Riusciremo a correre più veloce dei cieli?
(W. Shakespeare, Enrico IV)
Che cosa significa scrivere un programma collettivo? È intorno a questa prima domanda che, direttamente o indirettamente, si è sviluppata la discussione dei workshop, mossa dalla necessità di costruire un discorso capace di far convergere le tante lotte singolari che anche in questi ultimi mesi si sono sviluppate in diversi settori della società. Allo stesso tempo, è risultata essenziale l’individuazione dei terreni a partire dai quali provare a riarticolare lo sviluppo delle lotte future, come emerso dai numerosi interventi dello scorso 30 aprile.
La crisi aperta dalla pandemia scava giorno dopo giorno abissi di diseguaglianza lungo le linee dettate dalla classe, dal genere e dalla razza. Sempre più si diffonde la consapevolezza che i rapporti di potere sono strutturati attorno a questi assi, e pratiche sociali altrettanto diffuse rispondono con il mutualismo, la solidarietà, il pensiero critico e la cura per la vita comune – cura oggi più che mai necessaria. In questa direzione è andata la discussione, polifonica e potente, fin qui fatta. Ora è il tempo di riprendere i lavori, velocemente e con i piedi ben piantati in terra, ma con uno sguardo che sia capace di immaginare e creare un futuro diverso.
Lavoro, welfare, rete, organizzazione, democrazia, diritto alla salute e riproduzione sociale sono state le parole tornate spesso attraverso le voci di chi ha partecipato alle assemblee del #mondocheverrà. Crediamo che i workshop abbiano costituito un momento essenziale di confronto, di focalizzazione dei discorsi e degli ambiti di intervento dell’agenda che si è delineata nelle ultime settimane; ed è dando centralità al lavoro dei tavoli che proponiamo di proseguire la costruzione di un programma politico offensivo. Serve evidentemente approfondire ancora, continuare a pensare collettivamente, interrogare le tendenze economiche e politiche in atto in questa nuova transizione, prefigurare i terreni decisivi lungo cui provare a sperimentare iniziativa e lotte. Ancora: serve favorire una partecipazione più ampia, capace di decisione collettiva sullo sviluppo del percorso che in tante e in tanti abbiamo fin qui avviato.
In tutti i workshop del 30 aprile è stata confermata la centralità di un’azione sul terreno delle istituzioni della cura e della riproduzione sociale, a partire dalla Sanità, dalla Scuola e dalla richiesta di un reddito di base incondizionato. È stato ribadito che la necessità di orientare la spesa pubblica attraverso le lotte non può essere separata dalla reinvenzione di nuove pratiche di democrazia, tanto sul terreno del welfare – a partire dalle prime esperienze mutualistiche emerse con il divampare della pandemia – quanto in altri ambiti della società; facendo leva anche sulla possibilità di utilizzare in chiave cooperativa le tecnologie delle piattaforme di rete. In tante e tanti hanno evidenziato che non è possibile assumere il diritto alla salute, senza mettere in questione fino in fondo la necessità della riconversione ecologica, così come confermato dagli ultimi movimenti globali. Allo stesso tempo il lavoro, e lo dicono le lotte che insistono sulle questioni della salute, sembra interessato da un nuovo processo di trasformazione, che ha spinto molti a parlare nei termini di un nuovo diritto del lavoro emergente, capace di generare modalità inedite di sfruttamento. Si tratta di indizi che già sollecitano a ripensare pratiche di lotta adeguate alla fase.
È stato proposto di immaginare inchieste, campagne (valorizzando quelle già esistenti) e piani condivisi tra i diversi workshop, per far emergere l’accumulo molecolare di alternative alle politiche che dell’eccezione hanno fatto la regola, della crisi arte di governo. Aprendo, poi, il piano di discussione e la sfida organizzativa alla dimensione europea, ostinatamente contro ogni forma di sovranismo e di populismo.
