di PAOLA RUDAN.

riprendiamo da connessioni precarie questo testo di Paola Rudan, pubblicato in vrsione ridotta sul manifesto del 30 marzo 2017

Per la copertina del suo Carla Lonzi. Un’arte della vita (DeriveApprodi, 2017, € 20) Giovanna Zapperi ha scelto una fotografia sorprendente. La fotografia è a colori. Lonzi incrocia le braccia e sorride. Sullo sfondo, la ruota panoramica di San Antonio, in Texas, le incornicia il capo come un’aureola. Il sorriso di Lonzi, catturato dallo scatto del suo compagno Pietro Consagra, sembra prendersi gioco di quell’improbabile effetto mistico e, con esso, del lavoro del mito che nel corso di mezzo secolo – anche attraverso i più celebri scatti realizzati da Jacqueline Vodoz ‒ avrebbe fatto di lei un’icona del femminismo italiano inchiodandola a «una temporalità fuori dalla storia» e nascondendo, dietro al bianco e nero, le tinte accese del percorso contraddittorio e travagliato che aveva dovuto intraprendere per fare di sé stessa un soggetto e della propria vita un’arte. Il titolo del volume, d’altro canto, indica la possibilità di seguire quel percorso con uno sguardo che non separa il femminismo di Lonzi dalla sua singolare biografia e formazione, ma lo legge in modo innovativo nella problematica continuità con la sua riflessione sull’arte e la critica d’arte, all’interno della quale prendono forma le categorie politiche e le modalità di comunicazione che, a partire dal 1970, avrebbero dato voce all’autentica esperienza di rivolta di un’intera generazione di donne.

Leggere l’approdo di Carla Lonzi al femminismo partendo dalla storia dell’arte non solo contribuisce ad accrescere la conoscenza della sua vita e del suo pensiero, ma ha un effetto spiazzante che investe tanto l’oggetto dell’indagine quanto la prospettiva da cui è analizzato. Quel femminismo non è un affare per sole specialiste, non può restare confinato alle comunità filosofiche che in Italia se ne sono fatte interpreti privilegiate, né può essere rinchiuso nello spazio deliberatamente separato – perché separatista – che Lonzi e il collettivo di Rivolta femminile avevano costituito come condizione indispensabile alla venuta al mondo della donna come soggetto. Sfidando questa separatezza e quel confinamento ‒ anche attraverso la ricerca paziente di fonti d’archivio difficilmente accessibili, proprio per via del rifiuto di ogni rapporto con le istituzioni da parte delle donne di Rivolta ‒ Zapperi fa del femminismo la posizione politica a partire dalla quale indagare i rapporti di potere, le tensioni e le trasformazioni che investono l’arte e la sua critica nel corso della straordinaria fase storica di cui Lonzi è protagonista. L’intento, dunque, non è di rintracciare l’esperienza di un’«arte femminista» con propri canoni estetici e stilistici, temporalmente limitata dall’emergenza e dal riflusso del movimento delle donne. Al contrario, la posizione femminista aggredisce dall’interno la storia dell’arte come disciplina e raccoglie la sfida di Lonzi che, nel farsi soggetto, ne aveva messo in questione i canoni e le strategie di potere. In questo modo il femminismo di Lonzi, la sua arte della vita, non si lascia fissare in un’icona statica e canonizzata, ma si rivela un movimento vivo e un’incomponibile frattura che attraversa la storia e raggiunge il presente.

zapperi_carla_lonziIn questo itinerario Autoritratto, pubblicato nel 1969, rappresenta un fondamentale punto di svolta. Si tratta di un’opera che esprime – ed è resa possibile da ‒ «un’autoinvestitura come soggetto» che porta Lonzi a sviluppare la propria critica alla critica d’arte come istituzione, prendendo le distanze dal linguaggio e dalla postura autoritativa di figure quali Giulio Carlo Argan e Roberto Longhi, che di Lonzi era stato il maestro. In Autoritratto la critica della critica non è articolata come una teoria, ma risulta dalla forma stessa dell’opera, che si presenta al pubblico come la trascrizione della registrazione di una serie di conversazioni con importanti artisti d’avanguardia del tempo. Dopo aver registrato quelle conversazioni, Lonzi le aveva trascritte e montate secondo una sequenza non cronologica, ma scandita da assonanze e intrecci tematici. Alle parole aveva poi associato immagini spesso decontestualizzate, non solo fotografie degli artisti all’opera ma irruzioni nella loro vita privata e nel loro passato attraverso gli album di famiglia. Carla Accardi è l’unica donna coinvolta in Autoritratto e la conversazione tra «le due Carle» è l’indizio di un dialogo che precede ed eccede la traccia registrata, trasformando la critica della critica d’arte nel momento di gestazione del femminismo lonziano: contestando «la violenza epistemologica dell’osservazione», la supremazia dello sguardo del critico sull’opera d’arte e il conseguente rapporto gerarchico con l’artista, Lonzi lascia spazio all’ascolto e dunque alla voce, a una parola che prende forma all’interno di una relazione, come in seguito sarebbe avvenuto con l’autocoscienza. La scelta delle immagini rimanda alla messa in questione del confine tra pubblico e privato e allo spostamento dell’accento dall’opera all’artista, il cui gesto creativo è letto nei termini di un’autenticità che rifugge le dinamiche di valorizzazione e messa a profitto imposte dalla cultura come «rapporto sociale». Il concetto lonziano di «autenticità» ‒ il segno di quella soggettività della donna che si afferma nella pratica della «deculturazione» ‒ prende vita in questo Autoritratto: autenticità non è la certificazione impartita dal critico d’arte all’opera, la corrispondenza dell’opera con canoni stilistici ed estetici definiti autoritativamente, ma l’atto creativo in cui si esprime la libertà dell’artista, una libertà non compromessa dal rapporto di dominio cristallizzato nell’arte come istituzione.

