellione che la Bolivia sta vivendo è per lo più un evento spontaneo guidato in particolare dai giovani contro gli abusi di potere.

5) È necessario chiarire che tanto nella parte del governo quanto nelle forze dell’opposizione ci sono indigeni e lavoratori. Il governo ha evidentemente più sostegno nelle zone rurali, ma nel settore dell’opposizione ci sono anche produttori di foglie di coca dell’area di Yungas, dirigenti contadini, lavoratori del settore minerario, operatori sanitari e dell’istruzione, e soprattutto giovani studenti, tanto di classe media che di estrazione popolare. Contrariamente a quanto accaduto in precedenti conflitti, è stato il governo che ha esacerbato il razzismo dicendo che ha cercato di ignorare il voto delle popolazioni indigene delle campagne che sostenevano il loro governo. Durante il conflitto si sono verificati atteggiamenti razzisti da entrambe le parti. L’incendio della whipala, la bandiera dei popoli Aymara e Quechua, è assolutamente deplorevole. Tuttavia, si può vedere nei social network che ampi settori che compongono le proteste contro il governo hanno messo in discussione queste misure e difeso la whipala.

6) La polizia si è mossa inizialmente per difendere soprattutto i settori legati al partito di governo che hanno attaccato i blocchi. Il caso più emblematico si è verificato a Cochabamba. Le prime settimane sono state segnate da un intenso confronto dei giovani contro i gruppi del MAS e della polizia. Per garantire il sostegno della polizia, il governo di Evo Morales durante il conflitto ha concesso loro un “bonus fedeltà” di 3.000 Bs (431$ USA). Dopo giorni e notti di confronto permanente con la popolazione, la polizia si è ammutinata. Questa non è stata una decisione della direzione della polizia, ma della base. Il governo ha provato a negoziare con la polizia cambiando alcuni comandanti che sono stati fortemente messi in questione dalla base di polizia, ma l’ammutinamento si è diffuso nella maggior parte delle guarnigioni. La polizia ha smesso di uscire per affrontare i giovani che protestavano e questo ha cambiato il rapporto tra le forze. 

7) L’alto comando militare è un sostenitore di Evo Morales, come dimostrano le dimostrazioni del suo comandante in capo[8]. L’esercito in Bolivia è l’unico settore che riceve una pensione pari al 100% del suo stipendio. Durante il governo di Evo Morales hanno ottenuto una serie di benefici, aziende e ambasciate. Tuttavia, il calcolo politico della leadership militare è stato che uscire per le strade rappresentava una situazione ad alto rischio, poiché in seguito potevano essere perseguiti e imprigionati, come è accaduto nel massacro dell’ottobre 2003. In tale contesto, i militari hanno deciso di non uscire per affrontare le proteste antigovernative e, dopo la pubblicazione del rapporto dell’OEA, hanno “suggerito” a Evo Morales di dimettersi. Con questo atteggiamento, l’esercito, invece di cercare di impadronirsi del potere, sta tutelando i propri interessi e la propria istituzione.

8) Attualmente la situazione in diverse città del paese è di estrema tensione, violenza e vandalismo. Sono state saccheggiate e bruciate diverse case private di esponenti del governo e dell’opposizione. Le antenne e i canali televisivi sono stati attaccati. La notte del 10 novembre, gruppi di vandali e del MAS hanno attaccato diversi quartieri in diverse città. In diverse città la popolazione si sta organizzando per difendersi da questi attacchi e saccheggi che colpiscono negozi, fabbriche, farmacie e autobus pubblici.

9) Evo Morales si è dimesso solo verbalmente e non ha inviato una nota scritta al Parlamento. Il presidente e i membri della TSE sono stati arrestati dalla polizia mentre cercavano di fuggire. In generale, c’è la tendenza a risolvere istituzionalmente il vuoto di governo attraverso l’Assemblea legislativa. Tuttavia, questa uscita non è facile perché il MAS ha più di due terzi in parlamento e deve accettare le dimissioni di Evo Morales ed eleggere un presidente transitorio che convochi nuove elezioni il più presto possibile. Se i parlamentari del MAS non preparano una soluzione istituzionale, il vuoto di governo potrebbe generare più situazioni di violenza vandalica, revanscismo e una situazione estremamente pericolosa.

La Paz, 11 novembre, ore 11.

