di MARTINA TAZZIOLI.*

L’existence des séries de banalités  biographiques qui commencent à devenir l’objet d’un savoir […] toute cette grisaille a peine irrégulière (Foucault, 2013)

“Prima non vi erano che dei soggetti, dei soggetti giuridici […] adesso ci sono corpi e popolazioni. Il potere è divenuto materialista” (Foucault, 2000, p.1013): così ne Le maglie del potere, Foucault sintetizzava il modo in cui nelle società contemporanee la vita è diventata al centro di tecniche politiche di regolazione, capitalizzazione e calcolo. Questa ‘presa’ calcolata sulla vita, definita con il neologismo di biopolitica da Foucault, ha tuttavia, se seguiamo la genealogia tracciata da Foucault stesso, un oggetto primario su cui va a esercitarsi che non è la vita in quanto tale ma la popolazione. Ora, a che tipo di ‘presa’ sulla vita ci troviamo di fronte nelle forme di biopolitica attuali, quando la realtà della popolazione non è il livello su cui si esercita la regolazione della molteplicità?

Cosa è una popolazione? Da chi è formata? “Una molteplicità di individui” la definisce Foucault in Sicurezza, territorio, popolazione,  nella lezione dell’11 gennaio “che sono ed esistono fondamentalmente ed essenzialmente in quanto biologicamente legati alla materialità all’interno della quale vivono” (Foucault, 2009). E questa molteplicità, per essere oggettivata come ‘popolazione’, viene assunta, riferita e governata rispetto a un certo spazio – quello della città ma soprattutto, storicamente, lo spazio della nazione, che seppur mai direttamente al centro dell’analisi di Foucault, fa da cornice e viene presupposto nelle riflessioni sul funzionamento dei dispositivi di sicurezza nel Corso del ‘78. Uno spazio, dunque e una serie di determinazioni, caratteristiche biologiche che definiscono le “curve di normalità” rispetto a cui ogni fenomeno deve essere governato o “delimitato all’interno dei limiti accettabili”, senza comprendere la totalità dei soggetti in quanto tale ma, piuttosto, ciò che Foucault definisce “il livello pertinente della popolazione” (Foucault, 2009, p.92). Su questo punto è importante aprire una breve parentesi, che in realtà necessiterebbe un intervento a parte, per dire che una serie di autori, tra cui Stephen Legg e Ian Hacking, hanno mostrato come ‘insiemi-popolazioni’ sono stati costruiti, soprattutto a partire dalla seconda metà del XIX secolo, su una base differente da quella nazionale: statistiche sulle patologie o le devianze che si riferivano a una parte della popolazione nazionale, a sotto-popolazioni definite appunto a partire da determinati fenomeni fuori norma, da mappare, diagnosticare, calcolare (Hacking, 1982; Hannah, 2001; Legg, 2005). Ma anche in questo caso di popolazioni prodotte su base non nazionale, e rispetto a cui non è così scontato rintracciare un referente spaziale definito, ciò che importa all’interno di questa problematizzazione su popolazioni migranti, è l’omogeneità, la serie di elementi in comune che caratterizzano anche queste sotto-popolazioni non nazionali – omogeneità data per l’appunto dalla stessa patologia o fenomeno che si intende mappato. È precisamente questo presupposto che, come vedremo, viene a cadere quando guardiamo a coloro che vengono governati in quanto migranti.mob1

La popolazione, dunque, si presenta come l’immancabile correlato che definisce l’azione stessa di governo, la sua superficie di presa. A tal proposito merita ricordare che nonostante spazio e soggetti siano indissociabili nel funzionamento di una tecnologia di governo si tratta certamente di un governo attraverso lo spazio, ma che nella prospettiva foucaultiana ha come suoi oggetti e punti di presa condotte e individui, presi singolarmente o come facenti parte di un gruppo: “non si governa mai uno stato né un territorio, né una struttura politica, si governano persone, individui o collettività” (Foucault, 2009). Le tecniche di governo che si esercitano sulla popolazione e costituiscono quella molteplicità di individui come un insieme governabile, hanno come scopo quello di incrementare la salute della popolazione stessa. E questo doppio livello – governo delle molteplicità e presa sulle singole condotte, omnes et singulatim – precisamente anche quello su cui merita insistere nelle analisi stesse sulla popolazione, sulla classificazione statistica: di fatti, l’insistenza da parte di Foucault sul doppio livello permette di anticipare una considerazione che caratterizza le analisi correnti sugli insiemi-popolazioni, o se non altro sulle popolazioni non nazionali, rispetto all’importanza degli elementi qualitativi accanto a quelli quantitativi. Ovvero, non solo quali curve statistiche di normalità sono in gioco ma anche che tipo di soggettività specifiche, di profili e condotte di mobilità sono presupposte e prodotte come elementi costitutivi di gruppi-popolazione.

