Di GIANNI CAVALLINI.
In questi giorni siamo tutte e tutti coinvolte/i dalla supposta epidemia da coronavirus, che sembra essersi insediata nel nostro paese. Ormai è noto il virus che la genera; quello che emerge a livello globale ed anche italiano è che non siamo in presenza di un agente infettivo di gravità particolare: indubbiamente svela una elevata contagiosità con una mortalità, almeno in Cina, più elevata dell’influenza, ma comunque contenuta: numerosi accreditati studi affermano che al momento esiste una sottostima anche del 10% del numero reale di infezioni, per cui la mortalità può essere calcolata del 1% (quindi molto inferiore ad esempio alla SARS). In Italia, come in Cina peraltro, i casi di mortalità sono da riferirsi essenzialmente ad anziani e malati cronici, esattamente come per l’influenza o altre simili patologie virali.
Al momento al mondo esistono patologie infettive ben più diffuse e gravi: ad esempio il morbillo causa 140.000 decessi ogni anno; la malaria causa 405.000 morti all’anno con 228 milioni di ammalati; Ebola ha raggiunto nella Repubblica Democratica del Congo nelle aree di nord est il 50% di mortalità nel 2018.
Perché solo per il coronavirus allora sono state adottate le misure restrittive ben note?
Nella storia non sono certo una novità; nel 1370 Venezia inaugurò, subito da tutti imitata, la strategia dell’isolamento – poi divenuta nella modernità punto centrale delle misure di sanità pubblica volte al contenimento e contrasto delle malattie infettive – tramite il blocco delle navi alle bocche di porto con la quarantena per merci e persone in sospetto di infezioni, oltre alla predisposizione di luoghi fuori città quali i lazzaretti.
In Cina sono stati adottati standards di risposta all’infezione innovativi, mai in precedenza visti: in pochi giorni 56 milioni di persone sono state messe in quarantena e in 10 giorni sono stati costruiti due ospedali per complessivi 10.000 posti letto; a Wuhan il 99% delle persone sono state sottoposte a controlli medici forzati.
L’Italia, con USA, Russia, Giappone e Australia, ha tempestivamente bloccato i voli con la Cina, pur in presenza di autorevoli pareri che sottolineavano il rischio, favorendo il raggiramento, di inefficacia rispetto al contenimento della diffusione virale e perdita di informazioni. Poi all’emergere della presenza virale nel Paese, il Governo ha adottato in intesa con le Regioni provvedimenti anche qui senza precedenti: su quale evidenza scientifica si fonda il provvedimento che chiude i bar a Milano dalle 18 alle 6 (gli aperitivi sono più pericolosi delle colazioni), che impedisce la partecipazione a una conferenza ma non l’accesso al supermercato, che chiude le scuole ma non i negozi?
Il target da colpire sembra essere la socialità, lo svago: l’esistenza consentita si riduce essenzialmente al sostentamento del corpo, quale necessità per assicurare la continuità nel lavoro.
La preoccupazione generale dei costruttori di senso comune è tutelare il prodotto interno lordo, riprendere – magari con il telelavoro – la produzione di ricchezza, consentire il consumo dei beni; tutto sembra rievocare le strategie di polizia medica che, affermandosi nel XIX secolo, divennero un potente strumento in mano agli Stati per disciplinare i corpi e le menti dell’allora forza lavoro, che doveva essere forgiata alla disciplina di fabbrica.
Oggi la Cina e l’Italia – ma dietro a loro è schierato all’unanimità lo scenario di istituzioni anche sovranazionali sia politiche che tecniche – realizzano una sperimentazione di neo polizia medica che evidenzia l’obiettivo di forgiare il cittadino consumatore all’obbedienza – tramite lo strumento dell’eccezionalità, già in essere nella Francia di Macron – , alla priorità del lavoro, al riconoscimento del pericolo – i migranti, gli stranieri… – anche sottomettendo a questo la propria aspirazione alla socialità, allo svago, alla cultura, al divertimento.
Centrale diventa la paura dell’altro, l’untore, che in ogni momento può diventare il tuo collega di lavoro, di cena o di palestra o di aperitivo; da un momento all’altro lo puoi diventare tu: magari quando credi di sbarcare da un aereo per una vacanza esotica.
Tutto contribuisce a rafforzare soggettività individuali in competizione con tutti. Appare quasi che il coronavirus sia divenuta l’occasione per eccellenza per rinforzare l’adesione soggettiva alla lotta individuale per il benessere e la ricchezza, per condividere recinti ed obbedienza alle istituzioni.
Il tutto per lasciare ai margini “gli altri”, i potenziali pericoli, facilmente individuabili nei migranti, nei non devoti al lavoro…..
La sanità pubblica avrebbe un grande ruolo da svolgere, non dovrebbe essere polizia; come tra XIX e XX secolo accompagnò e sostenne la necessità di assicurare luoghi di vita e di lavoro sani e sicuri, cosi oggi dovrebbe promuovere il diritto a una vita sana e felice, contrastando il danno alla salute determinato dall’inquinamento e dal cambiamento climatico, le condizioni di precarietà ed insicurezza nel lavoro, promuovendo i fattori determinanti di salute, in primis il diritto a un reddito individuale adeguato.
Oggi in realtà in tutto il mondo assistiamo all’azione di un servizio sanitario essenzialmente centrato sull’ospedale, che diviene il destinatario principale degli investimenti pubblici e privati, dell’intesa con le Università e degli accordi con centri di ricerca, assolvendo essenzialmente alla funzione di cura, in primis delle patologie acute, con un marcato esercizio dell’autorità scientifica, relegando la persona a oggetto di cura, riproducendo, in modo ancor più marcato del passato, un rapporto di potere che priva l’utente di qualsiasi ruolo nella gestione della propria malattia.
Anche nel “governo” delle malattie trasmissibili, quali le infettive, questo approccio “scientifico” della clinica domina lo scenario con, però, una difficoltà in più: decisiva in questo caso è la capacità del servizio sanitario di realizzare tempestive e appropriate indagini sul territorio, circa i comportamenti, i legami e le relazioni reali delle persone; in questo senso, la competenza è diversa, è data da una relazione tra possessori del sapere scientifico e persone fondata sulla relazione, sulla fiducia reciproca, sulla simmetria dei poteri.
In realtà, in tutto il mondo gli ultimi decenni hanno registrato un costante definanziamento dei servizi e delle strutture territoriali e di prevenzione; in particolare, l’Italia è complessivamente sotto la media europea di finanziamento pubblico, anche nei servizio territoriali di maggior prossimità; si consideri che contemporaneamente sono stati soppressi o fortemente ridimensionati molti ospedali minori, che comunque assolvevano a una funzione di prossimità alle persone, in particolare nelle aree territoriali maggiormente critiche, per dispersione o per minor sviluppo.
In conclusione, siamo nel complesso impreparati ad assolvere al compito e rischiamo di consegnare la sanità pubblica ad un ruolo organico di governo delle popolazioni, finalizzato al consolidamento di un regime di disciplinamento sociale.