Il primo agosto Toni Negri festeggia il novantesimo compleanno. Raccogliamo qui due interviste, apparse nei giorni scorsi sull’Huffpost e su Repubblica.
DALL’HUFFTINGTON POST
Toni Negri: “La protesta in Francia diventa lotta di classe, in Italia è Meloni, cioè il nulla”
di ANGELA MAURO
Intervista allo storico intellettuale della sinistra extraparlamentare, da anni a Parigi, a pochi giorni dal suo novantesimo compleanno. “Quella francese è lotta di classe endemica continua, c’è il rischio che arrivi Le Pen”. In Italia “hanno votato Meloni contro Draghi, come si votava M5S. Ma non è né Thatcher né Mussolini”
26 Luglio 2023
“Le lotte in Francia sono terminate perché è arrivata l’estate, non perché siano venuti meno i motivi per cui si lottava”, ci dice Toni Negri, storico intellettuale della sinistra extraparlamentare, da anni residente a Parigi. In questa intervista con Huffpost, a ridosso del suo novantesimo compleanno, Negri ci restituisce la sua analisi sulla situazione francese, a valle di mesi di proteste contro la riforma delle pensioni voluta da Emmanuel Macron e di contestazioni nelle banlieue. “La Francia – argomenta – può essere considerata in una situazione che non è pre-rivoluzionaria ma inquieta, di una inquietudine positiva”, una “lotta di classe endemica” che non trova “forme politiche adeguate”, pur avendo resuscitato “strumenti vecchi come il sindacato”. Non si sa dove possa portare, ma Negri, pur intravedendo una reazione certamente positiva al “vuoto” di potere del presidente, che “non ha più una maggioranza parlamentare”, individua anche dei rischi: le proteste potrebbero tirare la volata a Marine Le Pen, sebbene anche lei sia “passiva” in queste piazze, e potrebbero portare la Francia fuori da un “binario democratico”. Quanto al resto d’Europa farebbe bene ad aprire il dibattito su quanto sta accadendo in Francia, argomenta Negri, che in questa intervista riflette anche sulla situazione italiana, sul governo Meloni, il Pd, il Papa.
Che Francia resta dopo le ultime contestazioni che l’hanno messa a ferro e fuoco per mesi?
Le lotte degli ultimi mesi hanno costituito qualcosa di estremamente importante e profondo, una continuità con i gilet jaunes, la prima ondata di lotte sindacali sviluppatesi prima del covid. In Francia c’è una situazione di irrequietezza sociale e di lotta di classe assolutamente chiara. Si è placata appunto perché sono arrivate l’estate e le vacanze. Ma l’inquietudine è generale, palese, garantita, evidente al supermercato come nei caffè, nelle famiglie e tra gli studenti. Una situazione completamente aperta cui corrisponde un Parlamento senza maggioranza e il tentativo portato avanti da tutti i media di dissolvere il fronte che La France Insoumise (movimento guidato da Jean-Luc Mélenchon, ndr.) aveva costituito mettendo insieme tutte le forze di sinistra, un vero Sumar, come dicono gli spagnoli. Una situazione di lotta di classe endemica continua, nata in maniera nuova: dalle fabbriche al sociale. Nata sulle pensioni, sul lavorare meno, sulla contestazione della richiesta governativa di lavorare due anni in più, da 62 a 64 anni per poter andare in pensione. L’interrogativo è: perché vuoi togliermi due anni di vita? C’è qualcosa di completamente nuovo in queste lotte, non possono essere ridotte a lotte economiche. Sono lotte di vita, per la difesa fino in fondo e per l’allargamento fino in fondo di quello che una volta si chiamava welfare e che oggi si chiama universo del care, della cura. Fortunatamente, organismi vecchi come i sindacati sono riusciti a impadronirsi di queste lotte. E non è il sindacato comunista che lo ha fatto, ma essenzialmente il sindacato centrista, quello catto socialista, tanto che si parla del suo capo come possibile prossimo presidente della Repubblica. In Francia è emersa davvero una novità come lotta di classe che si ripropone con nuovi metodi e nuovi obiettivi, personalità, soggetti.
