di FANT PRECARIO.
I. UN ORDINARIO ANNO DI CONFLITTI
24 gennaio: Trento, gli studenti della facoltà di Sociologia riuniti in assemblea – esperienza ancora inedita nelle scuole e nelle università italiane, dove dominano organismi tradizionali di rappresentanza legati ai partiti – decidono di occupare la facoltà per contestare il declassamento del titolo di studio, operato nel maggio 1965;
1 febbraio 1996: sciopero generale dei metalmeccanici per il contratto;
16 febbraio 1966: nuovo sciopero dei metalmeccanici;
8 marzo 1966: sciopero nazionale unitario degli edili;
16 marzo 1966: sciopero dei metalmeccanici, la FIAT licenzia per rappresaglia;
8 agosto 1966: sciopero nazionale unitario degli autoferrotranvieri per il rinnovo del contratto;
4-5 ottobre 1966: sciopero nazionale di chimici, alimentaristi e autoferrotranvieri;
6 ottobre 1966: sciopero nazionale unitario dei metalmeccanici dopo la rottura delle trattative, a dicembre sarà firmato l’accordo.
II. UN ORDINARIO ANNO DI REPRESSIONE
6 gennaio: Livorno, fermati, e subito rilasciati, militanti di Avanguardia Nazionale che coordinati da Flavio Campo stanno affiggendo manifesti firmati da una sedicente organizzazione marxista-leninista e molto polemici nei confronti del Pci, il cui undicesimo congresso è in programma a partire dal 25 gennaio. Sarà definita l’operazione dei “manifesti cinesi” ed è un’operazione di provocazione in corso già da alcuni mesi in diverse città d’Italia e affidata ad Avanguardia Nazionale. È stata proposta a Roma a Stefano Delle Chiaie, tramite Pino Bonanni, esponente del Movimento Sociale Italiano e redattore de Il Borghese, dal senatore missino Mario Tedeschi, direttore dello stesso Borghese, come «operazione di intossicazione psicologica diretta ai quadri e agli iscritti del Pci in vista appunto del congresso di quel partito. Delle Chiaie ha accettato». In realtà l’operazione è stata varata dalla Divisione Affari Riservati del ministero dell’Interno, della quale Tedeschi è un informatore;
17 gennaio: il generale Allavena, direttore del Sifar, dispone «per ragioni di opportunità contingenti e di riservatezza, considerata la situazione politica», che ogni questione relativa all’organizzazione Gladio venga riservata esclusivamente alle Forze armate;
20 gennaio: L’Astrolabio, settimanale diretto da Ferruccio Parri, pubblica un corsivo su SIFAR e generali, nel quale si accenna al «multiforme uso dei dossier»;
26 gennaio: la Cia propone al Sifar che la stay-behind Gladio orienti la sua attività nel campo della “insorgenza e controinsorgenza”;
29 gennaio: il colonnello Vittorio Meneguzzer assume il comando dell’ufficio D (sicurezza interna) del Sifar;
30 gennaio: il settimanale Astrolabio pubblica un breve articolo sull’uso dei dossier raccolti dal Sifar, e di critica nei confronti dell’Arma dei carabinieri. Nell’arco di 24 ore, tutte le copie vengono acquistate da agenti del Sifar;
14 febbraio: Milano, sul giornale degli studenti del liceo Parini, La Zanzara, si pubblica un’inchiesta dal titolo “Un dibattito sulla posizione della donna nella nostra società, cercando di esaminare i problemi del matrimonio, del lavoro femminile e del sesso”, a firma di Marco De Poli, Claudia Beltramo Ceppi e Marco Sassano. Nell’inchiesta emergono le opinioni di alcune studentesse del liceo sulla loro educazione sessuale e sul proprio ruolo nella società. L’associazione cattolica Gioventù Studentesca protestò immediatamente per «l’offesa recata alla sensibilità e al costume morale comune» in quanto non solo uno degli argomenti trattati (l’educazione sessuale) veniva considerato osceno, ma anche perché le intervistate erano tutte minorenni. Il 16 marzo 1966 i tre redattori sono accompagnati in Questura e denunciati. Il giudice Pasquale Carcasio obbliga i tre studenti, in applicazione di una legge del 1934, a spogliarsi «per verificare la presenza di tare fisiche e psicologiche». I due uomini acconsentono, mentre Claudia Beltramo oppone resistenza e, successivamente, rende noto quanto accaduto. Il caso de La Zanzara rimbalzò sulle cronache nazionali, dividendo il paese. Al processo sono presenti oltre decine di giornalisti, molti dei quali stranieri. Il 2 aprile viene emessa la sentenza: assolti i tre studenti dall’accusa di stampa oscena e corruzione di minorenni («sarebbe bene così trovare il senso del limite e calare il sipario. E prendere provvedimenti adeguati ai due casi: i ragazzi a scuola non devono occuparsi degli uomini svestiti, i magistrati non devono far svestire troppo in fretta i ragazzi», “Richieste, attacchi e accuse per l'”affare” della Zanzara”, Corriere della Sera, 18 marzo 1966);