Ora, a fianco di questa determinazione “positiva” della popolazione, che si presenta al tempo stesso anche come oggetto e soggetto costituente dello spazio dello stato nazione, in realtà Foucault fa apparire a margine un’immagine e una definizione di popolazione molto più fluttuante e instabile, che lascia di fatto indecidibile. Una presenza, forse più che una nozione ben distinta, che emerge ai confini stessi della governabilità. Una contro-popolazione, verrebbe da dire, o una sotto-popolazione che racchiude ciò che non è inscrivibile né governabile da quelle leggi di normalità. È la popolazione impossibile, la popolazione come ‘problema’, ossia l’insieme di soggetti e condotte che sfugge alle regolarità attraverso cui un oggetto popolazione può propriamente essere definito. Ancora lezione dell’11 gennaio: è qui che Foucault ne parla riferendosi al governo della città: “il problema della città del XVIII secolo è quello di fronteggiare l’insicurezza proveniente dall’influsso di una popolazione fluttuante di mendicanti, vagabondi, delinquenti” (Foucault, 2009, p.34). Qualche pagina dopo Foucault definirà quella contro-popolazione in termini di “popolo” come insieme di soggetti che resistono e rifiutano di essere una popolazione (pp. 64-65). Soggettività indocili che si sottraggono alla soglia di governabilità. E tuttavia, mi sembra che non sia appropriato parlare di una ‘contro-popolazione’ che si determina per difetto, come insieme di elementi e condotte che sfuggono alla presa governamentale. Di fatti, oltre a indicare questo aspetto certamente rilevante, di attrito, sottrazione e rifiuto, quella soglia di ingovernabilità designa in realtà una funzione interna alla popolazione ‘positiva’, vale a dire ciò che della popolazione non può essere parte, per far funzionare i suoi stessi margini – che delimitano non soltanto il ‘dentro’ ma i suoi meccanismi di oggettivazione per partizione. In fondo, la capacità di tracciare una divisione tra buona e cattiva circolazione costituisce il principio di funzionamento stesso dei dispositivi di sicurezza. Un limite/soglia di ingovernabilità, non fissato una volta per tutte ma al contrario oggetto di costante ridefinizione, un limite o per meglio dire un’eterogeneità di soggetti prodotti come ‘resto’ e rispetto a cui possono instaurarsi specifiche pratiche di governo, di contenimento o di controllo. Quindi un’ingovernabilità che lungi dal comportare un’ assenza di controllo nei confronti di quei soggetti ‘eccedenti’ indica una loro cattura sotto una forma diversa, o se non altro inassimilabile, rispetto al governo della popolazione. E questo non solo in virtù di un’assenza di omogeneità interna ma anche, anticipo qui, di una produzione  differente della norma.

