intervista a KARL HEINZ ROTH.*

 

Karl H. Roth, riguardo a Alexis Tsipras la cancelliera Merkel ha di recente spiegato di voler mantenere la Grecia nell’Euro. Il Premier di SYRIZA ha risposto: «Noi abbiamo fatto la nostra parte. Faccia lei la sua». Cosa dovrebbe fare Berlino?

Il Governo Federale Tedesco dovrebbe approvare una moratoria e un taglio dei debiti. Questo è il punto di partenza decisivo, per giungere a una soluzione della crisi greca.

 

Attualmente non si discute né dell’uno né dell’altro. Bensì di una lista di riforme. Ciò è adeguato alla sfida?

No, poiché i problemi sono giganteschi. La Grecia è in rovina. Circa il 15% del capitale (Kapitalsubstanz) è andato distrutto. I diktat della Troika e i tagli sociali intrapresi finora hanno ridotto il rendimento economico di quasi il 30%. Sia riguardo la domanda interna, gli investimenti e il settore sanitario: vediamo dati totalmente catastrofici. Se non vengono mossi dei passi radicali, non solo la Grecia, bensì – ne sono convinto – anche l’Europa si troverà in una situazione molto pericolosa.

 

Teme una sterzata a destra?

In Europa osserviamo certo uno sviluppo del conservatorismo di destra. Ovunque sono al timone dei governi conservatori. Questi subiscono la pressione da destra, cioè non possono e non vogliono fare alcun tipo di concessione a proposito della Grecia. Questo fenomeno può ingrandirsi. E le condizioni, che adesso devono essere imposte contro SYRIZA, significherebbero certo un’ulteriore radicale accelerazione delle politiche di austerità.

 

Che, secondo l’opinione di molti economisti, hanno fallito. Perché ci si aggrappa, ciononostante?

È in gioco un’opzione strategica basilare. Dagli anni ‘50 e ‘60 gli USA hanno fatto della Repubblica Federale prima e della Germania unificata poi, la potenza egemonica dell’Europa. Ciò basato su una determinata strategia politico-economica, che si indica come neo-mercantilismo: abbassamento sistematico dei salari combinato con una strategia di dumping dell’esportazione. Detto in altro modo: è stata perseguita una politica interna estremamente restrittiva, per permettere un processo espansivo (soprattutto esportazione di capitali). Questo modello strategico è stato rafforzato più tardi (dalla fine degli anni ’70) dal sistema monetario europeo. E questo è adesso in discussione: c’è in Europa una virata verso modelli moderati keynesiani, che è al cuore innanzitutto delle strategie di SYRIZA, ma attualmente anche negli USA? Le élites tedesche combattono contro tale mutamento con il più forte accanimento per salvare il modello tedesco.

 

Tutto ciò viene osservato in Grecia non da ultimo attraverso le lenti dell’esperienza storica. Ora si discute molto della questione dei risarcimenti di guerra. Sigmar Gabriel ha etichettato come “stupido” questo dibattito. È giusta la mia impressione che si parli meno enfaticamente del debito tedesco nei confronti della Grecia, rispetto per esempio ai crimini nazisti in Polonia?

Il rapporto delle élites tedesche nei confronti della Grecia ha due lati. È un po’ una sorta di complesso d’inferiorità: i Tedeschi hanno invaso la Grecia nell’aprile 1941 – in un’operazione collaterale in preparazione della guerra d’attacco contro l’Unione Sovietica. Avevano creduto di poter integrare in poco tempo la Grecia e la Jugoslavia all’Europa fascista. Però in entrambi i paesi emerse rapidamente un forte e diffuso movimento di resistenza. D’altro lato vediamo questa condiscendenza massiva che giunge al pubblico disprezzo. Ciò deriva dal fatto che i Greci appartenevano ai quei pochi che dagli anni ’50 hanno affrontato la questione dei risarcimenti in modo offensivo e che hanno preteso le riparazioni di guerra per l’ingiustizia fatta loro.

 

Finora con scarso successo.

Ciò che ho letto negli atti che se ne occupano del Ministero tedesco degli Affari esteri mi ha sconvolto: con quanta estrema arroganza e condiscendenza sono state trattate le richieste di Atene! Negli anni ’50 e ’60 dal tavolo tedesco dei signori arrivarono un paio di briciole – ma ultimamente le richieste dei Greci sono state rimandate ad un giorno futuro che non arriverà mai.

 

Mi sono accorto di una cosa all’interno del dibattito sulle riparazioni di guerra: si conoscono un paio di parole d’ordine, perfino il prestito forzato del 1941 è diventato nel frattempo un concetto pubblico. Ma la dimensione del terrore nazionalsocialista in Grecia è stata resa appena tangibile. Fino a tal punto che nei media sono in circolo davvero poche foto, la cui forza espressiva viene annullata dalla ripetizione.

C’è una combinazione molto singolare di amnesia e ignoranza storiche e di arroganza. Dell’occupazione e del saccheggio della Grecia molti sanno appena qualcosa. I nazisti hanno spostato dei piani che erano stati redatti in realtà per l’attacco all’Unione Sovietica. Nell’aggressione alla Grecia nell’aprile 1941 hanno testato ciò che doveva essere impiegato nel luglio 1941 anche nell’attacco all’Unione Sovietica.

 

Con la differenza che in Grecia divenne una vera occupazione.

E in un modo particolarmente radicale. La Grecia non fu semplicemente costretta a finanziare i costi stessi dell’occupazione, bensì i costi complessivi delle infrastrutture per la guerra contro il Nord-Africa e il Mediterraneo orientale. Inoltre l’economia politica venne depredata sistematicamente. Il prestito forzato Lei lo ha già considerato, ma inoltre si applicò una politica mirata dell’iperinflazione che portò al resultato che già nell’inverno 1941/42 nelle grandi città greche oltre 100.000 uomini morirono di fame.