15 febbraio: assolto dall’accusa di apologia di reato don Lorenzo Milani. Il parroco di Barbiana aveva difeso, sulle colonne di Rinascita, l’obiezione di coscienza. Il direttore del settimanale, Luca Pavolini, assolto in primo grado, sarà condannato in appello, dopo la morte di don Milani, a cinque mesi e 10 giorni di carcere;
10 marzo: Milano, arrestati otto militanti di organizzazioni di sinistra per diffusione di materiale nel quale si chiedeva l’uscita dell’Italia dalla NATO e si inneggiava all’obiezione di coscienza. Saranno assolti da ogni addebito;
22 marzo: la scrittrice Milena Milani e il direttore della Longanesi Mario Monti, sono condannati a 6 mesi di reclusione per pubblicazione oscena per il romanzo La ragazza di nome Giulio;
23 marzo: L’Unità riproduce la tessera della Dc che il bracciante di Barletta, Vito Menna, era stato costretto a prendere, pagandola tra l’altro 200 lire, per poter ottenere il pacco della Pontificia Opera Assistenza;
24 marzo: Tusa (Messina), ucciso dalla mafia il sindacalista socialista Carmelo Battaglia. Assessore comunale socialista, faceva parte della cooperativa di pascolo “Risveglio alesino”;
6 aprile: una relazione interna al Servizio informa sull’esercitazione in preparazione, dal 15 al 24 aprile 1966, in Friuli denominata Delfino. Nella nota si legge che verrà effettuata «sul terreno nella zona di Trieste, con la partecipazione di elementi di un nucleo propaganda (P/4), di un nucleo di evasione ed esfiltrazione (E/4) e di una unità di pronto impiego (Stella marina). L’esercitazione svilupperà, su base sperimentale, temi concernenti le operazioni caratteristiche della guerra non convenzionale in situazioni di insorgenza e controinsorgenza. Si prevedono quindi azioni di provocazione, quali aggressioni e attentati da attribuirsi all’avversario e la diffusione di materiale di disinformazione»;
20 aprile: il generale Giuseppe Aloja emana una direttiva in cui raccomanda «l’educazione morale e civica» per «immunizzare il combattente dalla propaganda sovversiva tendente alla disgregazione della compagine militare», e preannuncia «una specifica normativa sull’arma psicologica»;
27 aprile: Roma, nel corso di scontri all’università tra missini e antifascisti muore lo studente socialista Paolo Rossi. Colpito da un pugno, cade dalle scale. Il giorno 29, durante il dibattito alla Camera, PCI, PSI, PSIUP, PSDI e PRI, chiederanno le dimissioni del rettore Giuseppe Ugo Papi, ritenuto responsabile dell’impunità di cui godono i fascisti;
4 maggio: Milano, la polizia carica gli operai metalmeccanici in sciopero, provocando una quindicina di feriti;
4 giugno: Napoli, Alberto Giovannini, sul quotidiano Roma scrive: La televisione dello Stato italiano è nelle mani dei comunisti, dei socialisti e, peggio ancora, dei comunisti di sacrestia»;
7 giugno: durante la trasmissione televisiva Tribuna Politica, il presidente della Confindustria Angelo Costa afferma: «Partendo dalla convinzione che attualmente i sindacati hanno una forza eccessiva, noi non siamo disposti a contrattare condizioni che aumentino la loro forza di pressione»;
25 giugno: assume l’incarico di facente funzioni di responsabile della V sezione Sad, il tenente colonnello Pasquale Fagiolo, reduce della Rsi;
1 agosto: Dalle stazioni ferroviarie di Roma, Firenze e Bologna, e successivamente anche da quelle di Calalzo (Belluno) e Padova, vengono spedite duemila lettere ad altrettanti ufficiali delle forze armate in cui è scritto tra l’altro: «Ufficiali! La pericolosa situazione della politica italiana esige il vostro intervento decisivo. Spetta alle forze armate il compito di stroncare l’infezione prima che essa divenga mortale. Subire la banda di volgari canaglie che pretendono di governarci, significa obbedire alla sovversione e tradire lo Stato». Le lettere sono firmate Nuclei di Difesa dello Stato e un certo numero di indirizzi sulle buste che le contengono sono stati scritti manualmente dai neofascisti veneti Franco Freda e Giovanni Ventura. A quest’ultimo sarà poi sequestrato un documento stando al quale i Nuclei sarebbero stati costituiti da Eggardo Beltrametti ed Enrico De Boccard, neofascisti romani collaboratori del Sid;
9 ottobre, Genova, nel corso di uno sciopero proclamato dalla Cgil, la polizia carica gli scioperanti che protestano davanti alla sede delle Acli;
13 dicembre: Lentella (Chieti), nel corso dello sciopero dei braccianti, le forze di polizia aprono il fuoco sugli scioperanti, ferendo due lavoratori.