Il punto rispetto a cui vorrei provare a interrogare la griglia foucaultiana del governo riguarda ciò che definirei il carattere di indecidibilità della norma che è al lavoro in quel contesto e, insieme, i meccanismi di individuazione e di presa sui soggetti che sono in gioco nel governo delle migrazioni. Vorrei però tornare prima ai testi di Foucault e provare a riformulare quanto detto concentrandomi sulla produzione e sul governo del ‘resto’, sui suoi margini di non governabilità e sul suo eccesso rispetto alle condizioni stesse della sua produzione. E per farlo riparto però da un Corso antecedente a Sicurezza, territorio, popolazione, in cui dunque l’oggetto popolazione non è presente in quanto tale ma in cui, a mio avviso si possono rintracciare alcuni elementi utili per comprendere questa produzione di resto di cui parlavo prima; al contempo, questo Corso ci permette  di qualificare meglio questa non-popolazione che è oggetto di governo e che al tempo stesso vi resiste, facendo di quel resto un eccesso: La société punitive, le lezioni al Collège de France del 1972-1973. La produzione e il governo del ‘resto’, di un resto però interno e costitutivo del funzionamento delle società moderne, è in effetti il modo in cui può essere letta l’apertura del  Corso, dove Foucault si propone di provare a “classificare le società sulla base […] del modo in cui governano coloro che cercano di sfuggire al potere, come reagiscono di fronte a coloro che trasgrediscono, violano o contraddicono le leggi”. E tuttavia, al contempo mostrare come questo governo del resto in eccesso non sia però fondato principalmente sull’esclusione. Questa riflessione sul governo di soggettività e collettività resistenti o irriducibili all’insieme popolazione coniugata con una messa in discussione del paradigma dell’esclusione mi sembra sia una lente analitica che ben ci aiuta ad analizzare la funzione stessa della produzione e del governo dei “resti”, e dunque anche del governo delle migrazioni. Ora, nell’assumere i meccanismi di penalità come “analizzatori dei meccanismi di potere” Foucault va a guardare i soggetti su cui questi agivano nella Francia del XVIII secolo e soprattutto il tipo di soggettività che, producendo, presupponevano: ciò che emerge  è una “contro-società” fatta di voleurs, vagabondi, delinquenti e più in generale modalità di esistenza colpevoli di esercitare un “illegalismo per dissipazione”; vale a dire, un rifiuto del lavoro, della produttività e dunque dei meccanismi disciplinari di presa sul tempo degli individui, che mirano a ‘fissare’ i corpi agli apparati di produzione.

Un dressage disciplinare, attraverso cui si cerca di garantire da un lato la produttività all’interno dei meccanismi di produzione capitalista; e dall’altro una ‘presa’ sul tempo della vita e una regolarità, e dunque governabilità, rispetto ai modi di vita di coloro che si sottraggono – fuggendo, migrando o rifiutando ogni operosità. Ne La société punitive Foucault definisce quell’eccesso da governare descrivendo come l’ irriducibile alla popolazione  resiste i meccanismi di fissazione dei corpi agli apparati di produzione sono quell’insieme di tecniche di dressage, regolamenti, coercizioni corporali, istituzioni di incarceramento o pedagogiche che funzionano come dispositivi di cattura di una potenziale forza-lavoro recalcitrante;  una vita che non accetta “di sintetizzarsi in forza lavoro”. Credo sia importante far apparire il modo in cui l’oggetto governabile “popolazione” non racchiude né include tutti i soggetti che sono comunque oggetto di tecniche di governo, di classificazione e di partage. Un eccesso per sottrazione: nel Corso del 1978 una molteplicità – le peuple – irrecuperabile all’interno dell’insieme omogeneo popolazione; ne La société punitive una “contro-società”, una “contro-collettività” (Foucault, 2013, p. 219) che corrisponde ai vari comportamenti “irregolari”, di diserzione nei confronti del dressage produttivo. In tale prospettiva, le pratiche di mobilità non autorizzata fanno parte proprio di quelle forme di rifiuto della presa sulle vite esercitata dai meccanismi di produzione – nel duplice senso di produzione dei soggetti stessi, in quanto forza-lavoro, e produzione economica. E, più in generale, rifiuto di ogni istituzione di normalizzazione, che mira a ricondurre gli individui all’interno di una soglia accettabile di devianza o di illegalismo.

Una delle ragioni dell’ interrogarsi sulla produzione della norma e, insieme,  sul tipo di governo delle molteplicità in gioco nel governo delle migrazioni dipende dalla necessità di decifrare il tipo di ‘presa’ sulle vite che caratterizza il governo delle migrazioni e dal fatto che con la definizione di campo di governamentalità specifico – migration management- vengono delineate popolazioni sui generis, o meglio gruppi temporaneamente governabili.