Proponiamo dunque di rilanciare con due momenti diversi: il 14 maggio, tornando ai workshop e completando i lavori iniziati il 30 aprile; un confronto collettivo il 21 maggio, in cui provare a riconnettere le fila del discorso e per immaginare la costruzione collettiva di una possibile discussione continentale. Veloci come i cieli ci riapproprieremo del tempo di vita e del tempo delle lotte. Presentiamo qui in calce i report dei tre workshop, dai quali si tratterà di trarre i diversi ordini del giorno.
I prossimi appuntamenti per proseguire con i lavori dei workshop giovedì 14 maggio alle 18.00 nelle tre diverse stanze Zoom e giovedì 21 alle 18.00 per un’assemblea plenaria. I link verranno comunicati attraverso la mailing list dell’Assemblea e sulla pagina facebook, successivamente i video saranno caricati sul canale YouTube.
Report
1° Workshop – Lavoro Welfare Reddito
[https://www.youtube.com/watch?v=OcR7NtoJxxU]
Cosa significa scrivere un programma collettivo? È intorno a questa prima domanda che, direttamente o indirettamente, si è sviluppata la discussione del workshop. La necessità di costruire un discorso capace di far convergere le tante lotte singolari che anche in questi ultimi mesi si sono sviluppate in diversi settori della società. Allo stesso tempo, l’individuazione di quei terreni fondamentali a partire dai quali riarticolare lo sviluppo delle lotte future.
La crisi attuale – è stato evidenziato – sarà destinata a produrre effetti duraturi sulla forza lavoro, su coloro che hanno continuato a lavorare durante il lockdown, quanto, evidentemente, sulle diverse migliaia di persone che invece hanno perso la propria fonte di reddito.
Il ricorso a una nuova organizzazione “emergenziale” del lavoro, non solo nei settori “essenziali”, la distribuzione dei carichi e dei tempi di lavoro che ne è conseguita, l’uso massiccio dello smart working senza alcuna contrattazione sindacale, preannunciano un nuovo diritto del lavoro emergente, una tendenza – su cui in tanti si sono concentrati – il cui esito appare ancora non del tutto scontato. Da un lato nella pandemia non solo si è resa maggiormente evidente la commistione tra tempi di vita e di lavoro, soprattutto per chi nei settori terziari ha continuato a lavorare da casa, ma, tale congiuntura, sembrerebbe stare operando a favore di un ulteriore sgretolamento tra queste due dimensioni. Dall’altro, invece, le lotte che in questi mesi si sono sviluppate intorno alla salvaguardia della salute e alla sicurezza nei settori manifatturieri, della logistica e della sanità sono state di per sé stesse lotte che hanno riguardato, almeno parzialmente, anche l’organizzazione del lavoro.
È stato sottolineato quanto, in questo contesto, non sia più rimandabile una lotta per la “democrazia sindacale”, intesa come la necessità di ottenere nuove regole sulla rappresentanza sindacale, capace di assicurare concretamente la libera organizzazione delle lavoratrici e dei lavoratori, attualmente imbrigliata da norme pensate per favorire il controllo da parte delle organizzazioni sindacali confederali.
Gli effetti occupazionali generati dalla crisi sono destinati ad amplificare i differenziali di potere e le diseguaglianze di reddito, così come le discriminazioni razziste e di genere, precedenti alla fase pandemica. Se da un lato il virus sembra colpire indistintamente, dall’altro, gli effetti seguiranno le linee della classe e saranno maggiori soprattutto per alcuni segmenti della forza lavoro: i lavoratori e le lavoratrici precari, quelli/e della ristorazione e del commercio, quelle/i informali che operano al centro delle nostre città, le/i riders, lavoratrici e lavoratori dello spettacolo, autonomi, lavoratrici e lavoratori della cura – solo per fare alcuni esempi. In secondo luogo, gli interventi hanno fatto emergere che la crisi occupazionale non potrà che agire diversamente anche sul piano territoriale, approfondendo gli squilibri tra le diverse aree del paese.
