Di FANT PRECARIO
Le chicche. Amico ristoratore, quando vuole fare la cresta sul conto, mi dice: ora ti porto due chicche.
a) Potenziamento della mediazione
Leggo (a caso, tra i primi commenti): tra gli interventi proposti spicca il potenziamento degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie (c.d. ADR – Alternative Dispute Resolution) da esperire anche con modalità telematiche. Quanto alla mediazione civile e commerciale, che nel corso del 2020 ha registrato ottimi risultati (nel 2020 ne ho fatte 71, chiuse 0, magari sono un pessimo risolutore o un arcigno corporativista, chissà…), l’emendamento la incentiva sotto diversi profili. Viene incrementato e semplificato il regime degli incentivi fiscali, già previsti agli artt. 17 e 20 del D.Lgs. 28/10, intervenendo, tra l’altro, sulla misura dell’esenzione dall’imposta di registro, sul regime delle spese di avvio della procedura di mediazione e delle indennità spettanti ai vari organismi e sulla procedura di riconoscimento del credito d’imposta, che viene semplificata, estendendo il credito anche al compenso dell’avvocato e al contributo unificato sostenuto dalle parti (PS: ti chiedono un supplemento per mandare la raccomandata di invito, un supplemento se vuoi farla da remoto, un supplemento sul valore della controversia). Vengono inoltre ampliate le ipotesi di ricorso alla mediazione obbligatoria, comprendendo i contratti di associazione in partecipazione, di consorzio, di franchising, d’opera, di rete, di somministrazione, di società di persone e di subfornitura [estensione: la via del legislatore è lastricata di buone intenzioni conciliative (equo canone, rapporto di lavoro, lo stesso codice di rito e poi ABF e altre perle), sempre abortite; chiedersi il perché? Ricordate la rivoluzione Berlusconiana del processo societario, richiamava il codice del 1865 (quest’ultimo smontato pochi secondi dopo l’emanazione)? Il riciclo sarà anche ecologico, ma pensare talvolta al perché di un fallimento prima di riprodurre un istituto non sarebbe male]. È infine prevista la possibilità per le parti di stabilire che la consulenza tecnica disposta in mediazione possa essere prodotta in giudizio e liberamente utilizzata dal giudice [ma hanno letto, almeno, il Mandrioli sulle prove atipiche? Se la consulenza è resa sull’accordo delle parti perché non dovrebbe costituire principio di prova? “liberamente utilizzata” vuol dire (i) senza esclusioni? ovvero (ii) ipotesi riconducibile al disposto dell’art. 116 II c.p.c. Se è così arridatece Rocco (mi basterebbe Nereo)].
Ma soprattutto: l’obbligare a una mediazione, penalizzare al limite del ridicolo chi non vuole mediare (ignorandone le ragioni) è primo sintomo dello smantellamento del diritto del povero all’accesso alla giustizia.
Giuliano Scarselli osserva che «la parte tutto al contrario, deve preferibilmente mediare ovvero trovare un accordo che soddisfi (non la parte medesima, ma) l’esigenza del contenimento delle liti, ciò a conto di qualche sacrificio individuale, perché compito primario dell’ordinamento, prima ancora che la tutela dei diritti è quello di ridurre la durata dei processi del 40%. E prosegue se poi la parte sceglie di volere in tutti i modi il riconoscimento giudiziale del suo diritto, va da sé che questo diritto non gli può essere impedito. Tuttavia, giusto che per questa sua scelta gli si riservino delle difficoltà. L’esercizio della difesa dovrà così trovare dei limiti. E sempre questa parte potrà essere rinviata davanti a un mediatore. La gestione, l’indirizzo del processo spetterà interamente al giudice. La funzione giurisdizionale non potrà essere nella sua interezza, resa da magistrati ordinari e togati, vi provvederà in gran parte per ragioni di economia, l’ufficio del processo, i mezzi di impugnazione saranno limitati e misurati, soprattutto vi saranno sanzioni e spese da pagare per ogni abuso ed eccesso».
b) Negoziazione assistita
Viene potenziata anche la negoziazione assistita, esperibile anche nelle controversie di lavoro, senza che ciò costituisca condizione di procedibilità della domanda giudiziale. È inoltre espressamente previsto che gli accordi eventualmente raggiunti in negoziazione godano del regime di stabilità protetta contro rinunce e transazioni di cui all’art. 2213 c.c. Quanto alla negoziazione assistita in materia di separazione, divorzio e modifica delle relative condizioni, si prevede che l’accordo raggiunto in tal sede sia titolo idoneo per la trascrizione di eventuali trasferimenti immobiliari, ai sensi dell’art. 2657 c.c. Che un provvedimento dei migliori (notoriamente, potenti) raggiunga risultati di potenza è fuori di dubbio: ma oltre alle parole, cosa?