Quello che voglio provare a suggerire è che vi sono due livelli, oggetti “popolazione” che in parte si sovrappongono. Uno è quello della popolazione dei cittadini rispetto a cui i migranti risultano in eccesso, o (in parte) esclusi. In fondo la contro-collettività di cui parla Foucault come insieme dei comportamenti resistenti al sistema produttivo capitalista, nonostante sia definibile come l’irriducibile alla popolazione è comunque definita negativamente rispetto all’insieme positivo della popolazione: per quanto vengano messe in atto istituzioni di normalizzazione, apparati di sequestro specifici, per quelle vite che rifiutano di essere ‘messe al lavoro’, si tratta comunque di un ‘resto’ interno allo stesso spazio di governamentalità da cui tentano di sottrarsi. Tuttavia, vi è anche un altro livello di ‘popolazione’, o meglio collettività, molteplicità come oggetto delle tecniche di governo, che emerge precisamente dalla definizione stessa di un campo/spazio di governamentalità specifico, che si attiva per contenere, regolare e selezionare i movimenti e lo stare di coloro che vengono definiti e prodotti come migranti. Quando si parla di un regime delle migrazioni ci si riferisce a un insieme di pratiche discorsive, tecniche di governo, leggi e politiche  che si esercitano  sui corpi e sui singoli soggetti, certo, che in alcuni momenti si trovano a confrontarsi a tu per tu con varie forme di confine: l’identificazione tramite la presa delle impronte digitali, la prova di confine dei visti, l’espulsione dal paese in quanto “clandestini”, o infine il diniego ricevuto a fronte della domanda di asilo. E tuttavia queste forme di illegalizzazione, che sono al tempo stesso pratiche di individuazione – ovvero di produzione di soggettività ‘irregolari’ – vanno inserite all’interno di una ‘presa’ sulle vite e di meccanismi di partizione che avvengono prima di tutto a livello delle molteplicità. Un governo dei e attraverso i numeri, come i bollettini dei migranti arrivati nei porti siciliani quest’anno (oltre che i numeri dei morti); ma una governo che conta per selezionare, escludere, tracciare partages e dividere gruppi esistenti per formarne altri.

Chiaramente bisogna distinguere, la ‘selezione’ durante gli arrivi sulle coste italiane, ciò che viene definito il management delle rotte migratorie – e dunque il passaggio di un numero rilevante di persone lungo un certo percorso – o quella che è la gestione di un campo di rifugiati e dunque di un insieme per niente omogeneo di persone in un luogo circoscritto e governato da regole precise. Un governo che, per quanto sia estremamente produttivo – attraverso un’incessante creazione di nuovi profili giuridici, di spazi ad alto monitoraggio, di controlli a distanza e criteri di partizione – deve essere tuttavia in parte distinto dall’accezione di governo di cui Foucault traccia la genealogia in Sicurezza, territorio, popolazione associandola nel contesto moderno e contemporaneo a un oggetto su cui il governo ha presa – la popolazione – e alla sua messa a valore, alla sua massimizzazione. Di fatti, nel governo di coloro che vengono classificati e gestiti come migranti, per quanto il migration management venga promosso in nome di una ‘migrazione ben regolata’, non vi è uno stato ottimale o ideale, una stabilità o un potenziamento desiderabile. Al contrario, vi è sempre un eccesso presentato come il limite del governabile. Ora vorrei soffermarmi ancora un momento su questa produzione di collettività divisibili che caratterizza il regime delle migrazioni. Innanzitutto, le politiche migratorie non possono essere analizzate indipendentemente da un governo dei numeri: si può dire, in effetti, il governo delle migrazioni è prima di tutto un governo dei e attraverso i numeri. Ma appunto, come ricordavo sopra,  numeri solo inizialmente e apparentemente equivalenti che sono assemblati per essere divisi, differenziati. Gruppi temporaneamente governabili, in cui ciascuno dei soggetti che li compongono andrà poi a far parte di nuove molteplicità divisibili, o di profili migratori in costruzione.mob3

‘The mob’ è il termine usato da alcuni autori per designare l’eccesso ingovernabile che le politiche di cittadinanza e di mobilità intendono regolare. The mob rappresenta l’antinomia del popolo, l’eccesso e il tumulto che è percepito come minaccia per le forse democratiche. Tuttavia, nel caso delle migrazioni non è sufficiente arrestarsi al livello di quello che può essere una molteplicità ingovernabile, anche per il proprio essere numericamente eccedente – e dunque appunto ‘the mob’: infatti a essere in gioco è la produzione di temporanee molteplicità divisibili, formate e governate in base  a criteri geopolitici, politici o amministrativi che di fatto vanno a definire quella stessa molteplicità. Uso il termine ‘non-popolazioni’ proprio per sottolineare non tanto l’assenza di caratteristiche, elementi oggettivanti che definiscono il tratto comune di quei soggetti1 – anche se spesso l’evidenza di un criterio di ‘naturalizzazione’va a complicarsi con altri e risulta inafferrabile;  invece, serve per indicare un procedimento inverso a quello di un insieme-popolazione definito come tale sulla base di un’omogeneità riproducibile e da riprodurre. E per questo, se certamente vi è una norma intesa come principio (mobile) di governabilità,  non vi è una vera e propria norma a suo sostegno in senso statistico, né una curva di normalità da rispettare. Questo non solo per l’estrema variabilità, mobilità della norma, che in questo contesto funziona come criterio di governabilità, ma anche per la produzione di un resto che non corrisponde all’anormale.

