di ANDREA MORESCO.
Alla fine la remontada che si respirava e invocava da settimane c’è stata. Il verdetto uscito ieri delle urne di tutta Spagna ci consegna una parziale ma decisiva remontada da parte di Podemos, che supera il 20% dei voti totali ma non il PSOE (22,11%), raggiungendo soltanto uno dei due obiettivi che la rincorsa delle ultime settimane poteva porsi e ritrovandosi così un gradino sotto alla tradizionale forza di centro-sinistra nella trattativa – improbabile – per un eventuale governo di coalizione con gli stessi socialisti. D’altra parte, la significativa attestazione elettorale della formazione guidata da Pablo Iglesias è a tutti gli effetti decisiva nel sancire la fine del bipartitismo e dei meccanismi della rappresentanza tradizionale che caratterizzano la Spagna dal ’78 ad oggi. Se il PP (Partito Popular) e PSOE vorranno ora governare potranno farlo solo con un governo di larghe intese, magari comprensivo di un appoggio più esteso al centro, per esempio di Ciudadanos, sulla scia di quanto accaduto in Italia nel febbraio 2013: un’opzione sicuramente da “ultima spiaggia”, dato l’esplicito rifiuto di questa possibilità dichiarato in campagna elettorale da ambo, ma ad oggi quanto meno valutata da fazioni dell’uno e dell’altro partito – a patto che Mariano Rajoy sia disposto a lasciare alla guida di un governo di Grosse Koalition la sua attuale vice-presidente Sorana Saez de Santamaria. E’ Podemos e non Ciudadanos a segnare la crisi definitiva della “vecchia politica” spagnola e metterne a nudo la comune vocazione neoliberale mascherata dalla chimera della stabilità nazionale: la riforma della legge elettorale, l’indiscutibile appartenenza della Catalogna alla Spagna, il rigoroso rispetto dei vincoli di bilancio europei e il sostegno nella guerra anti-IS sarebbero i punti d’incontro per un governo di transizione a larghe intese. Di fronte allo scarso risultato della forza arancione capeggiata da Albert Rivera, crollata rispetto ai sondaggi gonfiati delle ultime settimane, è un dato non irrilevante che il voto per il cambiamento, proveniente per lo più dalle giovani generazioni under 40, si sia diretto in forte maggioranza a Podemos e non a Ciudadanos. Non meno difficile pare la possibilità di un governo di centro-sinistra che riunisca PSOE, Podemos, Unidad Popular (Izquierda Unida) e altri piccoli partiti (Coaliciòn Canaria, ERC, PNV, EH Bildu), che si dovrebbe insediare con un’astensione di Ciudadanos, governare la Camera di fronte alla maggioranza assoluta del PP in Senato e verificare il consenso sulle sue riforme passo dopo passo. L’assoluta indisponibilità del PSOE nei confronti di una consultazione popolare sulla sovranità catalana, al centro invece dei cinque cambi costituzionali proposti da Podemos, pare l’ostacolo più forte.
Ma, ben più che le previsioni con palle di vetro improvvisate, merita oggi forte attenzione le scelte strategiche di Podemos che ne ha trainato la remontada nell’ultimo mese. Vero motore della remuntada – quello che a nostro avviso è tra i punti più significativi e seducenti dell’auspicata “rivoluzione democratica” a tinte viola – è il carattere plurinazionale della Spagna che Podemos ha incarnato in prima persona, nella sua stessa forma. Con la convergenza intorno a Podemos della formazione catalana En Comù Podem, di quella galiziana En Marea e di quella valenciana Compromis-Podem-Es el momient, quella che si è presentata alla tornata elettorale è, di fatto, una coalizione di liste territoriali, strutture ed esperienze territoriali, riunitesi e aggregatesi intorno al centro di gravità di Iglesias e compagni. La costituzione delle liste, la scrittura del programma, la scelta dei volti pubblici da parte della forza morada erano immediatamente plurinazionale. Il riconoscimento della dimensione plurale e plurinazionale della Spagna è uno delle cinque novità costituzionali con cui Podemos intenderebbe ridisegnare l’assetto politico-istituzionale del Paese, con una riforma della Camera dei Deputati volta ad accenturarne la rappresentatività territoriale e, soprattutto, l’indizione di referendum vincolanti per l’autodeterminazione di ciascun popolo di Spagna, a partire da quello catalano. La Spagna che promette Podemos è un “Paese di paesi”, come lo ha definito il numero due, Inigo Errejon, nell’evento di chiusura della campagna elettorale di Barcellona lo scorso mercoledì: un “Paese di paesi” repubblicano e federale, dove ogni territorio veda la sua volontà diretta, democraticamente verificata con i referendum, rappresentata, valorizzata e anteposta