di CARMELO PALLADINO.
«Il ministro Gelmini ascolti il disagio che oggi migliaia di studenti stanno manifestando dalle piazze di tutta Italia, invece di continuare a negare l’evidenza perché, purtroppo, se qui c’è qualcuno che abusa di vecchi slogan è proprio il ministro, quando parla di scuola come “luogo di indottrinamento politico della sinistra” […]. Il Tg1 di Minzolini è riuscito oggi nell’ennesimo capolavoro di mistificazione della realtà e propaganda di parte», dichiara l’8 ottobre 2010 Francesca Puglisi, responsabile scuola del Pd [→ qui]. «Alle centinaia di migliaia di studenti scesi in piazza in tutta Italia, dei quali è stato costretto a dare conto anche se non ha ritenuto di dover dare neanche un titolo di sommario, il Tg1 ha affiancato uno sparuto gruppetto di non meglio identificati supporter della riforma dell’università che invitava il ministro ad andare avanti1. «Un ardito esercizio di par condicio – aggiunge – smentito dalle immagini che mostravano l’esiguità dei manifestanti a favore. La millantata par condicio, comunque, scompare subito dopo, quando il Tg1 dà conto delle critiche rivolte dal ministro alla manifestazione senza offrire spazio alcuno alle repliche arrivate dall’opposizione. Misteri del servizio pubblico».
Era il 2010, i manifestanti erano 300.000 e il PD lamentava il fatto che Gelmini e gli apparati governativi tipo la Rai non tenessero in conto l’opposizione. Insomma, il bue che dice cornuto all’asino. Dopo il 5 maggio 2015 infatti Puglisi, Faraone, Boschi e tutta la loro claque sono tesi a delegittimare le migliaia di lavoratori che chiedono il ritiro del DDL sulla scuola2. «Non so che Riforma abbiano letto» dice Faraone3; «Dovrebbero ringraziarci, noi investiamo» aggiunge → Puglisi; «La scuola non deve essere in mano ai sindacati», chiosa → Boschi. Come aveva detto? Mistificazione della realtà, ci pare. Negare (una minoranza chiassosa), offendere (squadristi), delegittimare (hanno paura del cambiamento) e, ça va sans rien dire, andare avanti per il bene del paese. Il punto è questo: se il governo con la buona scuola vuole il bene del paese, gli insegnanti che ne chiedono il ritiro, evidentemente, vogliono il contrario, quindi sono nemici da cui difendersi, non una delle principali parti in causa da ascoltare. Questo sillogismo – diventato sempre più pressante dall’uscita del disegno di legge – vuole non solo rendere vane le proteste, bensì mostrare Renzi e i suoi come martiri, i quali senza paura e con nobile scopo, portano a termine la Riforma che salverà la scuola.
Chi da anni è impegnato a smascherare i tentativi di definitiva aziendalizzazione del sistema di Istruzione tramite disegni di legge che mirano a riformare gli organi di governo della scuola e lo stato giuridico degli insegnanti, sa benissimo che “La buona scuola” è una summa di tutti i disegni precedenti, e in particolare della famigerata PdL Aprea (n. 953/2008) e delle sue successive modifiche, con un’unica differenza: invece di tagliare palesemente, si propone – a mo’ di scambio – l’assunzione di 100.000 precari4 peraltro sollecitata dalla Corte di Giustizia europea – pena una multa milionaria – e sottoposta all’accettazione di una serie di condizioni uniformate alla logica della flessibilità più estrema5. Se a un malato terminale si dà un’aspirina, può essa essere millantata come cura risolutiva? Secondo il PD, dunque, di fronte a tali scelte non avrebbe dovuto prodursi opposizione, ma ringraziamenti, cori e salmi volti a riconoscere il loro ruolo salvifico. E invece. I sindacati di base e gli osservatori più attenti subodorano quanto sta accadendo e già a settembre palesano e contrastano gli annunciati interventi governativi. Sono in pochi però, sicché Giannini può dichiarare che il governo è in ascolto, che partiranno le consultazioni on-line6, che loro per la prima volta vogliono mettere al centro la scuola e investire. Non c’è da preoccuparsi quindi. E così, la serie di scioperi che si sussegue da ottobre a dicembre risulta caratterizzata dalla grande e consueta frammentazione che riguarda sia le date di indizione che le piattaforme rivendicative. I sindacati confederali sembrano come spiazzati dalle mosse di Renzi e si dimostrano incapaci di reagire in modo univoco e unitario a un Governo che sempre più concretamente rifiuta il meccanismo della concertazione e scavalca il loro ruolo di oppositori istituzionalizzati, come dimostrano nel frattempo le vicende legate all’approvazione del Jobs Act e della Legge di stabilità. Sui mezzi di comunicazione tutti, intanto, il totoscuola e il totoassunzioni avanzano: Ne assumeremo 150.000!, La meritocrazia deve avanzare, Il preside deve scegliere la propria squadra!.