È stato fortemente criticato il contenuto delle misure di protezione sociale introdotte dall’attuale governo, segnate almeno da un duplice limite: la natura emergenziale delle politiche rappresentata da interventi transitori, la forte logica di frammentazione del sistema del welfare, che si oppone, nei fatti, all’esigenza di una sua universalizzazione, da più parti richiamata. A questa visione è stata contrapposta, invece, la necessità di introdurre una misura di reddito di base, individuale e incondizionato, slegato dalla cittadinanza e dalle condizioni di soggiorno, come misura permanente, agendo attraverso la profonda revisione dell’attuale norma del “Reddito di Cittadinanza”. È stato ritenuto necessario, inoltre, che questa misura venga accompagnata dall’introduzione di una norma sul salario minimo orario e sul “compenso minimo” per i lavoratori autonomi, allo scopo di evitare ulteriori contrazioni dei salari e dei redditi.
Diversi interventi hanno individuato nell’ambito della riproduzione sociale il terreno fondamentale di sviluppo delle lotte. La crisi ha reso una volta di più evidente la rilevanza delle istituzioni che operano nell’ambito della cura, della salute (fisica e psichica) in primo luogo, ma, più in generale, dei rapporti sociali (educazione, formazione, assistenza, servizi, cultura). È necessario lottare a favore di un aumento della spesa pubblica in welfare e per la concreta universalizzazione di quest’ultimo, contrapponendo alla razionalità di mercato che ne ha orientato la gestione interna nei vari comparti un nuovo processo di democratizzazione, capace di redistribuire verso il basso il potere decisionale. La necessità di un sistema di welfare universale, rende urgente, anche e soprattutto in questa fase, la riarticolazione di una battaglia a favore di un sistema di prelievo sui redditi a carattere fortemente progressivo e la necessità di introdurre una tassazione sui patrimoni. Si tratta, allo stesso tempo, di due obiettivi parziali, che non certo risolvono il problema del finanziamento del welfare, che presuppone una nuova gestione della finanza pubblica a livello europeo.
Inoltre, assumere la dimensione politica della cura al centro delle nostre lotte sul lavoro e per un welfare universale e democratico significa assumere fino in fondo la necessità di un ripensamento radicale dei modi di produzione e riproduzione sociale nel senso della loro riconversione ecologica.
È stata riservata molta attenzione all’obiettivo di combinare la richiesta per una maggiore spesa pubblica per il welfare e le lotte che insistono, invece, sul terreno dell’invenzione di istituzioni pubbliche non statali. In questi mesi, in moltissime città italiane, abbiamo assistito a un grande sviluppo di iniziative mutualistiche: dalle iniziative diffuse delle spese solidali e della distribuzione dei pasti, a quelle di assistenza sindacale e legale e per l’accesso agli ammortizzatori sociali, ai centri antiviolenza e alle case delle donne che hanno continuato a operare anche a distanza (in una situazione in cui la violenza domestica ha visto un ulteriore gravissimo aumento a causa della quarantena). Un insieme di iniziative, talvolta spontanee, che rappresenta una ricchezza irrinunciabile e che allude a un sistema di welfare dal basso. Porsi l’obiettivo di rendere durature queste esperienze, è stata una delle questioni sulle quali ci si è concentrati maggiormente. Ci si è focalizzati inoltre sull’importanza del rilanciare lo sciopero, nei settori produttivi dove è più violento lo scontro tra salute e profitti, in quelli pubblici essenziali – uno sciopero generale e sociale capace di dare alle rivendicazioni di salario, reddito, welfare, come ai diritti dello smart working (in primo luogo, quello alla disconnessione).
La costruzione di un programma offensivo delle lotte su questi temi pone, necessariamente, il problema della dimensione sovranazionale delle lotte. L’Europa è lo spazio minimo per riarticolare il discorso, provando a costruire convergenze sociali in grado di incidere sulle élite europee.