L’idea della differenza sessuale come «progetto politico che mira a ribaltare l’ordine sessuato e patriarcale» dell’arte prende quindi forma all’interno della relazione con un’altra donna, che permette a Lonzi di intravedere nell’arte stessa una possibilità di espressione della creatività e dell’autonomia femminili. Quando la fiducia in questa possibilità viene meno, l’amicizia con Carla Accardi si rompe e questa rottura è il sintomo di un doppio rivolgimento. Per Lonzi l’arte è ormai un’istituzione intrinsecamente patriarcale: l’opera riduce chi osserva alla passività, mentre l’artista fa della propria creatività il «privilegio» che lo eleva individualmente a scapito degli altri e delle altre. Di conseguenza, una donna che ricerchi un riconoscimento nel mondo dell’arte non fa che «imitare l’individualità maschile», rinunciando alla propria autenticità. Questa è la posizione che Lonzi attribuisce all’amica e che la spinge a rifiutare ogni espressione «visuale» della creatività ‒ come quella proposta da Suzanne Santoro nel suo Per un’espressione nuova, alla cui pubblicazione nella collana dei «libretti verdi» Lonzi si oppone ‒ in favore della scrittura. La scrittura è l’esito della relazione tra donne che si dà nella pratica dell’autocoscienza, di una reciprocità che fa dell’ascolto e della «rispondenza» la possibilità stessa della presa di parola e dell’emergenza della donna come «soggetto imprevisto». Il separatismo – il rifiuto radicale di ogni compromissione con la cultura e le istituzioni patriarcali, la forma della «deculturazione» – diventa allora la condizione di possibilità dell’autenticità femminile. In questo modo però, osserva Zapperi, il significato di «autenticità» slitta pericolosamente dall’idea di un gesto di rivolta contro le identità e i ruoli ascritti verso un’esteriorità e una negatività assoluta della donna come soggetto, che rischia sempre di trasformarsi in un’«essenza» e in una trappola: può essere libera soltanto chi è già libera.

Così, il separatismo produce uno stallo: mentre consente alla donna di prendere parola sul mondo, esso la obbliga a prendere parola fuori dal mondo. Il problema della «rispondenza», del riconoscimento, sembra diventare per Lonzi un’ossessione che trapela dalle pagine del suo diario – nella delusione per la reazione fredda e indifferente delle donne di Rivolta alle sue poesie giovanili – e in quelle di Vai Pure. Dialogo con Pietro Consagra, la registrazione di un addio lungo quattro giorni in cui si esprime la posizione paradossale del «soggetto imprevisto». Questo è il risultato di un «fallimento» politicamente fecondo, cioè del rifiuto di avere successo come donna abbracciando un’identità e un ruolo imposti dall’ordine patriarcale, ma è anche continuamente esposto al rischio dell’invisibilità e del silenzio, sui cui Lonzi torna continuamente durante la conversazione con Consagra: «se tu dici ‘no, lei non parla’, come faccio a dire ‘no, ho parlato’». Se l’emergenza della donna come «soggetto imprevisto» è il risultato di un processo di rifiuto e di rivolta che può avere luogo solo collettivamente, il suo confinamento in uno spazio separato rischia continuamente di trasformarsi nell’impotenza individuale di chi resta fuori da quella storia che aveva avuto la pretesa di interrompere. La via d’uscita da questo stallo non può che essere un ‘tradimento’, un uso improprio della riflessione di Lonzi come quello praticato dalle artiste contemporanee di cui Giovanna Zapperi discute in epilogo. Tradire Lonzi, per quelle artiste, significa fare della sua riflessione un’ispirazione per l’arte che lei aveva abbandonato, riattivando il potenziale polemico della «donna clitoridea»: non un’identità che deriva da un carattere anatomico, ma un progetto politico di rifiuto dell’identità e dei ruoli che il patriarcato continua a imporre alle donne. Tradire Lonzi, «interrogare la creatività come pratica trasformativa dentro e fuori i confini del mondo dell’arte», significa interrompere il tempo omogeneo e vuoto del patriarcato e far precipitare quel progetto nella storia del presente. Questo hanno fatto le donne con lo sciopero dell’8 marzo: senza attendere il riconoscimento maschile, esse hanno preteso uno schieramento degli uomini contro l’ordine globale che le opprime e hanno raccolto la sfida lanciata da Sputiamo su Hegel di realizzare, a partire dalla propria presa di parola, «una modificazione totale della vita».

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