agli interessi delle elite finanzarie transnazionali. Una nuova idea di nazione è il più effettivo dei “nuovi significanti” veicolati dal discorso dell’irruzione di Podemos, con cui ricostruire una convivenza reale e sentita tra le multi-identità spagnole e rinnovare il loro patto sociale reciproco, sancito nella transizione del ’78 e oggi ampiamente tradito dalla classe dirigente. La costruzione contro-egemonica di un nuovo senso nazional-popolare, che avrebbe fatto irruzione sulla scena pubblica con il 15-m, e sulle cui onde determinare una nuova identità collettiva opposta al sistema della casta spagnola, non è dunque una scelta solamentemente di immaginario e di narrazione; è, al tempo stesso, il criterio pratico che ha orientato una formula organizzativa che garantisce piena cittadinanza politica a tutti al suo interno, una coalizione di differenti esperienze territoriali e costituzione di un programma per il cambiamento unitario ma plurale. Raccogliere rivendicazioni e specificità territoriali, soprattutto se indicative del senso comune di ciascuno di questi territori, e articolarli in un programma ideologico e politico unitario: è questa la grande scommessa di chi oggi interepreta con serietà e passione la politica come “guerra di posizione” per la conquista dell’egemonia e l’incarnazione di una nuova volontà popolare emersa e sedimentatasi nei quattro anni successivi al 15-M.
Si sono sentite negli scorsi mesi tante voci criticare la “linea grigia” di Podemos alle scorse elezioni regionali della Catalogna; anzi, non schierarsi in termini assoluti a favore o contro l’indipendenza nazionale catalana sarebbe stata una vera e propria “assenza di linea politica”, come se porre l’accento sull’urgenza di diritti sociali universalmente garantiti, sul blocco degli sfratti, sulll’assistenza agli ultimi invece della crescente repressione fossero davvero “assenza di linea politica”. I dati ci dicono oggi che quella linea rivelatasi perdente due mesi fa, in uno scenario iperpolarizzato, difficilmente attraversabile e non a caso ancor’oggi privo di stabilità e di governo, è lo stesso a rivelarsi vincente oggi, in uno scenario differente, che vede il progetto plurinazionale e federale di autodeterminazione popolare raccogliere e sedurre il consenso delle . Non a caso, è Ada Colau la straordinaria trascinatrice di questa remontada, costantemente al fianco di Pablo Iglaesias nelle più importanti inziative pubbliche delle ultime settimane. Emblema della lotta per i diritti sociali e contro le disuguaglianze, della riduzione e ristrutturazione del debito pubblico, e di una radicale femminilizzazione della politica; emblema, soprattutto, del progetto plurinazionale alla base del nuovo patto sociale che Podemos ha proposto a tutti gli spagnoli. Se oggi Podemos si afferma come forza politica più votata in termini assoluti in regioni di profondissime radici autonomiste come Catalogna e Euskadi (Paesi Baschi), o seconda in Galizia e nella Comunidad Valenciana (seconda anche a Madrid!), è la prova che la trasformazione della Spagna in paese plurinazionale è una delle intuzioni vincenti da cui articolare un nuovo, nascente, popolo spagnolo.
In questa campagna elettorale si è parlato moltissimo di Spagna e molto poco di Europa. Lo stesso Podemos, che un anno fa si scambiava costanti messaggi di sostegno e di alleanza con Alexis Tsipras, ha recentemente lasciato su uno sfondo lontano l’obiettivo di riformare l’Europa e costruire nuovi rapporti di forza all’interno dell’Eurogruppo, nonché la sintonia con il governo greco, fondando invece la sua immagine del cambio in una nuova e peculiare idea di Spagna. Al carattere specificatamente nazionale, differente da Paese a Paese, con cui osserviamo realizzarsi la crisi della governance europea (crisi del debito, crisi dei rifugiati, crisi di legittimità) e la transizione dall’esisto incerto in corso su scala continentale, segue una ulteriore e deliberata caratterizzazione (pluri)nazionale del programma ideologico-politico di chi si è candidato a governare questa transizione nella direzione di un cambiamento radicale. Praticare egemonia del senso nazional-popolare e articolare nuove rappresentazioni dell’interesse generale per un blocco storico che chiede rappresentanza significa, allora, non soltanto “costruire il proprio popolo” bensì “costruire il proprio popolo nazionale” che tuttavia non cede a posizioni neosovraniste o antieuropeiste, bensì sviluppa successivamente, a partire dalla sua identità stessa, rapporti di forza e di solidarietà sul piano internazionale.