2° Workshop – Democrazia e Rete
[https://www.youtube.com/watch?v=VfT5ExD25Hs]
Dalla discussione collettiva sono emerse, in maniera generale, una visione della democrazia che si articola come una pratica e come un processo, una forma dell’azione politica che è necessario risignificare e sciogliere dai vincoli e dalle strutture della logica della rappresentanza, intesa come delega e autorizzazione del mandato attraverso l’elezione. L’attività politica, è stato ricordato anche attraverso numerosi esempi, eccede il paradigma moderno della statualità e della divisione tra pubblico e privato, come, allo stesso modo, le soggettività sono eccedenti rispetto alla forma classica dell’individuo.
Nei numerosi interventi si è registrata un’esplosione delle forme di mutualismo a livello territoriale, organizzate anche grazie all’ausilio della rete e dei social network, che va ben oltre la semplice attivazione di militanti organizzate/i. Queste pratiche ribaltano la distanza sociale in una prossimità della cura, al “social distancing” viene contrapposta una “social solidarity” che scardina il paradigma politico della quarantena come isolamento.
Allo stesso tempo, il mutualismo si configura come forma di agire sul terreno della riproduzione sociale per e contro. Per la costruzione di nuove forme di auto-organizzazione ed economie alternative; per la rivendicazione attiva di nuovo welfare; per l’attivazione di segmenti di società al di là degli spazi sociali e dell’attivismo tout court. Contro l’erosione degli spazi politici; contro l’esclusione sociale degli ultimi, degli invisibili, dei senza-parte come famiglie rimaste senza reddito, senza tetto, precari, migranti, sans papier; contro l’addomesticamento della solidarietà per coprire colpe e mancanze altrui, e cioè di chi ha deciso e favorito politiche neoliberali negli ultimi anni.
La riflessione sulle pratiche diffuse di mutualismo metropolitano come forma di auto-organizzazione collettiva dentro e contro l’emergenza si è intrecciata con una critica dell’innovazione tecnologica e con una riflessione circa il suo attraversamento strategico. La tecnologia, infatti, è stata inquadrata come terreno di scontro e di conquista, oltre che come strumento ambivalente. L’accelerazione dei processi di digitalizzazione, di raccolta ed elaborazione dei big data, di piattaformizzazione dei servizi producono non solo forme di sfruttamento del lavoro vivo ma anche dispositivi di sorveglianza e favoriscono l’attuazione di politiche autoritarie. La svolta digitale aumenta le differenze fra chi ha accesso alla rete e ai dati e chi no, fra chi ha potere decisionale e chi invece non partecipa ai processi della decisione.Senza cadere nella tentazione del tecno-soluzionismo (che fa delle applicazioni e dell’innovazione la panacea a tutti i mali), ma nemmeno alla tecnofobia, è stato evidenziato il potenziale contro-organizzativo della rete: dalle assemblee digitali alla contro-logistica metropolitana è evidente il tentativo di costruire un’infrastruttura collettiva e tecnologica del comune. A questa altezza si aprono delle sfide, alle quali dovremo rispondere al più presto: come colmare il gap del “digital divide”? Come costruire l’infrastruttura tecnologica del comune, conquistando il terreno della rete e inventando strumenti nuovi che possano permetterci di organizzarci e conneterci? Come, insomma, colmare il gap fra attivismo e tecnologia per recuperare spazi e strumenti di lotta? Si da come necessaria quindi l’articolazione di un’agenda politica e militante che prenda sul serio le contraddizioni della rete e che sia capace di agire in questa tensione diffondendo i saperi tecnici e informatici e, allo stesso tempo, conquistando la rete senza dimenticare l’attività politica offline. Mutualismo e tecnologia costituiscono quindi due poli di innovazione sociale che aprono a numerose questioni per chi vuole costruire il mondo che verrà.
Prima di tutto, il nodo dell’organizzazione: come articolare online e offline? Come agire su diverse scale geografiche (locale, nazionale, europea) contemporaneamente? Da una parte si è proposto di mappare le diverse esperienze di mutualismo, metterle in contatto tra di loro e restituire un quadro più generale delle pratiche di alternativa sociale; dall’altra è emersa l’esigenza di aprire uno spazio di discussione dell’emergenza sanitaria e della crisi economica a livello europeo.
