Di GIANNI MAINARDI
Ho frequentato il cosiddetto “cattivo maestro” dal 1963 sino al 2023, 60 anni di rapporti personali e politici che posso dividere in tre fasi.
La prima dal 1963 al 1970 a Porto Marghera, la seconda dal 1970 al 1979 a Milano, la terza 1983-2023 a Parigi.
Porto Marghera per me e per Toni è stata la conoscenza della rude razza pagana, un’esperienza che ci ha insegnato molto dal punto di vista politico. Aumenti uguali per tutti, parliamo del 1966, la lotta per la riduzione del lavoro come risposta alla nocività del lavoro in una fabbrica chimica. Una lotta di classe iniziata nelle fabbriche, che si è allargata al territorio grazie ai tanti pendolari e che è diventata sociale.
In questo contesto il livello di scontro con la polizia era molto duro. Mi ricordo una volta che la polizia era in difficoltà e sparava ad altezza d’uomo. Ho placcato per terra Toni.
Ne 1970, in Piazza Duomo a Padova, Toni mi dice: “Gianni qui nel Veneto abbiamo dato tutto, se vogliamo continuare questo processo rivoluzionario dobbiamo andare nella capitale dei padroni e della classe operaia. Destinazione Milano.”
Fino al 1979 interveniamo a Milano. Il livello dello scontro in quegli anni è notevolment*e aumentato e abbiamo capito che l’esperienza dei gruppi non era più all’altezza della situazione. E’ nata così l’esperienza dell’Autonomia Operaia. Stato e padroni si sono organizzati: bombe e tecnologia in risposta alle lotte operaie. I casi della vita mi hanno portato a lavorare come manovale alla fonderia dell’Alfa Romeo di Arese, dove ho visto nel 1977 arrivare in fabbrica i primi robot. Primo passaggio per far sparire la figura dell’operaio-massa e il ruolo centrale della fabbrica. Toni, in sintonia con queste modificazioni e con le lotte che si sviluppavano, ha portato avanti un discorso sull’operaio sociale.
In questo contesto è arrivato il 7 aprile, con gli arresti di migliaia di compagni si è creato un grosso vuoto. A tutto questo ha contribuito anche l’azione dei “Brividi”. Ero davanti ai cancelli dell’Alfa per organizzare dei picchetti di uno sciopero autonomo quando è arrivata la notizia del rapimento Moro. La mia prima reazione è stata: qui la musica è finita.
La repressione continuava a colpire, non ho seguito Toni in carcere e sono andato in Messico. I rapporti con lui si sono quindi interrotti per circa cinque anni.
Nel 1983 Toni è arrivato a Parigi, abbiamo ripreso a vederci. Mi diceva che il carcere era un inferno, ma di aver trovato un angelo in Spinoza che gli ha permesso di resistere a quelle condizioni.
La Francia ha dietro di sé una grande storia di lotte e questo ci ha permesso di vedere le cose positivamente. Mi ricordo che nel 1995 la Francia a causa degli scioperi era completamente bloccata. Con Toni un giorno ho visto alla Bastiglia arrivare il corteo dei ferrovieri che esprimeva una grande potenza. Vidi Toni con le lacrime agli occhi. Abbiamo poi seguito con amore le lotte dei gilets jaunes: Toni aveva difficoltà a muoversi, per cui mi son messo a fare la radiocronaca delle manifestazioni. La stessa cosa è successa con i grandi scioperi sulle pensioni. Questi comportamenti hanno dato a Toni la concretezza della sua ipotesi sulla moltitudine.
Aumenti uguali per tutti negli anni 70, passaggio dall’operaio massa all’operaio sociale e rifiuto di questo tipo di organizzazione del lavoro, la moltitudine. Questi sono stati i passaggi che hanno contribuito allo sviluppo del pensiero teorico di Toni. Dopo la partenza di Toni, il problema per chi gli è stato vicino è come donare continuità al suo pensiero. Viviamo in un mondo che sta continuamente cambiando, Toni ha contribuito a costruire un nuovo edificio del pensiero per creare le condizioni di vivere in un altro modo da quello che ci costringe questa società. In parole povere creare le condizioni per andare al di là del pensiero di Marx, creare le condizioni di un nuovo Manifesto. Questo è il compito che ci attende per rispettare la figura di Toni.