c) Su a) e b):
Il principio enunciato con le norme di cui sopra è il seguente: scherza con i fanti lascia stare i santi. Oppure, parafrasando Lolli:
Almeno però non si perda
Il senso degli ultimi stenti
Alle mosche rimane la merda
Anche il processo appartiene ai potenti
Il processo, che non funziona (perché non ci sono giudici e personale delle cancellerie: le ultime entrate sono miei coetanei già impiegati nelle dismesse province) va (i) eliminato ove si può, (ii) lasciato nella esclusiva disponibilità dell’impresa, con espunzione del poveraccio.
Si va verso la assoluta liberalizzazione, già avviata – con enorme aumento dei costi – nelle esecuzioni immobiliari e – con immiserimento del servizio – nei giudizi di separazione e divorzio [perché le chiamano consensuali, ma un aiuto dal cognato avvocato che prima ti illude poi (i) se ne fotte; (ii) ti stanga, è quasi sempre previsto]. Vuoi andare in giudizio?
Bene, paghi, avrai un servizio (in tesi) veloce, pessimo (che un giudice non può avere 1000 fascicoli sul ruolo), costoso: le condanne alla rifusione delle spese a controparte sono sempre più elevate, le ipotesi di lite temeraria gonfiate, il contributo unificato esorbitante. Si prevede infatti che la responsabilità processuale aggravata danneggia l’amministrazione della giustizia e quindi che v’è la necessità di dare nuove sanzioni oltre a quelle che già vi sono in base al raddoppio del contributo unificato e agli artt. 96 e 283, III, CPC, favore della cassa delle ammende contro chi abusi del diritto di azione e di difesa. Si sono previste poi sanzioni per chi rifiuta ispezioni sul proprio corpo o sulle proprie cose o rifiuti la consegna di documenti.
Non c’hai il grano? Fai un bel accordo con il marito che ti prende a ceffoni, rinunci a quasi tutto, ma per favore non rompere il cazzo con il diritto al processo.
- Arbitrato
La revisione della disciplina degli ADR interessa anche l’arbitrato, prevedendo particolari accorgimenti al fine di garantire l’imparzialità dell’arbitro e l’attribuzione agli arbitri rituali del potere di emanare misure cautelari previa espressa volontà delle parti in tal senso, da manifestare nella convenzione di arbitrato o in un atto scritto successivo e salva diversa previsione legislativa. Nell’ottica di complessivo riordino della materia e di semplificazione della normativa di riferimento, è prevista anche l’inclusione delle norme in tema di arbitrato societario all’interno del codice di procedura civile. Ottima l’attribuzione all’arbitro del potere di emanare misure cautelari; peraltro, mi pare che certi organismi lo prevedessero, pur tra sussurri e grida: però sapete quanto vi viene a costare? Ovvio che si tratti di misure che guardano all’impresa e non al povero che mai potrà goderne; tanto che da tempo, si consiglia ai clienti insolventi di inserire sempre una clausola arbitrale, per scoraggiare la controparte adempiente ad agire e perpetuare l’inadempimento volontario e unico fine dell’imprenditore che si rispetta.
2. Processo civile
L’obiettivo di efficienza e semplificazione del processo civile è perseguito concentrando nella prima udienza il clou delle attività processuali. Si prevede infatti che l’atto di citazione debba già contenere l’indicazione specifica dei mezzi di prova di cui l’attore intende valersi e dei documenti che offre in comunicazione, sui quali il convenuto è chiamato a prendere posizione fin dalla comparsa di costituzione e risposta. È inoltre prevista l’estensione del principio di non contestazione per il convenuto che rimane volontariamente contumace, se il giudizio verte su diritti disponibili.
Ogni richiamo alla “giustizia” della decisione è rigorosamente omesso.
Non bastava l’estensione del rito del lavoro?
C’hai un avvocato scarso? Cazzi tuoi, paghi e muto: ritorna il processo come gioco, crudele (ma me l’aveva dato il sindacato…).
Sa il legislatore quanto tempo impiega un vecchietto sfrattato a trovare i documenti nella sua casa illuminata da una lampadina da 15 candele?