[1] https://fundacionsolon.org/2019/10/23/carta-al-movimiento-antiglobalizador-sobre-la-situacion-en-bolivia/

[2] http://www.la-razon.com/nacional/informe-neotec-trep-elecciones_0_3249875031.html

[3] https://www.reduno.com.bo/nota/villegas-envia-pruebas-de-fraude-electoral-en-bolivia-ante-la-oea-201911724459

[4] https://www.scribd.com/document/434031751/EHC-REP-Consolidado-Resumen#from_embed

[5] http://www.oas.org/documents/spa/press/Informe-Auditoria-Bolivia-2019.pdf

[6]  https://www.lostiempos.com/actualidad/pais/20191025/morales-arremete-contra-mesa-se-burla-bloqueos-cochabamba

[7] https://www.eldeber.com.bo/154733_evo-amenaza-con-cercar-ciudades-que-estan-en-paro-y-descarta-negociacion-politica-para-salir-de-la-c

[8] https://eldeber.com.bo/130695_comandante-de-las-ffaa-manifiesta-su-apoyo-a-evo-morales-y-amenaza-a-los-opositores

Questo articolo è stato pubblicato in systemicalternatives  l’11 novembre 2019.


Bolivia: una rivolta popolare sfruttata dall’ultra-destra

Di RAUL ZIBECHI

La rivolta del popolo boliviano e delle sue organizzazioni è stato ciò che ha portato in ultima istanza alla caduta del governo. I principali movimenti hanno chiesto le dimissioni prima che lo facessero le forze armate e la polizia. L’OEA ha sostenuto il governo fino alla fine. La situazione critica in Bolivia non è iniziata con il broglio elettorale, ma con l’attacco sistematico del governo di Evo Morales e Álvaro García Linera ai movimenti popolari che li hanno portati al Palacio Quemado, al punto che, quando dovevano essere difesi, sono stati disattivati e demoralizzati.

1. La mobilitazione sociale e il rifiuto dei movimenti di difendere quello che consideravano il “loro” governo è stato ciò che ha provocato le dimissioni. Lo attestano le dichiarazioni della Central Obrera Boliviana, dei docenti e delle autorità dell’Università Pubblica di El Alto (UPEA), di decine di organizzazioni e di Mujeres Creando, forse la più chiara di tutte. La sinistra latinoamericana non può accettare che una parte considerevole del movimento popolare abbia chiesto le dimissioni del governo, perché non può vedere oltre i caudillos.

La dichiarazione della storica Federación Sindical de Trabajadores Mineros de Bolivia (FSTMB), vicina al governo, è l’esempio più evidente del sentimento di molti movimenti: “Presidente Evo hai già fatto molto per la Bolivia, hai migliorato l’istruzione, la salute, hai dato dignità a molti poveri. Presidente, non lasciare che il tuo popolo bruci e non fare altri morti. Tutte le persone ti apprezzeranno per la posizione che devi ricoprire e le dimissioni sono inevitabili, compagno Presidente. Dobbiamo lasciare il governo nazionale nelle mani del popolo.

2. Questo triste risultato ha antecedenti che risalgono, in stretta sintesi, alla marcia in difesa del Territorio Indigeno e del Parco Nazionale Isiboro-Sécure (TIPNIS) nel 2011. Dopo quell’azione moltitudinaria, il governo ha cominciato a dividere le organizzazioni che la chiamavano.

Mentre Morales-García Linera ha mantenuto ottimi rapporti con la comunità imprenditoriale, ha compiuto un colpo di stato contro il Consejo Nacional de Ayllus y Markas del Qullasuyu

 (Conamaq) e la Confederación de Pueblos Indígenas de Bolivia 

 (CIDOB), due organizzazioni storiche dei popoli originari. Hanno inviato la polizia, cacciat fuori i leader legittimi, e dietro di loro sono arrivati, protetti dalla polizia, i leader legati al governo.

Nel giugno 2012, il CIDOB ha denunciato “l’interferenza del governo al solo scopo di manipolare, dividere e influenzare gli organismi organici e rappresentativi delle popolazioni indigene della Bolivia”. Un gruppo di dissidenti con il sostegno del governo ha ignorato le autorità e ha chiesto una “commissione allargata” per eleggere nuove autorità.

Nel dicembre 2013, un gruppo di dissidenti del CONAMAQ, solidali con il MAS, ha sequestrato il locale, picchiato ed espulso coloro che erano lì con l’appoggio della polizia, che è rimasta a guardia della sede impedendo alle autorità legittime di recuperarlo. Il comunicato dell’organizzazione assicura che il colpo di stato contro il CONAMAQ è stato dato per “approvare tutte le politiche contro il movimento indigeno indigeno e il popolo boliviano, senza che nessuno possa dire nulla”.

3. Il 21 febbraio 2016, il governo stesso ha indetto un referendum per la popolazione per pronunciarsi a favore o contro la quarta rielezione di Morales. Anche se la maggioranza ha detto NO, il governo ha portato avanti i piani di rielezione.

Entrambi i fatti, l’ignorare la volontà popolare e l’espulsione delle leadership legittime dei movimenti sociali, rappresentano degli attacchi contro il popolo.

