di VERONICA GAGO e MARIO SANTUCHO.
Scrivere sotto gli effetti di una sconfitta elettorale spesso può essere catartico, ma anche controproducente. In ogni caso, può essere anche un’occasione privilegiata per riacquistare un po’ di lucidità. I risultati delle elezioni PASO (Primarias abiertas, simultaneas y obligatorias) esigono un’analisi seria e profonda da tutti coloro che, da diverse prospettive, sono impegnati nella critica del neoliberalismo, poiché l’avversità va chiaramente al di là delle urne e sorregge il successo di quelle politiche a cui cerchiamo di resistere.
Cambiemos (il partito di Macri) sta consolidando il suo dominio in tutto il paese, grazie al supporto di segmenti sempre più ampi della popolazione. Il macrismo è penetrato con la propria versione del “cambiamento” in quasi tutti gli angoli del paese, fino a divenire una vera (e la principale) forza politica nazionale. Ha vinto in province in cui era impensabile vincesse fino ad ora. Ha conquistato una vittoria travolgente nei grandi centri urbani. E, benché sia stato sconfitto nella provincia di Buenos Aires (nell’estesa cintura della città di Buenos Aires, il ‘conurbano’) dalla principale candidata dell’opposizione, Cristina Kirchner, ha chiaramente incrementato la propria base elettorale (nonostante uno scontento generalizzato e piuttosto manifesto nei confronti del suo primo anno e mezzo di gestione). In sintesi, si può dire che la macchina “gialla” (colore scelto da Macri per rappresentare la propria forza politica) sia riuscita a conquistare un’importante sedimentazione territoriale. Inoltre, Cambiemos sembra aver preso sul serio l’idea della trasversalità, poiché i suoi votanti non sono facilmente riconducibili a una determinata classe sociale, producendo interpellazioni che vanno chiaramente al di là della propria base elettorale di riferimento.
Un altro aspetto importante da tenere in considerazione: il governo attuale conta due “laboratori politici” privilegiati nel proprio tentativo di mutare socialmente pelle. Il primo, e più avanzato, è costituito dalla Capital Federal (Ciudad de Buenos Aires); qui, lo stile adottato dal sindaco Horacio Rodríguez Larreta, caratterizzato da accenti più “progressisti” rispetto al precedente governo cittadino dello stesso Macri, e l’incoronazione di Elisa Carriò come candidata del Partito di governo, hanno avuto un successo schiacciante. Il secondo laboratorio è rappresentato dalla provincia di Jujuy nel Nord del paese (al confine con la Bolivia), in cui la metodologia repressiva e disciplinatrice dispiegata dal governo per addomesticare qualunque sfida “plebea” (vedi l’incarcerazione pretestuosa di Milagro Sala, leader del movimento sociale Tupac Amaru) è stata convalidata dalle urne con il 36% dei voti.
Stando così le cose, è difficile considerare il dominio di questa nuova destra come qualcosa di passeggero o fortuito. Diviene dunque importante cercare di comprendere in cosa consiste questa supremazia di Cambiemos rispetto al resto delle forze politiche, e con quali argomenti il macrismo si è appropriato dell’iniziativa per determinare il format della discussione.
Come prima cosa, il macrismo pensa se stesso, ed è percepito dalle élites latinoamericane, come l’avanguardia della lotta contro il populismo nel continente, ovvero come il movimento politico che incarna nel modo più efficace la crisi del ciclo dei governi popolari nati all’inizio del XX secolo. Da questo punto di vista, non bisogna dimenticare che Cambiemos è l’interpretazione in chiave imprenditoriale del “que se vayan todos” del 2001. A differenza di quanto sta succedendo in Brasile, il macrismo ha sconfitto il peronismo nelle elezioni del 2015. Nel 2016 è riuscito a contenere la crisi e ha tentato una transizione, coinvolgendo diversi movimenti sociali e buona parte dell’opposizione. Ora, ha appena convalidato nelle urne, nelle elezioni di mezzo termine, la sua condizione di “faro” ricevendo il vicepresidente degli Stati Uniti mentre celebrava il ribasso dell’indice di rischio per l’Argentina.