Non c’è il rischio che in Francia tutto questo porti voti a Marine Le Pen?
Fondamentalmente, questo è il rischio. Come andrà a finire, non si sa. Penso che se si andasse a votare oggi Le Pen prenderebbe il 62 per cento. Però questo è un pensiero mio, non so nemmeno se ho ragione: ma il rischio c’è e mi fa paura. Magari la questione non è così drammatica, probabilmente c’è ancora possibilità di trovare qualche blocco alternativo a questa presenza incombente della Le Pen, che tra l’altro è molto abile a non identificarsi con nessuna delle altre forze nazionaliste che circolano in Europa. Si presenta come unicum nazional-sociale francese, anche il suo liberalismo è molto secondario rispetto all’affermazione del sovranismo nazionale che porta avanti. Assomiglia molto di più alla Lega che a Fratelli d’Italia.
Infatti è nello stesso gruppo politico europeo della Lega, Identità e democrazia.
Ma questo significa poco in Francia. Io credo che oggi non ci sia più tradizione a livello partitico. In Francia è andato in crisi il rapporto tra i partiti e le forze che si muovono socialmente con queste lotte. È successo dopo il disfacimento del vecchio assetto della costituzione materiale, che vedeva la destra e la sinistra repubblicana alternarsi al potere o mischiarsi. È successo dopo la spallata di Macron alla stessa costituzione materiale post bellica. Anche Le Pen non interpreta le lotte, interpreta una resistenza sorda ed egoista, ma completamente passiva, non ha un ruolo attivo.
Perché in Francia c’è quella che chiami “nuova lotta di classe endemica”, mentre in altri Stati dell’Ue non c’è?
La rottura c’è anche in Italia. Per questo la gente vota Giorgia Meloni, la vota come resistenza a Mario Draghi, al neoliberalismo, così come ha votato il Movimento 5 stelle in maniera massiccia anni fa. Ma Meloni non rappresenta né un fascismo trionfante, né altro. Non è né Thatcher, né Mussolini, né sul piano economico, né su quello politico, né sul piano del dominio. Lei e i suoi ministri sono nulli. Esistono soltanto perché hanno quella continuità burocratica italiana che tutti i partiti di sinistra sono stati incapaci di scardinare e togliere. Sono il sottoprodotto di una destra incancrenita nelle istituzioni pubbliche. La questione che in Francia è diventata molto pericolosa è la resistenza che il potere esercita contro questa lotta di classe nuova, dinamica e fortissima: la repressione. È impressionante vedere come la polizia interviene nelle piazze. La magistratura ha tentato di denunciare alcuni casi di abusi della polizia e di fronte a questo c’è una rivolta dei poliziotti che fanno sciopero in caserma. C’è una spinta repressiva che si manifesta contro le ‘prudenze’ del potere. Questo mi sembra un pericolo molto grosso ed è un elemento che fa assomigliare la situazione francese a quella americana. Mi pare che Le Pen accentui questi aspetti. E Macron si appoggia al ministro dell’Interno di destra, Gerard Darmanin, che accentua in maniera anche umoristica questi aspetti repressivi. La situazione è pericolosa: questa Francia inquieta può scivolare in maniera pesante fuori dai binari dello sviluppo democratico.
Colpisce che in Italia, ma anche in altri Stati dell’Ue, si parli pochissimo di una situazione così grave, quella francese. È perché si teme un effetto contagio che fa paura?
Questo vale per l’Italia, per la Germania e per tutti i paesi intorno alla Francia. D’altra parte, diverte che anche in Francia non si parli molto di ciò che avviene negli altri paesi. Ci sono delle cose che non funzionano minimamente in Francia. Per esempio, la totale assenza di dibattito sulla guerra. Tutti sanno che la sinistra, France Insoumise, è contro la guerra in Ucraina, senza essere minimamente filorussa. Di questo non si parla assolutamente, è un elemento completamente fuori dal dibattito politico dove invece tutti sanno che Le Pen è contro la guerra ma a favore di Putin.
