di BENEDETTO VECCHI
Un saggio ambizioso questo Il postumano di Rosi Braidotti (DeriveApprodi, pp. 256, € 17.00). La filosofa, di origine italiana ma cosmopolita per scelta, si propone infatti di gettare le basi di un pensiero filosofico materialista e femminista che consenta di uscire dai vicoli ciechi che il poststrutturalismo ha imboccato dopo avere sottoposto la critica l’umanesimo, considerato, nella genealogia proposta da Rosi Braidotti, un dispositivo teso a produrre soggettività «allineate» con il potere costituito. Il poststrutturalismo, e il pensiero femminista di fine Novecento, ha ritenuto che il «soggetto» proposto dalla filosofia occidentale sin dalla Grecia antica fosse animato da una vorace tensione universale che cancella differenze e punti di vista alteri rispetto a quelli dominanti. È stato poi compito dei movimenti sociali e femministi sottolineare che avesse un «profilo» invariabilmente occidentale e maschile.
L’inganno dell’universalismo.
Questo non significa che non ci siano state articolazioni anche antitetiche nella sua concettualizzazione da parte di diverse scuole di pensiero. Per Braidotti, però, il soggetto caro alla filosofia occidentale è stato una cortina fumogena tesa a occultare gerarchie e rapporti di potere presenti nelle società. E se il femminismo ha letto il conflitto tra i sessi a partire di un punto di vista politico partigiano, quello delle donne, i movimenti postcoloniali hanno sottoposto a critica la pretesa normativa dell’universalismo occidentale nei confronti di uomini e donne non occidentali.
Rosi Braidotti non ha mai nascosto i debiti nei confronti della tradizione filosofica. Nel suo posizionamento rispetto ad essa non ha mai taciuto di aver attinto al pensiero illuminista, né ha mai taciuto la sua collocazione politica, che l’ha portata a leggere con attenzione i testi del pensiero critico, sia nella sua versione marxiana che francofortese. In questo Postumano si dilunga diffusamente sulla cangiante costellazione culturale che ha orientato il suo percorso teorico. Emerge una successione di testi e filosofi che può creare smarrimento, ma che per Rosi Braidotti è da intendere come un metodo per segnalare le tappe, mai un punto di arrivo della sua produzione teorica. In fondo, è suo quel concetto di soggetto nomade che ha appartenenze multiple, sempre in divenire, che può tuttavia «posizionarsi» criticamente rispetto il reale. Nel «postumano» proposto dalla filosofa italiana occupano un posto rilevante le trasformazioni intervenute da quando la scienza e la tecnologia sono sempre più usate per potenziare il corpo umano o per prolungare la vita biologica di uomini e donne. Sono temi che Rosi Braidotti ha affrontato spesso nel suo percorso teorico.
Sono note le sue riflessioni sulla figura del cyborg, così come le sue incursioni nel territorio pieno di insidie della manipolazione biotecnologica del corpo. Ogni volta sono state messe in discussione le coppie analitiche di natura e cultura, di naturale e artificiale. Ma mai la filosofa italiana ha superato il confine che distingue l’umano dall’inumano. Con questo libro, il confine è invece oltrepassato. Affermare che occorre fare i conti con il postumano significa quindi inoltrarsi in un territorio abitato da essere viventi che sono il prodotto di una manipolazione tecnologica dei materiali biologici che compongono il proprio corpo. Sono cioè corpi assemblati, scomposti e ricomposti. La tecnologia è da interpretare sia come una protesi che innesto nel corpo. La manipolazione del Dna, invece, consente di modellare il corpo come meglio si crede; lo stesso si può dire per la medicina, che non solo consente di prolungare la vita biologica, ma di scomporre la morfologia del corpo umano. Tutto ciò, sottolinea Rosi Braidotti, modifica, trasforma, sovverte la produzione della soggettività, cioè il modo di stare al mondo di uomini e donne. In altri termini, la figura di Proteo non ha nulla delle caratteristiche drammatiche della tradizione filosofica greca. Una volta che si è appropriato della conoscenza prerogativa degli dei, l’essere umano è diventato un ibrido di materiale organico e inorganico che che modifica a sua immagine e somiglianza la natura. Può quindi fare a meno degli dei, al punto che può sconfiggere la morte. Rosi Braidotti non è una nichilista che vuole legittimare la realtà. Vuol delineare i campi di intervento di una etica pubblica della condizione postumana, che viene continuamente qualificata – nel volume sono presenti più definizioni del postumano, proprio a sottolineare che la sua è una ricognizione sempre in divenire delle diverse teoriche sul postumano – e interrogata nelle sue conseguenze. È cioè consapevole della necessità di regolamentare, ad esempio, la manipolazione del Dna, ma avverte che questo non può significare porre dei limiti alla ricerca scientifica. Allo stesso tempo l’elaborazione di una etica pubblica sul postumano deve evidenziare il lato oscuro, cioè la riduzione del corpo a merce che può essere scomposta, smembrata, venduta e riassemblata secondo rapporti di potere che vede sempre dei dominanti e dei dominati. Anche in questo caso, però, non possono essere posti dei limiti alla autodeterminazione del proprio corpo. È su questo doppio movimento – libertà di manipolare il corpo e rapporti di potere esistenti nel vivere in società – che una filosofia materialistica del postumano deve prendere posizione.
L’organico e l’artificiale.
Un libro dunque ambizioso e importante, perché teso ad evidenziare appunto le trasformazioni avviate dall’uso intensivo della scienza e della tecnologia. Rosi Braidotti ritiene infatti che integrazione tra organico e artificiale sia già alle nostre spalle. Il pensiero critico devo quindi indagare le trasformazione già intervenute. Sulla riduzione del corpo umano a macchina l’analisi di Rosi braidotti è puntuale. Significative sono anche le pagine dedicate alla produzione di soggettività. Assente, però, è come il postumano sia una componente fondamentale della produzione di ricchezza. Il cyborg, così come il soggetto nomade, sono fattori costituenti del regime di accumulazione capitalistico. Il potenziamento delle facoltà manuali e cognitive degli umani è ovviamente funzionale a ritmi di lavoro sempre più intensi e a processi produttivi sempre più complessi. Inoltre, la mappatura del Dna diventa la condizione necessaria sia per lo sviluppo di nuovi settori economici che per innovare l’industria farmaceutica. Allo stesso tempo il soggetto nomade è la figura indispensabile per una economia fondata sulla flessibilità. Un’etica pubblica sul postumano non può dunque che prendere posizione su un regime di sfruttamento che fa della simbiosi tra umano e macchinico il suo tratto distintivo.
Pubblicato su “Il manifesto” del 18/2/2014