Quando esce la bozza del DdL ai primi di marzo, però, qualcosa cambia: gli insegnanti e gli studenti (questa volta anche i non militanti) iniziano a fare pressioni e a manifestare il proprio dissenso in un modo sempre più forte e determinato. I social network, da luogo di sfogo e di virtualizzazione del conflitto, diventano sempre di più lo strumento per autorganizzare iniziative visibili e partecipate: mailboombing, presidi, flashmob. Tutte iniziative che mettono in evidenza un grande desiderio di opporsi alla retorica del Governo e tornare a far sentire la propria voce. Tanto che Camusso & co. non possono far finta di nulla e, parallelamente al richiedere emendamenti a un DDL inemendabile, organizzano uno sciopero generale del settore. Cgil, Cisl, Uil, Gilda e Snals decidono di far coincidere la propria data con lo sciopero Cobas atto a boicottare le prove Invalsi. Ed è qui che accade l’impensabile. Nel più totale disprezzo del diritto di sciopero e con un’azione ai limiti dell’attività antisindacale, le prove Invalsi vengono fatte slittare di un giorno poiché non rientrerebbero nei motivi della protesta7. L’attacco è durissimo, tanto che a scendere in piazza il 5 ci sono migliaia di persone in più rispetto alle proteste anti-Gelmini. Con una ulteriore particolarità: ad emergere è una richiesta che differisce da quella dei maggiori sindacati; si pretende infatti il ritiro del DDL (e non la sua emendabilità) e assunzioni senza condizioni. Le percentuali di adesione sono esorbitanti8 e lo sciopero del giorno dopo contro le prove Invalsi alle scuole elementari ha un incremento sia di adesione sia di assenze alunni, tenuti appositamente a casa dalle famiglie9. Ciononostante il PD, investito dall’alto della missione di cambiamento – parola chiave renziana – avanza dritto verso il suo obiettivo: affermare il proprio potere tramite riforme di stampo neoliberista atte a decostituzionalizzare lo Stato. → Puglisi dichiara che rispetta chi ha paura del cambiamento ma loro stanno investendo e andranno avanti; → Faraone dice che non è vero che il preside assumerà i docenti e si limiterà a individuarli dagli albi territoriali; → Giannini conferma l’importanza della valutazione, strumento ineludibile per il miglioramento.
Ma quei docenti sono stanchi di menzogne e arrabbiati per essere stati ignorati e bollati come abulici e fannulloni.
