di SIMONE PIERANNI.
Juan Carlos Monedero, professore di scienza politica alla Complutense di Madrid e scrittore, è uno dei fondatori di Podemos. Proprio lui e Iglesias sono due delle anime originarie del partito. Poi Monedero ha abbandonato il parito, a seguito di una frattura con Iglesias ed Errejon, numero uno e due del Partito. Podemos ha preso una strada smaccatamente elettorale, mentre per Monedero avrebbe dovuto mantenere la sua radicalità e novità.
Il co-fondatore è rimasto vicino alla formazione politica; è sempre presente, anche sul palco, ai comizi importanti e decisivi; utilizza la sua «libertà» da incarichi di partito per fare da contraltare, spesso, a Iglesias. Il suo ruolo gli permette da un lato di essere critico nei confronti di Podemos, dall’altro di «suggerire» possibilità ai suoi ex compagni.
Subito dopo la delusione elettorale del 26 giugno, sul suo blog ha commentato l’esito del voto esplicitando alcune critiche molto nette, ma cercando altresì di sottolineare l’importanza di aver portato 71 deputati alla Camera consolidando uno spazio politico che fino a poco tempo fa non esisteva nemmeno. Va bene la delusione, ma il risultato è stato in ogni caso rilevante
Partiamo dal risultato elettorale: hai parlato di infantilismo di Podemos perché si è creduto troppo ai sondaggi…
Non c’è una causa soltanto, ovviamente. Ma credere ai sondaggi e credere di essere davanti al Psoe ha fatto sì che la campagna sia stata in difesa dei voti che si credeva di avere, anziché per conquistarne di nuovi. Tutto questo all’interno di un contesto elettorale nel quale era chiaro l’intento: creare negli elettori la «paura» del voto a Unidos Podemos. E chissà che quei sondaggi non abbiamo portato Podemos a diventare «antipatico» a molti potenziali elettori, a perdere una certa empatia con i suoi votanti. Io ho parlato proprio di empatia, perché probabilmente molti potenziali elettori hanno perso un po’ di stima per un partito che si presentava come diverso dagli altri e che ha finito per mimetizzarsi con gli altri partiti nello scontro elettorale.
Un partito che forse nella campagna elettorale ha perso il contatto con la «strada», con la società civile.
Sì anche se vorrei precisare che quando dico che abbiamo perso la «strada», non intendo solo di andarci, ma di «stare» nelle strade con quegli strati sociali di cui ci facciamo portatori di valori e soluzioni. Noi siamo nati come una forza ideologicamente nuova, ben distinta da quella dei vecchi partiti. Ma c’è stato poco sforzo nei confronti della società civile, mentre ce n’è stato molto di tipo prettamente parlamentare. Va bene, ma serve marcare una differenza anche nella pratica, anche nella campagna elettorale. Simbolicamente non marchi una distanza in televisione, dove i dibattiti tendono a uniformare lo stile, gli interventi, le regole, eccetera. E neanche lo fai se nella campagna elettorale ti definisci socialdemocratico, elogi Zapatero o quando dici che il referendum catalano è una linea rossa. Tutti questi slogan hanno bisogno di spiegazioni dettagliate, complesse, che hanno anche bisogno di tempo oltre che di approccio diverso. Altrimenti finiscono per confondere chi magari avrebbe perfino deciso di votarti, ma percepisce la perdita di una certa dirompenza
L’alleanza con Izquierda Unida può essere stata un problema alla luce del voto che in fondo non somma né moltiplica i voti del 20 dicembre scorso?
Possiamo fare varie ipotesi: io credo che a mancare alla fine, oltre gli astenuti, siano proprio i votanti di Izquierda Unida. Mi spiego: noi temevano che eventualmente potessero essere i votanti più moderati a preoccuparsi dell’alleanza con Iu. Invece credo che siano stati quelli di Iu a non gradire molto l’alleanza. Basti ricordare che l’ex segretario di Izquierda Unida Cayo Lara (quello cui è succeduto Alberto Garzon ndr) all’ultimo congresso aveva detto che gli costava molto dover votare Unidos Podemos. È chiaro che noi siamo nati con un obiettivo ben preciso: creare qualcosa di nuovo a sinistra. Reinventare la sinistra proprio contro le logiche della sinistra tradizionale, ma dialogando naturalmente con quella sinistra. E forse anche per questo, anche per creare questo fronte amplio, c’è bisogno di più tempo. La formula partito del resto secondo me è superata e ora c’è bisogno di trovare altre soluzioni.
Del milione di voti perso che idea ti sei fatto, in attesa di avere i risultati della ricerca demoscopica?
Una parte – come ti dicevo – credo manchi dal voto forte di Izquierda Unida. Una parte credo sia andata alle forze contro il cambio, principalmente al Psoe, e una parte molto rilevante si è astenuta. Questa è una cosa che va capita molto bene, perché ci sono dei fattori oggettivi: le tante elezioni, la stanchezza delle persone nei confronti delle elezioni, la spinta sulla paura da parte di Pp e Psoe, ma il resto dei voti mancanti è da addebitare completamente solo a nostre responsabilità. Non siamo stati in grado di leggere la realtà che si andava costruendo intorno a noi, i nostri potenziali votanti volevano qualcosa di nuovo e noi ci siamo troppo mimetizzati con il resto, senza marcare adeguatamente le nostre differenze. Del resto le analisi dicono una cosa molto chiara: il voto delle persone over 45, rurali e con pochi studio vanno a destra. Gli urbani, giovani, con titoli di studio votano a sinistra. È un elettorato molto esigente, che va assolutamente recuperato. Ha pesato molto stare così vicini al Psoe, tendere così tante volte la mano. Continuare eventualmente su questa strada potrebbe far diventare il problema cronico.
Adesso che cosa può succedere dentro a Unidos Podemos. È possibile un congresso straordinario?
Non credo, ma di sicuro è necessario aprire un ampio dibattito. Del resto le soluzioni le sappiamo: i conservatori propugnano le solite soluzioni che già sappiamo non funzionano. Dalla guerra, al terrorismo, dai migranti ai ben pubblici conosciamo bene le loro soluzioni. Si deve aprire un spazio di discussione per elaborare altre soluzioni, farsi carico dei problemi e scegliere quali sono le strade da seguire, stando tra le persone che costituiscono il nostro riferimento. Bisogna aprire una discussione che ampli il fronte ma che non sia, per una volta, emergenziale, altrimenti sappiamo che avrà il fiato corto.
Nell’ipotesi di un governo Rajoy, Podemos ha la forza di stare all’opposizione?
Vedremo, perché intanto quando la destra prende il potere non lo molla tanto facilmente. Questo per rispondere all’ipotesi di un governo traballante di un paio d’anni… per Podemos però la fase che si apre è molto interessante. Come ho già detto non si vincono le elezioni se non si è dimostrato di saper governare. Ora abbiamo la possibilità di fare una lotta sia parlamentare sia sociale e dimostrare che possiamo essere capaci di governare, sfruttando anche i comuni dove siamo. Ci vuole tempo però. Dobbiamo dimostrare di avere le soluzioni e di essere utili.
Questa intervista è stata pubblicata su Il Manifesto il 07.07.2016