Ancora più grave. La mattina di mercoledì 17 febbraio, giorni prima del referendum, una manifestazione dei genitori degli studenti ha raggiunto l’ufficio del sindaco di El Alto. Un gruppo di un centinaio di manifestanti si è introdotto con la forza nel complesso, causando un incendio in cui sono morte sei persone. I manifestanti che si sono rifugiati nella mobilitazione dei genitori appartenevano al Movimento al socialismo (MAS).

Questo è lo stile di un governo che denuncia il “colpo di stato” ma che di volta in volta ha agito in modo repressivo contro i settori popolari organizzati che si sono confrontati con le loro politiche estrattive.

4. Le elezioni del 20 ottobre sono state un broglio per la maggior parte della popolazione boliviana. I primi dati indicavano una seconda tornata elettorale. Ma il conteggio si è fermato senza alcuna spiegazione e i dati offerti il giorno successivo mostravano Evo vincitore al primo turno, in quanto aveva ottenuto più del 10% della differenza anche se non aveva raggiunto il 50% dei voti.

In diverse regioni ci sono stati scontri con la polizia, mentre i manifestanti bruciavano tre uffici regionali del tribunale elettorale a Potosí, Sucre e Cobija. Le organizzazioni di cittadini convocano uno sciopero generale per un periodo di tempo indefinito. Il 23, Morales denuncia che è in corso un “colpo di stato” da parte della destra boliviana.

Lunedì 28, la protesta si intensifica con blocchi e scontri con la polizia, ma anche tra simpatizzanti e oppositori del governo. Come in altre occasioni, Morales-García Linera mobilita le organizzazioni cooptate per confrontarsi con altre organizzazioni e persone che si oppongono al suo governo.

Il 2 novembre si produce una svolta importante. Il presidente del Comité Cívico di Santa Cruz, che manteneva un’alleanza con il governo di Morales, Luis Fernando Camacho, invita l’esercito e la polizia a “schierarsi dalla parte del popolo” per costringere il presidente a dimettersi, invocando Dio e la Bibbia. Venerdì 8 si ammutinano le prime tre unità di polizia di Cochabamba, Sucre e Santa Cruz e gli uomini in uniforme hanno fraternizzato con i manifestanti di La Paz. Due giorni dopo, con un paese mobilitato, il binomio ha offerto le sue dimissioni verbali, non notificata in forma scritta.

5. In questo scenario di polarizzazione, dobbiamo evidenziare il notevole intervento del movimento femminista boliviano, in particolare il collettivo Mujeres Creando, che ha portato ad un’articolazione delle donne nelle principali città.

Il 6 novembre, nel mezzo di una violenta polarizzazione, María Galindo ha scritto sul giornale Página 7: “Fernando Camacho ed Evo Morales sono complementari. Entrambi si ergono ad essere gli unici rappresentanti del ‘popolo’. Entrambi odiano la libertà delle donne e degli omosessuali. Entrambi sono omofobici e razzisti, entrambi usano il conflitto a loro vantaggio”.

Non solo chiede le dimissioni del governo e del tribunale elettorale (complice del broglio), ma anche la convocazione di nuove elezioni con altre regole, dove la società sia coinvolta, in modo che “nessuno abbia più bisogno di un partito politico per essere ascoltat- e per esercitare la rappresentanza”.

La stragrande maggioranza degli abitanti della Bolivia non è entrata nel gioco della guerra che Morales-García Linera hanno voluto imporre quando si sono dimessi e hanno gettato i loro sostenitori nella distruzione e nel saccheggio (in particolare a La Paz e El Alto), probabilmente per forzare l’intervento militare e giustificare così la loro denuncia di un “colpo di stato” mai esistito. Né ha accettato il gioco dell’ultra-destra, che agisce in modo violento e razzista contro i settori popolari.

6. La sinistra latinoamericana, se in essa è rimasto qualcosa dell’etica e della dignità, deve riflettere sul potere e sugli abusi che il suo esercizio comporta. Come ci insegnano le femministe e i popoli originari, il potere è sempre oppressivo, coloniale e patriarcale. Per questo rifiutano i caudillos e le comunità ruotano i propri leader in modo che non accumulino potere.

Non possiamo dimenticare che in questo momento c’è il serio pericolo che la destra razzista, coloniale e patriarcale riesca ad approfittare della situazione per imporsi e provocare un bagno di sangue. Il revanscismo politico e sociale delle classi dirigenti è latente come negli ultimi cinque secoli e deve essere fermato senza esitazioni.

Non entriamo nel gioco di guerra che entrambe le parti vogliono imporci.

Questo articolo è stato pubblicato in desinformemonos l’11 novembre 2019.

(Traduzione di Clara Mogno)

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