Il 12 maggio il Governo ha incontrato i sindacati per illustrare gli emendamenti che la VII Commissione ha apportato al testo che con ogni probabilità sarà approvato alla Camera il 19 maggio e si è detto intenzionato a fissare un altro incontro per continuare a confrontarsi, precisando che l’impianto generale del DdL non può essere modificato. Un’apertura alla concertazione? Forse è troppo presto per dirlo, ma non è presto per evidenziare il principale interrogativo legato a tale eventualità. Quale sarebbe il comportamento dei maggiori sindacati in questo caso? Continuerebbero a sostenere la richiesta di ritiro del DDL e di assunzioni “senza condizioni” che emerge con forza dalla base, o si accontenterebbero di qualche piccolo emendamento in cambio della possibilità di tornare a sedersi ai tavoli delle trattative? E a sua volta la base, in questo caso, tornerebbe ad accettare silenziosa e disillusa quanto fatto dall’alto o avrebbe una reazione ancora più forte sia contro il governo sia contro i propri sindacati? Al momento le parti sembrano essere ancora molto lontane da un accordo, visto che tutte le organizzazioni hanno annunciato che la mobilitazione andrà avanti, se necessario, fino al blocco degli scrutini. L’impressione, però, è che molto dipenderà dalla determinazione con cui il popolo della scuola riuscirà a rimanere compatto nella sua opposizione e nel suo dissenso. Lo stesso blocco degli scrutini rischia di essere un’arma spuntata se circoscritta nei limiti della legge 146/1990 e, all’opposto, un’arma a doppio taglio se gli insegnanti non saranno in grado di spiegarla a studenti e genitori, la cui alleanza è fondamentale per raggiungere l’obiettivo. Ad ogni buon conto, per evitare un tale grado di scontro (come diceva Sennett, il leader carismatico deve pacificare), Renzi il 13 maggio ha inviato una lettera alle mail personali dei docenti in cui ribadisce, con un linguaggio mellifluo e paternalistico, il proprio ruolo di messia:
L’unica strada per riportare l’Italia a crescere è investire sulla scuola, sulla cultura, sull’educazione. Non ci basta una percentuale del PIL, ci serve restituire prestigio e rispetto alla scuola. Stiamo provando a farlo ma purtroppo le polemiche, le tensioni, gli scontri verbali sembrano più forti del merito delle cose che proponiamo di cambiare. Utilizzo questa email allora per arrivare a ciascuno di voi e rendere ragione della nostra speranza: vogliamo restituire centralità all’educazione e prestigio sociale all’educatore.
In altre parole, timoroso della volontà di confliggere emersa negli ultimi giorni, il capo del governo tenta di dividere il sostantivo collettivo “gruppo” per tentare di tornare all'”individuo”. Poiché gli incontri con chi avete delegato a rappresentarvi non hanno raggiunto ciò che mi ero prefissato, allora parlo privatamente ad ognuno di voi tentando di convertirvi e di dividervi.
La Buona Scuola non la inventa il Governo: la buona scuola c’è già. Siete voi. O meglio: siete molti tra voi, non tutti voi.
Ed è proprio su quest’ultimo non che poggeranno le prossime mosse governative, su quel sentimento di presunta superiorità che alberga in ognuno e attraverso cui spera di poter disgregare chi mette in discussione il suo operato:
Ci sono 200 milioni di euro per il merito. Possiamo discutere sui criteri con cui applicare il merito, ma questi soldi non possono essere dati in parti uguali a tutti.
Tu sei il migliore, tu i soldi in più te li meriti, tu lavori, perché non appoggi il mio disegno infischiandotene degli altri e comprendendo che proprio su di te edificherò la mia chiesa? L’apostrofe è continua: dopo il lungo elenco di quanto loro, i buoni, stanno tentando di fare malgrado tutto, ammicca:
Un professore collabora alla creazione della libertà di una persona: è veramente una grande responsabilità. Vi chiedo di fare ancora di più: darci una mano a restituire speranza al nostro Paese, discutendo nel merito del futuro della nostra scuola. Il nostro progetto non è “prendere o lasciare” e siamo pronti a discutere. Ma facciamolo nel merito, senza la paura di cambiare. L’Italia è più forte anche delle nostre paure.
Io, padre buono, sono aperto alla discussione, confidatevi, ma sappiate che io so qual è il giusto, quello che voi sentite è solo paura del cambiamento e se rimarrete nelle vostre convinzioni siete voi i colpevoli, coloro che tolgono speranza al paese. Tutto è posto sul piano emotivo, pochissimo – se non i numeri che crede oggettivino il suo operato – è lasciato all’analisi. Parla ai fanciullini, non agli adulti che comprendono la realtà effettuale della cosa. Se chi chiede il ritiro saprà resistere alla tentazione dell’irrazionale, al richiamo di quella che Monicelli chiamava la figlia del padrone [→ qui], ultimo appello di chi teme il crollo del proprio castello di carta, allora la possibilità di incidere sul futuro della scuola rimane aperta.