Come andrà a finire? Cosa potrà avvenire nel rapporto tra la Francia e gli altri Stati europei nei prossimi tempi? Come il dibattito europeo si riflette sulla Francia?
Io dubito che il dibattito europeo possa svilupparsi a partire dalla Francia, che è sempre stata vista con un grosso difetto di valutazione dal punto di vista storico, è stata sempre vista come un sanculotto. E da parte sua, la Francia ha sempre pensato che l’Europa o si conquista o non esiste. L’Europa è sempre stata questo per i francesi, da De Gaulle in giù. Su questo non sono molto diversi De Gaulle, Macron o Melenchon. Sarebbero state differenti le linee politiche su cui questa conquista si faceva, ma la ciliegina della Francia al centro resta per tutti.
La Francia in questa situazione è un elemento di disgregazione ulteriore in una Europa che vede rafforzarsi i nazionalismi e che con la guerra ha dimostrato di non avere autonomia strategica fuori dalla Nato, ha dimostrato di non esistere o contare molto poco.
Sono d’accordo. Questa indifferenza della sinistra francese nei confronti dell’Europa, la chiamo ‘indifferenza’ per non chiamarla ‘esternalità’ e riguarda anche i socialisti che sono nel Partito socialista europeo, crea un gran pasticcio e sarà difficile che si risolva in maniera ottimale. A meno che Macron non si presenti dicendo: noi siamo gli unici europeisti. Lo farà certamente, tentando un’operazione alla Sanchez prima delle Europee dell’anno prossimo. Ma cadrà nel vuoto, non riuscirà a riconquistare la maggioranza su questo, ormai la maggioranza è sfatta. L’unica sua salvezza è chiedere aiuto di volta in volta. Come fa la premier Elisabeth Borne che si affida di volta in volta non a un sostegno di una precisa forza politica, ma al tentativo di trovare un gruppo di deputati dal centro repubblicano e qualche volta anche da sinistra che le danno una mano su ogni legge. Così ha fatto per far passare la legge sulle pensioni. Questo scivolamento è senza fine. Si instaura la lotta di classe come elemento centrale del tutto, ma senza trovare forme politiche adeguate.
Col rischio di ingrossare le fila di Le Pen.
Sì, ma sempre in ruolo passivo. Meloni invece è un’alternativa politica.
Perché non la sinistra?
Troppo spesso abbiamo identificato la speranza comunista con l’Unione Sovietica, che purtroppo ha mostrato di non essere adeguata a rappresentare questa speranza. La seconda cosa è che i partiti non solo hanno tradito lo sforzo di trasformazione, ma hanno accettato una linea di politica economica, istituzionale, democratica nel senso più bieco della parola, cioè senza il controllo dei mezzi di informazione e dunque senza la capacità di inserirsi nel gioco complessivo di una democrazia economico-politica, di destra e liberale. In terzo luogo c’è anche una stanchezza profonda, è un momento di deficienza antropologica. Ma dopo aver visto ciò che è successo in Francia, non sono così pessimista. In Francia sono cinque anni di lotte ogni giorno. Quelle delle banlieue non sono collegate a quelle contro la riforma delle pensioni, però riconducono anche loro ai gilet jaunes, coinvolgono fasce sociali ampie, classi lavoratrici o disoccupate e precari, certe volte spinte ai margini della delinquenza, come una enorme Napoli a Parigi.
Non sei pessimista anche sull’Italia?