Ma soprattutto, è evidente l’inutilità della norma. Si tratta di affermazione (la mia) sorretta dall’esperienza. Chi si ricorda dell’abolizione dell’udienza di spedizione a sentenza? Di solito tra la precisazione delle conclusioni e l’udienza di spedizione [unica in toga e davanti al collegio (che le toghe le pagavi 1000 lire e te le passava il cancelliere, luride e lacere)] passavano 3 o 4 anni. Venne abolita l’udienza di spedizione a sentenza, senza “potenziare” gli organici. Risultato, ora tra l’udienza di chiusura dell’istruttoria e quella di precisazione delle conclusioni passa identico numero di anni. Altro esempio: hai due pretori e due giudici di tribunali, sono troppo pochi; che fai? Ne assumi altri? No di certo! Li chiamo tutti giudici monocratici (ora i giudici di tribunale sono 4). Il gioco delle tavolette che fanno all’autogrill di Ovada è più serio. E ancora, qualcuno dei migliori ha mai letto l’art. 183 VI cpc. nella parte in cui prevede: salva l’applicazione dell’articolo 187, il giudice provvede sulle richieste istruttorie fissando l’udienza di cui all’articolo 184 per l’assunzione dei mezzi di prova ritenuti ammissibili e rilevanti. Se provvede mediante ordinanza emanata fuori udienza, questa deve essere pronunciata entro trenta giorni? Lo sa il Togliatti della finanza che il giudice, concessi i termini per le memorie integrative, rinvia per la decisione sui mezzi istruttori a 1-2 anni? Ne consegue che tu fai le memorie subito (scanni il cliente per avere dei documenti che non trova, che gli enti pubblici impiegano tempi esorbitanti a mettere a disposizione, che le controparti occultato) in vista di un’udienza che seguirà ad almeno un anno, ma i tempi non si riducono.
3. Giudizio d’Appello e Cassazione
Quanto al giudizio d’appello, l’emendamento governativo prevede il potenziamento del filtro di ammissibilità e la semplificazione della fase istruttoria del procedimento, delegando ad un consigliere la trattazione della causa e l’eventuale assunzione di nuove prove. Anche il giudizio di legittimità è improntato alla semplificazione, valorizzando i principi di sinteticità e autosufficienza degli atti, uniformando le modalità di svolgimento del giudizio e prediligendo la definizione all’esito di una pronuncia in camera di consiglio.
Vale quanto sopra detto, con il fatto che se vuoi essere autosufficiente devi sbrodolare per 100 pagine, poi arriva Cass. 20589/14 e ti dichiara il ricorso inammissibile perché troppo lungo (100 pagine) e prolisso, affermando che erano sufficienti solo le ultime dodici pagine di motivazioni, rispetto alle 100 pagine presentate.
Si badi, la S.C. ha ragione: tre quarti dei ricorsi fanno schifo, si tratta di atti raffazzonati, il più delle volte riprese degli atti di merito agghindati con qualche massima estrapolata a caso da internet. Ma: perché colpire la conseguenza e non la causa? Perché non ci si chiede perché ci sono più Cassazionisti in Val Bormida che in tutta la Francia?
4. Processo esecutivo
Gli obiettivi di efficienza e speditezza del giudizio si estendono anche al processo esecutivo. Il decreto dispone infatti l’abrogazione delle disposizioni che si riferiscono alla formula esecutiva e alla spedizione degli atti in forma esecutiva (era una tutela, non un vezzo), prevedendo che dei titoli per l’esecuzione forzata sia sufficiente attestare la conformità all’originale. Sono valorizzate anche le misure di coercizione indiretta di cui all’ art. 614 bis cpc (c.d. astreintes), consentendo al giudice dell’esecuzione di poterle disporre quando il titolo esecutivo è diverso da un provvedimento di condanna o la misura non è stata richiesta al giudice che ha pronunciato il provvedimento. Con specifico riferimento all’esecuzione immobiliare è prevista la riduzione dei termini per il deposito della documentazione ipocatastale e il potenziamento delle operazioni di delega – estese anche a fasi, come quella distributiva, finora riservate al giudice dell’esecuzione – seppur con un contrappeso rappresentato da un rigido meccanismo di vigilanza del G.E. sul rispetto delle nuove scadenze temporali da parte del delegato. È previsto il potere del giudice di sostituire il custode giudiziario al debitore nella custodia dell’immobile pignorato, entro 15 giorni dal deposito della documentazione ipocatastale, e l’obbligo di liberazione dell’immobile – se