Il re infatti – mediante questi personali tentativi di convincimento affidati alla rete – non sta iniziando a spogliarsi?
Ricordiamo il → tweet di Faraone dell’8/2/2015 alle 13:39 PM durante la trasmissione “Presa diretta”. ↩
Più di 600.000 lavoratori, circa il 65% della categoria secondo le stime più caute. Molto probabilmente di più: cfr. OrizzonteScuola.it. ↩
Numero certamente alto rispetto agli anni passati, ma comunque insufficiente se l’intento fosse davvero quello di risolvere il problema del precariato scolastico, come più volte annunciato. Basti pensare che nell’anno scolastico in corso i contratti a tempo determinato stipulati per supplenze annuali (fino al 31 agosto) o fino al termine delle attività didattiche (30 giugno) ammontano a circa 125.000 (cifra che si ricava mettendo a confronto i dati contenuti nei due articoli: Ora le assunzioni dal 1° settembre sono diventate 35mila: il Governo dà i numeri, chi offre di più?, e Supplenze necessarie per l’a.s. 2015/16 : 10.000. Andranno solo ai precari o anche ai docenti di ruolo?) e che, stando ai dati del Governo, circa 112.000 docenti vengono assunti ogni anno per le cosiddette supplenze brevi di varia durata (La Buona scuola, 3 settembre 2014, p. 24). ↩
Nelle linee guida de La Buona scuola, si dice che per rendere davvero possibili le assunzioni di 148 mila insegnanti precari, gli stessi dovranno prevedere: «1. la possibilità di essere assunti in una provincia della stessa regione o anche in una regione diversa da quella di appartenenza; 2. la possibilità, nel rispetto della qualità didattica, di “allargare” le classi di concorso, ossia la specificità della materia che chi sarà assunto avrebbe dovuto insegnare, per poter prevedere che (a) insegni una materia affine; (b) sia assegnato come organico in posizione funzionale ad una scuola o rete di scuole» (La Buona scuola, 3 settembre 2014, p. 27). Leggendo il Ddl presentato il 27 marzo 2015 nella sostanza sembra essere cambiato solo il numero delle assunzioni, ridotte di 1/3. ↩
«Senonché, le consultazioni de visu, quelle in cui ci si guarda in faccia, si sono risolte in una farsa, con audizioni in tempi contingentati (10 minuti a testa quando è andata bene, spesso meno); la consultazione via web è stata un flop – fra 65.000 e 130.000 risposte ai questionari (comprese quelle negative), a fronte di una potenziale platea di circa 800.000 insegnanti, 2.600.000 studenti di secondo grado e 16.000.000 di genitori; per arrivare ai Collegi Docenti, nessuno dei quali ha votato una mozione a favore della “Buona Scuola” (neanche quello della first lady, l’Istituto Balducci di Pontassieve)»: G. De Michele, → Contro la Buona Scuola. ↩
«Di fronte alle proteste del sindacato la presidente d’Invalsi fa una riflessione: “Facciamo una distinzione: i Cobas hanno sempre protestato contro le prove ma rispetto ai Confederali mi sono fatta carico delle loro motivazioni. Il loro sciopero, che non è contro l’Invalsi, è il 5: abbiamo tenuto conto della loro manifestazione”. Una scelta a detta della Ajello fatta in piena autonomia: “Ho scritto una mail al ministro solo ieri. Mi sono consultata solo con i miei dirigenti. So bene che non posso coinvolgere il Miur perché in quel caso si tratterebbe di attività antisindacale”», → qui. ↩
Vedi nota 2. ↩
La stessa cosa si è verificata qualche giorno fa in occasione delle prove previste alle superiori, dove al boicottaggio degli insegnanti si è aggiunto quello anche più ampio degli studenti che, in numero molto più alto che in passato, hanno deciso di disertarle o invalidarle: → qui. ↩