Mi sembra che il Partito Democratico sia totalmente incapace di offrire una sponda e che la nuova segretaria Elly Schlein sia molto generosa, ma senza un asse strategico che possa tenere in piedi le cose. Penso però che se in Francia le lotte riescono a riprendere e diventare un’indicazione, sarebbe bene avere delle aperture di dibattito politico sulla Francia. Ripeto: questa storia che persino il sindacato ha sostenuto le lotte, anche se non sono nate lì, è centrale. Le lotte francesi hanno rimesso in gioco questi strumenti vecchi: è una cosa che può succedere anche in Italia. Non è che l’assenza di un partito nuovo o la mancanza di una nuova ondata di movimenti che si congiungono determini la fine di ogni cosa. Può darsi benissimo che altre forze considerate ormai tagliate fuori, vengano riprese e rimesse in gioco. Questa dinamica in Francia è stata una sorpresa grossa. Il che non vuol dire che il prossimo ciclo di lotte francesi sarà guidato dai sindacati francesi, che restano morti. Ma in qualsiasi momento, si è dimostrato che c’è un movimento che riesce a utilizzare quello che vuole. Bisogna avere speranza che anche in Italia, al di là della poltiglia nella quale nuotiamo, ci sia una possibilità di trovare una reinvenzione di strumenti di lotta. Mi dicono che in Italia c’è molta capacità di mobilitazione tra i giovani, a partire da quella che c’è stata in soccorso agli alluvionati in Emilia Romagna. E poi c’è anche un Papa che mobilita molto.
DA REPUBBLICA
Toni Negri. La lotta di classe è sempre aperta
di BRUNO QUARANTA
Il primo agosto il leader di Autonomia Operaia compie 90 anni. E rievoca la militanza giovanile nell’Azione Cattolica, l’ammirazione per Moro, Bobbio e la stagione tragica degli Anni di piombo
28 luglio 2023
A ciascuno la sua lettera scarlatta. Per Toni Negri è un numero, 7, aprile 1979. Il suo Moloch, Autonomia Operaia, finiva in gabbia a Padova. Di fronte sarebbero stati a lungo lo Stato e il teorico dell’anti-Stato, ancorché docente di Dottrina dello Stato. Fin quando il pallottoliere giudiziario formò un ulteriore numero, 17, gli anni di carcere inflitti al professore, che ne sconterà 11 e mezzo.
Toni Negri si avvia a compiere novant’anni a Parigi, l’1 agosto, attaccato ad “una sorgente d’ossigeno”. Si è diradato fino a dissolversi, nel suo studio, il fumo delle ultime mai ultime sigarette che fuoriusciva verso il boulevard dove ancora nitide sono le orme hemingwayane, tra la Coupole e la Closerie de Lilas.
Novant’anni, il ricordo che la conforta?
«Il periodo più positivo, fra l’83 e il ’97, il tempo dell’esilio, io, un sans papiers, obbligato ad arrangiarmi per sopravvivere. A disvelarsi era il mondo postmoderno, azzeratosi il moderno. Lo sfruttamento del lavoro in fabbrica cedeva il passo al lavoro precario: era, è, il capitalismo, che procede per costruzioni e per distruzioni, sempre inverandosi».
Marx sollecitava i filosofi a trasformare il mondo, non solo a interpretarlo. Quale il suo contributo in tal senso?
«L’analisi del movimento operaio, la costruzione di un nuovo soggetto che impronterà gli anni Sessanta-Settanta. Dai Quaderni rossi all’attività politica, fino al 7 aprile. Vent’anni per modellare una prospettiva militante».
Non crede che sia fallita? Se a segnare l’Italia sarà il ventennio berlusconiano?
«È fallita anche la parte più decente della borghesia, che si è lasciata ammaliare e fagocitare dal Cavaliere o Caimano che dir si voglia».
E il Pci? Berlinguer non è mai stato un suo “compagno” ideale…
«Il Pci non ha capito la trasformazione del capitalismo. Si è adeguato a un modello di sviluppo industriale fordista, mai avventurandosi nel post-fordismo e mai andando al di là del keynesismo».
Le è successo di non nascondere la stima per Moro…
«Il quale aveva capito due cose: il Pci era in crisi, giustamente in crisi, una condizione che andava trasformata in fatto politico. Purtroppo sarà il Caf, Andreotti & C., a realizzare l’impresa in termini reazionari».
Torniamo al comunismo. Di fronte alla débâcle del comunismo storico, Norberto Bobbio osserverà: «Forse la redenzione umana non è di questo mondo».
«Lo considero un momento di sconforto di Bobbio. Era kantiano. L’illuminismo ci insegna che la grandezza dell’uomo moderno in ciò consiste: non avere ostacoli, sapere andare al di là di ogni ostacolo».