abitato dall’esecutato e dal suo nucleo familiare o occupato da un soggetto privo di titolo opponibile alla procedura – da attuare al più tardi al momento di pronuncia dell’ordinanza di vendita o di delega al compimento delle relative operazioni. Uno delle novità più interessanti sul tema è infine la possibilità per il debitore di vendere direttamente l’immobile pignorato, ad un prezzo non inferiore a quello base indicato nella perizia di stima (c.d. vendita privata): un meccanismo che indubbiamente può prestarsi a favorire una definizione fruttuosa e più rapida del procedimento. Tutta fuffa, la mirabile esperienza monzese (non scherzo) nacque perché gli uffici non consegnavano mai la documentazione ipocatastale (quindi dalla prassi, dalla vita di singoli volenterosi magistrati, non dalla frenesia di Comunione e Liberazione). La delega ai professionisti sveltiva le fasi “amministrative” dell’esecuzione perché i giudici non riuscivano a fare fronte a incombenti gravosi in quanto in numero risibile e non perché inadeguati o meno bravi di notai e commercialisti. E poi, il miracolo proseguì, finché il mercato immobiliare cresceva (tanto in termini di aggiudicazioni quanto in termini di prezzi). Ora che non si vende neppure una cantina, ovvero la si vende a prezzi ridicoli, anche la migliore delle riforme appare inadeguata. Le esecuzioni durano tanto perché bisogna fare 1000 tentativi di vendita; restringere i tempi di produzione della documentazione a 15 giorni ridurrà i tempi di qualche giorno, ma non risolve il problema dell’enorme patrimonio immobiliare assoggettato a esecuzione: strano che i liberali non comprendono che se il mercato non funziona, rivolgersi a questo stesso mercato non conduce a nulla.
L’UFFICIO DEL (NON) PROCESSO
Il d.d.l. interviene sulla disciplina dell’Ufficio per il processo, al fine di portarlo a piena attuazione dopo l’introduzione in via sperimentale ad opera del D.L. n. 90 del 2014. Viene prevista, tra le altre cose, l’istituzione di strutture organizzative analoghe ad esso anche presso la Corte di Cassazione e presso la Procura generale presso la Cassazione.
In dettaglio, sotto la direzione e il coordinamento di uno o più magistrati dell’ufficio, l’Ufficio del processo sarà organizzato individuando i requisiti professionali del personale da assegnare a tale struttura facendo riferimento alle figure già previste dalla legge, nonché ad ulteriori professionalità da individuarsi. Gli addetti si occuperanno, tra l’altro, delle attività preparatorie per l’esercizio della funzione giurisdizionale quali lo studio dei fascicoli, l’approfondimento giurisprudenziale e dottrinale, la selezione dei presupposti di mediabilità della lite, la predisposizione di bozze di provvedimenti, il supporto nella verbalizzazione, la cooperazione per l’attuazione dei progetti organizzativi finalizzati a incrementare la capacità produttiva dell’ufficio, ad abbattere l’arretrato e a prevenirne la formazione. Ancora, previsti compiti di supporto per l’ottimale utilizzo degli strumenti informatici, compiti di coordinamento tra l’attività del magistrato e l’attività del cancelliere, compiti di catalogazione, archiviazione e messa a disposizione di precedenti giurisprudenziali e compiti di analisi e preparazione dei dati sui flussi di lavoro.
Ora te lo traduco:
Una selva di neolaureati, sotto(se)pagati, a recuperare massime, elaborare schemi (perché le bozze altro non saranno che schematiche maschere tipizzate da incrementare con i dati delle parti). E i progetti per incrementare la capacità produttiva dell’ufficio? Attendiamo con ansia l’ennesimo Commissario tutto teso alla riproduzione del modello Genova, ignorando che il processo dovrebbe dirigere la norma verso la vita e non escogitare trabocchetti per estinguere giudizi.
Se ci pensate, accade quello che accade presso gli studi legali grandi (non Dino), cioè nulla – perché come ci insegna il Cinghiale, non serve uno studio grande ma un grande studio. Anche qui migliaia di giovani, strappati allo studio, senza alcuna preparazione (ma è questo un effetto desiderato, meno sanno meno ragionano) cacciati in enormi stanzoni ad attaccarsi il COVID e stordire di telefonate il legale al fine di realizzare ipotetici (impossibili) flussi con cui assecondare gli investitori (che non sono clienti, sono chi ci mette il grano). Però #Milanononsiferma.