Si è anche evidenziato come l’organizzazione sia sempre finalizzata alla costruzione e all’esercizio di rivendicazioni politiche. Sebbene sarà indubbiamente difficile riconquistare spazi di agibilità pubblica – non solo a causa della loro restrizione ma anche per la paura del corpo dell’altro – servirà una pratica della cura per la tutela della salute di tutti e tutte ma anche la violazione di alcune prescrizioni. Il presidio degli spazi pubblici, infatti, non esaurisce la democrazia, ma deve aprire al conflitto come motore di cambiamento. Già in queste settimane abbiamo registrato diverse situazioni conflittuali, ad esempio nel settore della logistica. Serve però iniziare ad immaginare azioni, soprattutto laddove sia possibile comunicare a tanti e tante, per iniziare a trasformare il programma del mondo che verrà in azione concreta.
3° Workshop – Diritto alla salute, vaccino del comune, riconversione ecologica
[https://www.youtube.com/watch?v=j8by9W-gB0k]
La discussione del tavolo si è articolata attorno a tre assi:l’appropriazione e socializzazione del discorso scientifico, uso democratico del dato; il ripensamento della salute”, come servizio sanitario e come pratica sociale; la costruzione diun piano di riconversione ecologica.
In particolare, la salute è risultata un campo centrale per osservare l’emersione, senza più nessuna possibilità di essere occultata nel discorso pubblico, della centralità della riproduzione sociale. Ripensare la salute infatti significa sicuramente ripensare la sanità ma anche ripensare radicalmente un modello estrattivista e produttivista, riappropriandosi del welfare non solo in termini sanitari ma in termini complessivi. La stessa riproduzione sociale, anche nelle forme della cura, è però essa stessa attraversata da linee di gerarchizzazione, di resistenza e di conflitto. Le lotte che si stanno manifestando – si è sottolineato – non sono quindi solo lotte per il welfare, per la sua difesa contro le politiche di smantellamento: ma sono anche lotte nel welfare, per rovesciarne il modello semplicemente erogatorio, gerarchico e disciplinare. Queste lotte segnalano come fondamentale il tema dell’accesso alla cura e al welfare, contro le diseguaglianze che marcano la crisi e ne segnano anche la gestione, come si sta rilevando con ancor più chiarezza nella “fase 2”. Al tempo stesso, però, queste sono anche lotte per rovesciare i dispositivi di potere che segnano il welfare. Come si è sottolineato, la stessa storia del servizio sanitario nazionale italiano mostra come esso non sia soltanto un servizio pubblico, ma sia anche il risultato di lotte e di conflitti, dalle lotte operaie contro la nocività, al movimento di deistituzionalizzazione psichiatrica, al decisivo impatto del femminismo e delle lotte per l’autodeterminazione.
Nella discussione in particolare la scuola in ha assunto una posizione di centralità a partire dall’attuale contrapposizione tra questa e il paradigma produttivista che si sta ri-articolando nella crisi, nella direzione di un ripensare la scuola in termini di istituzione del benessere psicofisico come risposta alle politiche di ristrutturazione che hanno caratterizzato le politiche neoliberali degli ultimi anni. Va valorizzato in particolare lo stesso momento assembleare, come metodo ed esperienza importante per superare, nelle lotte che attraversano sanità, scuola e welfare, ogni astratta separazione tra “utenti” e “operatori”. Indicazioni preziose anche organizzative, nel recente passato, possono essere ricercate nelle “maree” che hanno attraversato il ciclo di lotte all’inizio del decennio scorso, durante la crisi finanziaria, nonché negli scioperi globali transfemministi ed ecologisti.
Costruire un piano di riconversione ecologica quindi, intrecciando in maniera radicale i temi della salute, del welfare e del modello di produzione, per introdurre tensioni nel processo di transizione che si apre con la cosiddetta “fase 2”.