Un resto che è costitutivo del meccanismo di governo per divisione che caratterizza il confinamento delle pratiche di movimento dei e delle migranti. Un resto che produce contribuisce a creare nuovi profili migratori, profili di scarto; e un resto su cui si regge il meccanismo stesso dell’umanitario. Ma un resto che va anche a definire una molteplicità dispersa dei pochi, una politica dei numeri invertita potremmo chiamarla rispetto all’’irruzione non prevista dei senza parte sulla scena del politico (Rancière, 2007): il resto di chi resta, quell’esiguo eccesso che a differenza del mob è l’inassimilabile per difetto e che sfugge a ogni cattura rappresentativa, incalcolabile come ‘parte’; quel ‘pochi’ che viene argomentato sulla base di una classificazione, partage spaziale, riuscito rispetto ai molti e che l’esiguo resto non va a inficiare. Un resto che resta, dunque e che tuttavia talvolta fa saltare proprio quei margini su cui si reggono la serie di partages e di produzioni di profili escludenti; di fatti, il governo delle migrazioni e dei migranti prevede che, per funzionare, non tutti siano governabili, assimilabili o definibili da quelle categorie. E tuttavia, come  Hacking osserva, “l’effetto inatteso”  del contare classificando, non può essere mai del tutto eliminato dall’operazione stessa della ‘conta’. Un inatteso che nel contesto delle migrazioni spesso consiste appunto nella produzione di un resto che resta. Un inatteso funzionale a moltiplicare ulteriormente il numero dei profili e delle categorie stesse, e dunque degli strumenti a disposizione per dividere ulteriormente l’esigua molteplicità. Ma un inatteso che in parte semplicemente resta, in eccesso, anche se numericamente irrilevante.  ‘La paura dei piccoli numeri’ a cui mi riferisco differisce però in parte da quella descritta da Appadurai nel suo celebre capitolo con questo nome. Di fatti, il resto di cui parlo non indica la minoranza che fa traballare ogni coesione interna del demos, di ciò che, come Appadurai spiega, nel pensiero liberale corrisponde al numero zero come unione degli uno. Piuttosto, il ‘pochi’ in questo caso è il resto che rende possibile i partages escludenti tracciati dai profili migratori; e al tempo stesso è ciò che rende manifesta l’intollerabilità di quelle partizioni e di cui, agendo come resto, fa implodere i suoi confini.

Il resto che resta può essere preso anche come punto di partenza per invertire lo sguardo e soffermarci su come quelle temporanee molteplicità divisibili producono un esiguo eccesso, che può dare luogo a un’interruzione di quella presa governamentale. Nel dire questo ho in mente una lotta in uno spazio di migrazione  e di confinamento che si è andato configurando sempre più come spazio di resti, per lo meno a partire dal momento in cui è stato politicamente invisibilizzato. Si tratta dello spazio del campo rifugiati di Choucha, in Tunisia al confine con la Libia, ormai un non-campo per le autorità tunisine e gli attori dell’umanitario che lo gestivano. O meglio, un non-spazio, uno spazio inesistente da quando è stata decretata la sua chiusura come campo di rifugiati, come luogo dell’umanitario. Ma da quel deserto di tende alcuni hanno rifiutato di andarsene: coloro che erano stati diniegati dall’Alto Commissariato per i rifugiati e dunque illegalizzati come migranti economici senza permesso sul territorio tunisino. Alcuni, quelli che non hanno tentato la traversata del Mediterraneo, sono rimasti per uno spazio in cui stare. Sono “pochi” ormai rispetto ai numeri dei grandi campi a cui ci abituano i gestori dell’umanitario; 150 circa, ma c’è chi dice 90, e poi dipende se di giorno o di notte. In fondo, come sottolinea Didier Fassin, “la statistica è molto più di una tecnologia che produce informazioni sulle popolazioni […] è anche un potenziale indicatore delle politiche della vita” (Fassin, 2014, p.37) ragion per cui quando “le vite non si contano più, non contano più” (p.140).