 

Questo ha favorito l’emergere di un movimento di resistenza particolarmente forte?

C’era una combinazione di un’alternativa economia di sussistenza, fuga dalle città e la costituzione di una resistenza armata nelle regioni rurali. Che ha completamente sorpreso i tedeschi. Non avevano assolutamente alcun piano per la Grecia oltre al concetto di saccheggio. Per questo alla resistenza si reagì con una politica del massacro accecata dall’ira. Nei mesi della partenza nel settembre e ottobre 1944 i Tedeschi hanno anche distrutto l’intera infrastruttura greca. Nell’Europa settentrionale, occidentale e meridionale non c’è oltre alla Jugoslavia un caso comparabile, in cui gli occupanti tedeschi operarono così brutalmente.

 

Quando si parla di massacri, viene sempre nominato Distomo. Il villaggio è diventato un simbolo dell’atrocità nazista. Allo stesso tempo sembra mancare la conoscenza che non si è trattato assolutamente di pochi casi isolati.

Se si tengono gli occhi aperti lontano dalle tipiche attrazioni turistiche, si vedono ovunque anche i piccoli monumenti commemorativi nelle regioni rurali. Secondo solide stime furono circa 1600 i borghi, i villaggi e le piccole città che vennero distrutti. Più di 100 000 case vennero distrutte, 400 000 uomini divennero senza tetto. Solo nei massacri nei villaggi sono almeno 56 000 gli uomini che, spesso in modo bestiale, vennero assassinati – la maggior parte donne, bambini e vecchi. La politica della terra bruciata venne praticata sistematicamente nei territori occupati. È penoso che questa dimensione mostruosa non giochi quasi alcun ruolo nel dibattito pubblico.

 

Se ad Atene vengono sollevate delle pretese di riparazione e di risarcimenti, il Governo Federale dichiara sempre che tutte le rivendicazioni sono state sbrigate.

Falso. È evidente secondo il diritto internazionale che le richieste di risarcimento non sono state assolte in modo conclusivo. A tal riguardo si sono espressi adeguatamente molto giuristi. E se si studiano i relativi atti tedeschi su questo argomento diventa subito evidente che questo lo sapevano anche gli specialisti dei ministeri federali. Alla conferenza londinese sui debiti di guerra si impone che la questione delle riparazioni debba essere chiarificata in un momento successivo. Nel cosiddetto trattato di passaggio del 1954 che portò la Repubblica Federale alla sovranità, venne stabilito che la questione delle riparazioni dovesse trovare risposta nell’ambito di un trattato di pace. Questo patto si dà con il “trattato 2+4” – ma dietro le quinte a Bonn c’era il motto: questo non è un trattato di pace. Poiché tutti sapevano che quando esso viene affrontato come un trattato di pace in pubblico, viene stabilito anche una regolazione conclusiva della questione delle riparazioni. Il Governo Federale non lo voleva.

E dato che sono state citate le dichiarazioni del presidente della SPD: trovo vergognoso che con la propria posizione di difesa nella questione delle riparazioni un socialdemocratico di spicco svolti verso la linea argomentativa della burocrazia ministeriale post-nazista.

 

Come potrebbe esser risarcita la Grecia?

Il “trattato 2+4” doveva essere completato con un trattato di riparazione conclusivo. Una sorta di atto finale in cui tutto torna sul tavolo ancora una volta e viene fatto il bilancio della politica tedesca di occupazione e di annientamento durante la Seconda Guerra Mondiale. Su questa base potrebbero essere soddisfatte le richieste dei membri non ancora ripagati e delle vittime sopravvissute. E allora anche le riparazioni arretrate e l’adempimento dei risarcimenti potrebbero esser chiariti.

 

Ma la Germania potrebbe pagare?

La banca federale tedesca ha riserve d’oro sufficienti. Dovrebbero essere messe a disposizione non solo per le riparazioni in Grecia, bensì per un atto generale di risarcimento.

 

Ma solo in Grecia si tratterebbe di una somma di quasi 280 miliardi di euro.

Quali somme risultino da un atto di risarcimento conclusivo, lo si vedrà. La Germania è ricca abbastanza. Decisiva è un’altra cosa: se c’è il volere politico per questa soluzione.

 

Da dove deve derivare questo volere?

La mia generazione, quella dei figli dei colpevoli, ha condotto negli anni ’60 e ’70 una lunga battaglia per la spiegazione dei crimini nazisti e per l’elaborazione della colpa. Se oggi si vede l’enorme carenza nella cultura del ricordo, in cui vengono versate solo le lacrime di coccodrillo e una ricostruzione materiale dalle élites non viene minimamente presa in considerazione, una cosa diventa velocemente chiara: anche i nipoti dei colpevoli devono ora condurre una battaglia simile.

 

In una parola: dovrebbe darsi un “nuovo ‘68”?

Penso di sì. La situazione è al momento intollerabile. Si deve capire che c’è bisogno ancora una volta di un processo simile per rompere finalmente con tutto ciò che la burocrazia ministeriale tedesca ha compiuto dagli anni ’50 in una politica della rimozione. In un nuovo ’68, per riprendere questo concetto, si deve prendere in considerazione anche quell’aspetto politico-morale. Una nuova fondazione europea è possibile solamente se noi agiamo adesso e se nei prossimi mesi si mostra un nuovo e vasto movimento sociale delle masse, un movimento che non solo sostenga e protegga l’esperimento greco, ma che impari anche a trattare la colpa morale.

 

* intervista tradotta da Giulia Valpione e uscita su http://www.rosalux.de/news/41459/bestialische-besatzer.html

Download this article as an e-book