Interconnettere i piani attingendo a piene mani dai saperi prodotti dalle esperienza di lotta di lavoratrici e lavoratori, movimenti transfemministi e movimenti ecologisti, è risultato rilevante in questo senso il contributo alla discussione da parte delle esperienze di Taranto e Bagnoli che da anni si misurano sulle contraddizioni capitale-salute-lavoro-ambiente. La salute è la posta in palio in un modello produttivo che deve essere ridefinito e ripensato ecologicamente anche nelle stesse filiere del settore agroalimentare. La salute quindi è da intendere come campo di contesa, provando a scardinare e ridefinire gli approcci assistenziali e smascherando i limiti di un modello basato sull’ospedalizzazione. In questo senso, è stata sottolineata la straordinaria importanza dei momenti di autorganizzazione, che sono nati nei territori nel cuore stesso dell’emergenza sanitaria: dagli infermieri ai medici di base, dai circuiti della cura reciproca messi in atto nei movimenti femministi, alle reti sociali e mutualistiche che attraversano le città. Sono da un lato vere e proprie strutture indispensabili per lo sviluppo di un welfare decentrato e che valorizzi l’autonomia, in una prospettiva non invidualizzante ma collettiva della cura: dall’altro, sono embrioni di veri e propri contropoteri nel welfare. Un lavoro di mappatura e coordinamento, anche attraverso gli strumenti dell’inchiesta e della conricerca, è un compito che può assumere grande importanza, come sperimentazione di modalità efficaci di organizzazione politica nella lunga crisi.
Ripensare un modello a partire dalla sua democratizzazione, assumendo i limiti di una sanità centrata sui saperi della struttura e degli operatori, provando invece a sperimentare istituzioni del comune: per esempio, trasformando i laboratori universitari in laboratori della riappropriazione dei dati del comune e contemporaneamente aprire questi luoghi alla trasformazione e alla democratizzazione.Trasformare la salute quindi a partire da un’idea conflittuale di cura e socializzazione dei saperi ad essa collegati.
In questo contesto quindi assumere la riproduzione come chiave per programmare la riconversione ri-articolando il concetto di sicurezza come produzione collettiva e socializzazione dei saperi: il “vaccino del comune” come riappropriazione sociale della sicurezza. Del resto, la ricerca stessa del vaccino va individuata come campo di lotta, come stanno mostrando le campagne che già ora stanno muovendosi per reclamare il public domain nella ricerca sul vaccino. Si è ricordato l’esempio di Act Up come modello importante di capacità di congiungere autocura, sperimentazione di nuove modalità di attivismo e lotta contro la logica proprietaria dell’industria farmaceutica.
Particolarmente suggestivo è risultato il tema dell’“essenziale”, piegato ad oggi al profitto e modulato secondo linee di classe, genere e razza. Invece è necessario assumere l’essenziale come campo del conflitto – il che significa ripensare in maniera radicale e conflittuale una società innervata sui paradigmi dell’austerità e della crisi come elementi immanenti. In particolare si è insistito sul fatto che l’”essenziale” come mostrano le lotte dei lavori necessari, non va confuso con l’idea di “scarsità”, che è appunto dispositivo neoliberale e fondamento delle proposte di austerity, che ci ritroveremo a fronteggiare nella crisi, e che già riemergono nelle levate di scudi industriali contro le pur timide, minime e selettive politiche sugli ammortizzatori sociali. L’essenziale è la centralità della riproduzione sociale, nella sua ricchezza e nella sua capacità di guidare politiche di riconversione, non certo in una sua presunta austera miseria.
Si è assunto il tema dell’inchiesta quindi come pratica tutta da sviluppare attorno allo stato delle infrastrutture fondamentali della riproduzione sociale e del welfare, a partire dalla ricchezza dei saperi collettivi contro l’inadeguatezza dei saperi ufficiali, indispensabili alla programmazione del mondo che verrà.
Questo articolo è stato pubblicato su il manifesto il 13 maggio 2020.