Che cosa la divideva da Bobbio, che contribuì a farle avere la cattedra di Dottrina dello Stato?
«Affermava che il comunismo non è caratterizzato da una dottrina dello Stato, è pura violenza politica. Secondo me, invece, lo Stato sussiste, non come sovranità assoluta, ma come spazio dove lottano forze diverse».
Einaudi non esiterebbe a parlare di Stato liberale, liberale l’aggettivo declinato in modo rivoluzionario da Gobetti…
«Perché no?».
È nota la sua formazione cattolica, nella Padova degli anni Cinquanta. Le capitò di votare Dc?
«No, mai. Quando militavo nell’Azione Cattolica ancora non avevo diritto di voto. La prima volta scelsi il Pci».
Quale l’impronta cattolica degli anni di piombo?
«Perché cattolica? Direi cristiana. Ovvero amare i più poveri, sceglierli. Siamo giunti a papa Francesco che invita al Sinodo il disobbediente Casarini».
Evangelicamente amare… Ma allora gli omicidi erano quotidiani…
«Ma chi cominciò? Le stragi non erano forse di Stato? Io, comunque, non ho mai ucciso».
E gli ex terroristi italiani che la Francia ha deciso di non estradare e la giustizia nei confronti delle vittime?
«Sono trascorsi più di quarant’anni… In qualsiasi altro Paese avrebbero goduto dell’amnistia. Qualcuno ricorderà l’amnistia Togliatti, la cancellazione dei crimini fascisti».
La Francia brucia, arriverà Marine Le Pen all’Eliseo?
«Se si votasse oggi, al 70 per cento».
E la sinistra?
«O sarà nuova o non sarà. Qualche segnale di incoraggiante lo scorgo. I Gilet Gialli che hanno archiviato lo sciopero classico, inventando lo sciopero sociale. Senza di loro non ci sarebbe stata la rivolta delle pensioni».
Oltre che la sinistra, bisognerebbe fare l’Europa…
«Io sono sempre stato europeista. Fra dieci anni, terminata la guerra in Ucraina, sarà feudo dell’industria e del potere americano. Mentre la Russia sarà sotto l’ombrello cinese».
Come legge il fenomeno Meloni?
«Post-fascismo non vuol dire niente. Si tratta di una svolta autoritaria, molto liberale, incastrata nella continuità delle scelte reazionarie del ceto politico italiano».
Lei ha tre maestri. Machiavelli…
«Insegna che la lotta di classe sta al centro di ogni concezione del potere e che lo Stato è il prodotto di questa lotta sempre aperta».
Spinoza…
«La migliore vita sociale è la vita condotta collettivamente, la vita comune, la moltitudine dovrebbe organizzarsi liberamente, come società amorevole».
Marx…
«Mescola la lotta di classe con la tendenza a edificare un comune materiale e spirituale, politico ed economico».
E Gramsci?
«Auspico che lo si legga, sottraendolo alle macerie, ossia al togliattismo. È uno scrittore rivoluzionario, non il teorico del compromesso storico».
Sua figlia le ha mosso la critica di aver sacrificato la vita all’ideologia…
«I miei figli hanno sofferto molto della repressione ed è giusto che abbiano una certa collera nei miei confronti. Ma fare un film su quella vicenda, come ora sta facendo Anna, è trasformare la sofferenza in una proposta. Stiamo ricostruendo».
Novant’anni. Bobbio affermava che avanzando negli anni gli affetti contano più dei concetti…
«Riecco Bobbio. Riecco aprirsi il dissenso. Io ritengo, con Foucault, che affetti e concetti siano maledettamente intrecciati».
Se ne è andato Kundera… Libération titola: “L’infinie liberté des lettres”. La letteratura come via alla libertà?
«Gli esempi non mancano. Dal nostro Risorgimento, da Alessandro Manzoni, a Victor Hugo per la Francia, a Tolstoj, al Grossman di Vita e destino».
Per lei è prioritaria la libertà o la giustizia?
«Bobbio distingueva, la giustizia contrassegna la sinistra, la libertà la destra. No, sono indivisibili, ora e sempre: giustizia e libertà».