Che Podemos non sarebbe esistito senza le grandi mobilitazioni spontanee del 15-M che segnarono una “crisi organica” dell’ordine egemonico dominante è certamente vero, ma d’altra parte esso non è l’autorappresentanza di quel movimento degli Indignados. Com’è noto, molti settori movimentisti radicati nelle lotte sociali non approvarono la costruzione a tavolino di una “macchina da guerra di posizione” e di guerra elettorale; altri hanno invece affrontato ampie dialettiche interne sul mutamento del quadro politico nazionale apportato da Podemos e mantenuto nei suoi confronti una posizione di maggior ambiguità, se non di parziale sostegno, specialmente nei programmi municipalisti di Madrid e di Barcellona in occasione delle scorse elezioni comunali. L’affinità di temi e posizioni tra il progrmma di Podemos e i movimenti sociali che si sono articolati in difesa di un’istruzione pubblica e gratuita (specialmente contro l’applicaizone del Piano di Bologna), per una riconversione ecologica in difesa dell’ambiente, contro gli sfratti e contro la corruzione dilagante è evidente a una prima lettura. D’altro canto, ad aver distanziato Podemos dalle lotte sociali non è solo l’aspirazione a conquistare il voto moderato di (ex) socialisti ed imporsi come forza di governo, né alcune scelte che ne sono derivate, come la candidatura nella provincia di Saragozza dell’ex generale dell’esercito spagnolo José Julio Rodriguez come futuro responsabile della Difesa. La strategia stessa alla base di Podemos di combattere una “guerra di posizione” sul terreno degli avversari, che mantiene un piede nelle regole del gioco e della competizione elettorale scritte dall’ordine dominante, e con l’altro tenta di scalciarlo e disarticolarlo, genera una certa distanza tra il punto di vista contro-egemonico del politico e quello degli attivisti sociali che vorrebbero costruire la politica e il conflitto a partire dall’ambito privilegiato del sociale. Il richiamo a la ilusión è stato il principale significante del discorso contro-egemonico di Podemos1, atto a risvegliare una speranza di governo della gente che fosse radicale e insieme realistica, contro le elites, contro la casta e capace di raccogliere un consenso allargato e eterogeneo. Quando Ciudadanos ha iniziato a contendere a Podemos la narrazione de la ilusión, lanciando la propria campagna elettorale con lo slogan “Vote con ilusión”, e l’egemonia stessa del cambiamento generazionale, la segreteria politica di Podemos ha probabilmente compreso che era fondamentale recuperare le origini e il contenuto determinato di quella ilusión, vale a dire il vincolo con le grandi mobilitazioni del 2011 a cui Pablo Iglesias ha dedicato l’ultimo minuto del “dibattito decisivo”2 andato in onda lo scorso 7 novembre, dinanzi a quasi 10 milioni di spettatori, mentre nei mesi precedenti raramente ne aveva fatto richiamo. Possiamo senz’altro ripetere che in questa lotta per l’egemonia parziale tra Podemos e Ciudadanos, la formazione viola ne esce assoluta vincitrice e si appresta ora a anni di nuove lotte per la generalizzazione del proprio consenso. Il punto chiave, che potrà dirci molto sul futuro di Podemos, non è tanto recuperare una relazione di vicinanza con i movimenti sociali, che sarebbe un modo ambiguo e poco proficuo di impostare il problema, quanto quello di una trasformazione radicalmente democratica delle proprie forme di partecipazione interna ed esterna. Dopo questi mesi di campagna elettorale coordinata e gestita dall’alto nei momenti delle decisioni strategiche più importanti, dopo mesi in cui una decina scarna di persone intervengono dal palco di fronte a una folla entusiasta che applaude e intona “Si se puede!”, appare fondamentale e urgente ristrutturare forme di partecipazione e democrazia diretta a tutti i livelli decisionali del partito. Non si può pretendere di radicalizzare la democrazia spagnola senza radicalizzare anzitutto la propria democrazia interna: la vera vittoria di Podemos passa per un meccanismo di partecipazione politica diretta e non mediata che rompa l’esclusione del sociale dal politica che il regime neoliberale ci ha imposto. Speriamo tutti – questa è forse la vera ilusión – che la dirigenza di Podemos con cui ieri sera abbiamo bevuto, ballato e scattato selfie indimenticabili, accolga questo messaggio ormai proveniente da tutte le parti.
Un’ottima articolazione del significante ilusión in un recente articolo di Alberto Manconi a questo link https://www.euronomade.info/?p=5794 ↩
Qui l’ultimo minuto di Iglesias http://www.lasexta.com/noticias/nacional/elecciones-generales/7d-debate-atresmedia/pablo-iglesias-sonrian-que-puede_2015120800029.html ↩