Perché in fondo, i “pochi”, che di fatto l’umanitario smette di contare  e lascia non-contati, sembra essere ciò che viene lasciato sfuggente, quel resto che proprio per la sua irrilevanza deve restare indistinto, approssimato. “Choucha ha funzionato come campo perché per tutti è stata trovata una soluzione, quelli che resistono e non accettano di rientrare nel loro paese o di installarsi in Tunisia sono poche unità”2 . Ma è quel ‘pochi’ che ha cominciato a svuotare la stessa categoria di protezione (internazionale), ad appropriarsene secondo quella che potremmo definire una biopolitica dei governati: rivendicando il fatto di essere nonostante tutto governati, limitati, definiti dalla stessa presa ‘umanitaria’ sulle vite che li ha definiti ‘not of concern’, e dunque dei non-soggetti dell’umanitario. Ai criteri storicamente escludenti dell’asilo, i migranti del campo di Choucha hanno fin dall’inizio contrapposto la loro provenienza comune dalla Libia, la loro fuga dal conflitto. E quando a rimanere a Choucha sono stati “pochi”, i confini dell’umanitario sono stati fatti esplodere  ancora una volta assumendo le stesse categorie di governati dell’umanitario, dissociando la loro definizione dal piano del diritto già scritto: “siamo qui a vivere in questo deserto da tre anni e mezzo; al confine con una guerra in corso: chi altri dovrebbe essere i soggetti dell’ umanitario?”.

La produzione di gruppi ‘non-popolazioni’ da parte delle politiche migratorie, il governo dei migranti attraverso la costituzione di queste temporanee molteplicità divisibili, non avviene tuttavia soltanto attraverso una delimitazione spaziale, un confinamento dei corpi che stabilisce anche le regole interne, le norme di partizione e classificazione. Di fatti la presa governamentale spesso, nel campo delle migrazioni, si esercita a un livello che non corrisponde a quello dell’individuo inteso come corpo o come singola condotta, ma nemmeno a quello di un insieme-gruppo realmente esistente,  per quanto provvisorio che sia. Mi riferisco alla creazione di quello che può essere definito una singolarità generalizzabile, esito di un meccanismo di ‘messa a profilo’ delle esistenze, e delle loro attività. Una profilizzazione che ha come sua origine non le singolarità in quanto tali: piuttosto, si ‘tratteggiano’ elementi, caratteristiche e azioni simili tra questi individui, che permettono di qualificare una molteplicità indecidibile tramite un meccanismo di individuazione che non individualizza ma al contrario, generalizza in ‘profili’. Da un punto di vista foucaultiano però è importante osservare che queste singolarità generalizzabili, che consentono di attivare criteri e norme di governabilità e di partizione, non dipendono esclusivamente da un’analisi e selezione di caratteristiche relative all’identità della persona, e dunque a tratti facilmente naturalizzabili. In altre parole, a differenza dei tratti biologici attraverso cui si costruisce l’oggetto popolazione, nel governo delle migrazioni e dei migranti pur non essendo assenti questi vanno a combinarsi  – e spesso in subordine – con comunanze relative all’attività dei soggetti, ai  comportamenti e alle strategie di migrazione. Un esempio in proposito sono i modelli di schedatura di Mos Maiorum, l’operazione europea di caccia ai migranti coordinata dall’Italia che ha avuto luogo dal 13 al 26 ottobre. In quell’occasione, gli agenti di polizia sono stati chiamati a riportare criteri relativi al ‘chi è’ (nazionalità, genere, età, statuto di rifugiato o meno) combinati a caselle sul ‘cosa e come fa’ (mezzi di trasporto usati, rotte seguite, destinazione finale, somma sborsata per il viaggio e punto di ingresso nell’UE). Ciò che si genera a operazione conclusa, è un insieme di potenziali singolarità riproducibili per individuare nuovi spazi di intervento e tecniche di confinamento – “spazi di governamentalità” (Tazzioli, 2014). Ad ogni modo a essere in gioco non è un meccanismo individualizzante, ma al contrario un’estrazione di informazioni, caratteristiche e dati, relativi soprattutto alle strategie i migrazione, attraverso cui poi nuove soggettività generalizzabili vengono prodotte per governare i corpi e i movimenti dei migranti. In questa proiezione di profili governabili ed estendibili, vediamo che il problema di una popolazione governabile viene meno, o comunque passa in secondo piano. Dal livello del collettivo come gruppo da regolare nei suoi fenomeni, il meccanismo di produzione e cattura si sposta a quello di una molteplicità di soggetti tra loro spazialmente distanti, il cui principio di governabilità è dato dalla traduzione delle loro pratiche di migrazione in profili. Ma anche in questo caso il ‘resto’ è parte di queste soggettività generalizzabili: in fondo la creazione delle ‘mappe di rischio’, ovvero di proiezione di futuri scenari di migrazione da governare, è sempre una cartografia reattiva, che tenta di contenere, classificandole (con un potere estrattivo, che rende profili generalizzabili le attività e le strategie dei migranti) le pratiche di movimento sfuggenti o eccedenti rispetto agli stessi meccanismi di illegalizzazione. E quando viene dichiarata una crisi migratoria (‘migration crisis’), come spesso fanno le agenzie delle migrazioni o dell’umanitario, l’impasse giuridico –chi classificare come –e politico – come contenere la mobilità – segnalano di fatto un resto che si produce oltre lo scarto necessario dei meccanismi escludenti; un resto dovuto alla materialità stessa di movimenti e di lotte per lo spazio che fanno esplodere quei profili. Queste due modalità di agire al livello della molteplicità, di ‘trattare’ e governare coloro che vengono definiti migranti, la produzione di temporanee molteplicità divisibili e la generazione di soggettività/profili generalizzabili, non si escludono a vicenda. Al contrario, queste differente forme di individuazione e partage indicano una tecnologia di presa sulle vite dei e delle migranti che agisce tramite molteplicità diversamente costruite. E dove il resto funziona come suo elemento costitutivo e al tempo stesso, come suo eccesso che le politiche migratorie si trovano ogni volta a rincorrere.