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E per concludere facciamoci due risate alla faccia di chi crede che, attraverso lo studio del diritto e la “lotta” tra istituti giuridici si possa far rivoluzioni si debba far poesia, lasciando la parola a Cass. Pen. 33860/21.
La vicenda processuale segue alla sentenza emessa dalla Corte d’appello che, in riforma della sentenza del tribunale con cui gli imputati erano stati assolti (ai sensi dell’art. 131-bis c.p.), dal reato di cui all’art. 633 c.p. in concorso tra loro – così riqualificata la contestazione di concorso in violazione di domicilio aggravata , li ha invece condannati, nuovamente qualificando i fatti come violazione di domicilio aggravata, essendo gli stessi accusati di essersi introdotti nello stabile di proprietà altrui, disabitato ma adibito a deposito e parzialmente arredato, allo scopo di trascorrervi la notte, essendo senza fissa dimora. I Supremi Giudici hanno ritenuto che la fattispecie fosse stata correttamente configurata nell’ipotesi di reato prevista dall’art. 614 c.p., nella sua manifestazione aggravata dalla violenza sulle cose (descritta al comma 4 della medesima disposizione). La S.C. ha richiamato l’insegnamento delle Sezioni Unite, le quali (Cass. pen. sez. Unite, n. 31345 del 23/3/2017, D’Amico, CED Cass. 270076) hanno stabilito, proprio risolvendo numerosi dubbi in tema di concetto di “domicilio” a fini penalistici (in particolare esaminando le condizioni di configurabilità del delitto previsto dall’art. 624-bis c.p.), che rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubbliconé accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale. Ebbene: nel caso di specie, ha osservato la Cassazione, l’appartamento al cui interno si erano introdotti gli imputati, dopo averne effratto una porta finestra, pur essendo disabitato, era utilizzato dal proprietario come deposito di oggetti nella sua disponibilità, tanto da essere parzialmente arredato e da far sì che egli vi si recasse quotidianamente, anche con finalità di controllo. La Corte d’appello, dunque, per la S.C., aveva sostanzialmente evocato i caratteri di configurabilità della nozione di domicilio e di privata dimora, utili a consentire di inquadrare la fattispecie nel reato previsto dall’art. 614 c.p. (anzitutto la volontà di escludere terzi dall’ingresso e dall’uso dell’immobile senza il consenso del titolare e l’essere destinato l’appartamento ad atti della vita privata) ed ha proficuamente richiamato anche la giurisprudenza specifica sedimentatasi in relazione al delitto di violazione di domicilio. In proposito, ha proseguito la Cassazione, anche coordinando tali arresti con le affermazioni delle Sezioni Unite, che, da ultimo, devono guidare l’interprete nella soluzione della questione, rimane fermo che, ai fini della configurazione del reato di violazione di domicilio, il concetto di privata dimora è più ampio di quello di casa d’abitazione, comprendendo ogni altro luogo che, pur non essendo destinato a casa di abitazione, venga usato, anche in modo transitorio e contingente, per lo svolgimento di atti di vita privata (Cass. pen. sez. V, n. 55040 del 20/10/2016, R., CED Cass. 268409; Cass. pen. sez. F, n. 41646 del 27/8/2013, S., CED Cass. 257228; cfr. anche, per i locali saltuariamente visitati e sorvegliati da chi ne abbia la disponibilità, in quanto l’attualità dell’uso non implica la sua continuità e non viene meno in ragione dell’assenza, più o meno prolungata nel tempo, dell’avente diritto: Cass. pen. sez. V, n. 48528 del 6/10/2011, B., CED Cass. 252116). L’attualità dell’uso, cui è collegato il diritto alla tutela della libertà individuale, sotto il profilo della libertà domestica, non implica dunque per i Supremi Giudici la sua continuità: pertanto, non viene meno in ragione dell’assenza, più o meno prolungata nel tempo, dell’avente diritto, la quale, qualora non sia accompagnata da indici rivelatori di un diverso divisamento, non comporta affatto, di per sé sola, la volontà di non tornare ad accedere all’abitazione né quella di abbandonare il domicilio (Cass. pen. sez. V, n. 21062 del 5/3/2004, O., CED Cass. 229190).
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Cari (e poveri) Adamo ed Eva, oggi come ieri, il vostro dio processo non vi salverà: continuate a sudare e soffrire e agognare leggi più giuste.
Immagine di copertina di Joe Loong su Flickr. La prima parte del testo è disponibile qui.