[indicazioni tratte da I giorni del lavoro – Cronologia].
Per concludere un dato che farebbe ringalluzzire i sostenitori della piena occupazione: secondo stime dell’Inail, su 18.884.000 occupati, gli infortuni sul lavoro sono stati nell’anno 1.451.000, con 4.900 morti, 2.6 ogni 10.000 impiegati: ma la percentuale nell’edilizia è 3.3, ed è IL MINIMO STORICO del quindicennio (6.4 nel 1952).
III. RITORNO AL FUTURO
Cari compari, folgorato dall’entusiasmo suscitato dal ricordo del “caro estinto”, rovistavo tranquillo nel cassetto dei ricordi. D’improvviso, mi sono ricordato del Giro d’Italia del 1966, della vittoria dell’elegantissimo Gianni Motta, ma anche dell’esame di seconda elementare, del duro studio farcito di aneddoti elegiaci sul fascismo “buono” e “didascalico”, sulla potenza della nazione sconfitta solo dalla sfortuna e dal tradimento (da Italo Balbo a Badoglio, gli esempi del maestro, evidentemente NON nato dalla Resistenza, si sprecavano). I partigiani offesi e occultati da Stato e TV, come fossero errori da rimediare (mentre i Salò(ttini), con o senza Violante, come visto sub II, non se la cavavano certo male), i ragazzi dalle magliette a strisce che ancora pagavano a rate l’avvocato per i fatti di sei anni prima. Tutto questo proprio oggi 13 agosto, quando una compagna è stata uccisa per difenderci dai nazisti che si aggirano tronfi e gonfi protetti da un presidente con condivide con Maga Magò il parrucchiere e da una polizia degna dell’eroe placanico.
E non ci vuole molto a capire che niente è cambiato…
Ora come allora il conflitto era vivo e si dava anche nella “contestazione” (allora si diceva proprio così) dei costumi post-fascisti di Chiesa e Stato, nella ideazione di una “controcultura” (allora si diceva così, e come si è visto sopra, a fronte di un PCI che misconosceva il dato o lo minimizzava cercando di portare acqua fresca al suo mulino dalla farina già avvelenata, i servizi segreti, già parlavano di insorgenza, quasi la potenza del sottoproletariato sgorgasse dalle vie polverose della periferia in corso di cementificazione) che offrisse asilo alle menti non corrotte e stimolasse l’avvio di un’elaborazione estranea a un’informazione serva o compiacente. L’universo giovanile appare in gran movimento: sub-culture emergono, comportamenti si affermano, valori consolidati entrano in crisi, eventi drammatici svolgono il ruolo di acceleratori per crisi di coscienza e radicalizzazioni politiche.
Si, cari compagni, l’estasi dell’operaio massa davanti alle giacche damascate dell’Equipe 84 era molto di più di un primo consumistico abbrivio alla felicità, era RIVOLTA, coagulazione di un pensiero costituente e rivoluzionario che spettralmente si aggirava per l’Italia perlomeno da Piazza Statuto. Il ’66 però non è (o non è solo) un pre-’68, splende di luce propria, il ’68 è solo uno dei tanti destini che da quell’estate procedono, e non certo il migliore se pensiamo a Sofri e Capanna.