*(Intervento alla giornata di studi “Foucault in Italia. Testimonianze, ricezioni, attualità”, Università di Bologna e mf/materiali foucaultiani,  11 dicembre 2014)

Bibliografia citata:

A.Appadurai (2005) ‘La paura dei piccoli numeri’, in Sicuri da morire. La violenza all’epoca della globalizzazione, Roma: Meltemi.

C. Aradau, J. Huysmans (2010) ‘Mobilising (global) democracy: a political reading of mobility between universal rights and the mob’, in Millennium: Journal of International Studies, 37(3) pp. 583–604.

M. Foucault (2013) La société punitive : Cours au Collège de France, 1972-1973, Paris : Gallimard.

M. Foucault (2009) Security, Territory, Population: Lectures at the Collège de France, 1977–1978, New York: Picador/Palgrave Macmillan.

M. Foucault (2000) ‘Les mailles du pouvoir’, 1976, in Dits et Ecrits II, Paris : Gallimard.

I.Hacking (1982) ‘Biopower and the avalanche of printed numbers’ http://digitalhistory.concordia.ca/courses/surveillance/wp-content/uploads/Hacking_Biopower_and_the_Avalanche_of_Printed_Numbers.pdf

D. Fassin (2014) Ripoliticizzare il mondo. Studi antropologici sulla vita, il corpo e la morale, Verona: Ombre Corte.

S. Legg (2005) ‘Foucault’s Population Geographies: Classifications, Biopolitics and Governmental Spaces’, in Population, Space, Place 11, pp. 137–156.

J. Rancière (2007) Il Disaccordo, Roma: Meltemi.

F.Sossi, (2012) a cura di, Spazi in migrazione. Cartoline di una rivoluzione, Verona: Ombre Corte.

M.Tazzioli (2014) Spaces of Governmentality. Autonomous Migration and the Arab Uprisings, London: Rowman and Littlefield.

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  1. A seconda dei momenti e dei contesti politici si ridefiniscono queste norme temporanee di governabilità. La nazionalità costituisce indubbiamente dei principali elementi caratterizzanti che definiscono una temporanea molteplicità divisibile: nel 2011 i tunisini, come migranti della rivoluzione, e poi a loro volta distinti dai ‘libici’ in fuga considerati meritevoli di una protezione umanitaria – cfr. Sossi, 2012. 

  2. Intervista con UNHCR Tunisia, Zarzis, Agosto 2014.