La grande promessa di Cambiemos, il suo orizzonte ideologico, è la costruzione di una società post-peronista. Buona parte della propria proiezione elettorale è dovuta al modo in cui ha tradotto in chiave imprenditoriale le aspettative popolari di progresso, sfruttando efficacemente l’esaurimento della principale identità politica dell’Argentina (il peronismo). E’ degno di nota il fatto che una forza politica i cui quadri e dirigenti provengono in buona parte dal mondo imprenditoriale o dalle fondazioni sia stata in grado di intercettare le nuove soggettività urbane, e che quindi appaia come il soggetto politico che sta leggendo meglio di tutti gli altri le domande della popolazione.
Dietro questa operazione di lettura-cattura è possibile intravvedere un mutamento quasi antropologico: la dissoluzione dell’assioma “dignità-lavoro” e la sua sostituzione con una brama di consumo e di merito. E’ al galoppo di questa vera forza motrice del neoliberalismo che i serbatoi di pensiero macristi stanno interpretando il desiderio delle diverse classi sociali. E’ a partire da queste premesse che Cambiemos ha riformulato la stessa di nozione di “inclusione” (cavallo di battaglia delle politiche kirchneriste) nei termini di “inclusione concorrenziale”: non è dunque che il macrismo abbia cancellato tale nozione dall’agenda politica. E come accadeva con i governi precedenti, esso blocca sul nascere ogni critica ai modi in cui viene articolata dal potere tale “integrazione”, il cui motore principale restano le dinamiche finanziarie ed estrattive. Forse è su questo punto che la governance macrista mostra un suo limite insuperabile, poiché appare evidente la sua totale incapacità di immaginare strategie di sviluppo, e quindi una qualche collocazione minimamente sostenibile nel lungo periodo, all’interno del nuovo ordine globale. Lontana ancora l’annunciata “pioggia di investimenti” dall’estero, aggrappando quindi il paese al salvagente dell’indebitamento internazionale, e con una politica assai efficace nel momento di asfissiare il mercato interno, la pauperizzazione delle maggioranze appare come qualcosa di inevitabile.
Nonostante ciò, questa nuova destra è riuscita ad appropriarsi simbolicamente di bandiere o significanti appartenuti tradizionalmente alle sinistre e alle sue diverse varianti di progressismo. Essa non soltanto si presenta come stendardo del futuro, facendo proprie la fede nel progresso e l’innovazione contro i valori tradizionali e contro la conservazione, ma si è anche appropriata dei valori della trasparenza, della lotta contro le mafie e contro quei “politici di professione” la cui ambizione è solo “eternizzarsi” nella gestione del potere. E’ così che la nuova destra riesce a trasmettere un’immagine del potere più orizzontale e flessibile rispetto a quella del tradizionale “caudillismo”; rivendicando anche il valore dell’incertezza e del rischio, contro il possibilismo e contro il presunto “circolo rosso”.
E’ chiaro che qui c’è moltissimo “marketing”. Ma non ci interessa smontare punto per punto tali presunti punti di forza: la domanda che dobbiamo farci è piuttosto perché questo tipo di discorso funziona? Cosa mobilita questo discorso a livello soggettivo e collettivo? Il macrismo sta proponendo una sorta di operazione di trasparenza, sta “regolarizzando” e facendo “emergere”, normalizzandole, le pratiche neoliberali che organizzano il nostro quotidiano, al di là delle nostre ipotetiche critiche ideologiche. La generalizzazione dell’alternativa “successo o fallimento”, attraverso la disseminazione di una concezione imprenditoriale, inocula dal basso quei valori della meritocrazia che fanno diventare anacronistiche ogni forma paternalista e redentrice di interpellare i settori popolari. L’insieme di aspirazioni di un qualunque CEO è ora alla portata di tutte e tutti, al di là del posto che si occupi nella gerarchia sociale o della propria e specifica e attività sociale. Al di là di quello che si dice, per il discorso “imprenditorialista” conta il “merito”. Per questo, importano poco i ridicoli lapsus incontenibili (tipici di Macri), così come i patrimoni in crescita meteorica: perché forse ciò che si sta offrendo è una nuova modalità di rappresentazione politica, attraverso cui viene ridefinita lo stessa sostanza della democrazia.
Questa nuova repubblica che sta emergendo appare come un terreno spinoso; un terreno in cui le istituzioni non hanno più l’obiettivo di risanare quelle fratture che, dal basso e dall’alto, svuotano la loro legittimità; un terreno in cui la conflittualità sociale sta mostrando una forte recrudescenza e motivando reazioni sempre più classiste, sessiste e razziste. E’ quindi ora di rompere con l’indiscreto incanto neoliberale: nella consapevolezza che non si può tornare indietro.
Questo articolo è stato pubblicato su DecoKnow