Il ’66 è anche e soprattutto (non) violenza di classe, rifiuto sociale, autonomia, consolidamento – definitivo – della potenza acquisita nel disgelo del centro sinistra, alterco avviato da coloro che non avevano vissuto (per loro fortuna) la glaciazione scelbiana.
IV. DATECI I SACCHI A PELO E TENETEVI LE VOSTRE BANDIERE
Stesso umore di rivolta, stessa repressione.
I nemici? i capelloni, la promiscuità il DEGRADO, la promozione dello Stato (fascista) come unica via.
NB: l’evocazione del “testone” ha duplice valenza, da un lato plastica ripresa di un’era felice, dall’altro ridicolizzazione di coloro che contro tale ripresa si schieravano; tanto che se riporto uno stralcio di un articolo di giornale, la distanza temporale svanisce e tutto si e chiarisce:
Tentare di accreditare l’impressione d’una minaccia fascista sull’Italia significa commettere un falso. Le minacce reali provengono da un’altra parte. Il fascismo è morto e sepolto e nessuno può resuscitarlo, né gli studenti universitari affiliati al MSI, né alcun altro partito o uomo. Il fascismo è morto per sempre. Se mai, è il suo fantasma, e solo questo fantasma, che agita il sonno di certe persone [“Solo un fantasma”, Corriere della Sera, 1 maggio 1966 – ma potrebbe essere tranquillamente essere l’oggi, attraverso la penna vorticosa del Gramsci dagli occhi blu].
E che dire di questo?
Barbonia city, lo squallido accampamento innalzato dai capelloni in via Ripamonti, non esiste più. Dopo l’inchiesta condotta dal nostro giornale che ha vistosamente rilevato le molte sozzure compiute dagli abitanti della tendopoli nascosti dietro l’etichetta di un malinteso senso di anticonformismo (…) le autorità hanno deciso di passare fermamente all’azione. E, nel giro di poche ore, di Barbonia city non è rimasta traccia [“Rasa al suolo Barbonia city”, La Notte, 12 giugno 1967].
Ma anche: “Raso al suolo dalla polizia il villaggio beat di Nuova Barbonia”, Corriere della Sera, 13 giugno 1967 (sull’invenzione del “nome” del sito è ancora il mitico corrierone che detta la linea: «la si potrebbe chiamare, tanto per usare quel loro gergo infarcito di americanismi, ‘New Barbonia’» [“Un villaggio di capelloni sulle rive della Vettabbia”, Corriere della Sera, 17 maggio 1967].
Il sindaco Nardella ben potrebbe aver vergato simile ordinanza per ripristinare il bianco immacolato del giglio fiorentino.
I “barboni” riconoscevano irridenti il loro amore per il degrado, per la sporcizia esteriore a fronte dell’orrendo tinello degli appuntati.
Appiccare fuoco alle tende. Che vergogna che vergogna.
Forni crematori. Decapitazione. Barboni, andate a lavorare. Gesù Gesù.
LO
SCONCIO
Cento poliziotti armati ginocchioni nell’erba e nei secoli fedeli attendono trattenendo il respiro accerchiano gli ordini vengono dati con radio da campo
IRROMPONO
buttano giù le tende maltrattano inquisiscono
trasportano insultano cellulari pantere sirene carabinieri squadra omicidi
simpatici agenti meridionali isteria
NOI
serafini assonnati annoiati li seguiamo. Qualcuno si butta per terra non sente non vede lo trascinano fino al cellulare
VIAFATEBENEFRATELLI
gridano i milanesi accorsi a stormi per incitare applaudire benedire consigliare
AMOREDIPATRIA
APPLAUDONO
PUBBLICAMORALITÀ
È la sagra dell’ipocrisia della sessuofobia del razzismo del fascismo della malafede della stupidità [Mondo Beat, n. 5, 31 luglio 1967, a firma Gianni Ohm (= Gianni De Martino)].
Nessun dubbio sulla composizione di questa marea di straccioni, multicolore e lontana tanto dall’avanti al centro quanto dagli opposti estremismi, passione triste tramandataci da PICINI venduti e assenti dalle strade dal 25 aprile.
È ancora Mondo Beat che si/ci racconta: «Cosa accade a Piazza di Spagna? Cosa accade oltre alla pacifica protesta degli antimilitaristi make love not war su tutti i giacconi e la silenziosa protesta dei capelloni che si fanno insultare senza reagire e i lunghi discorsi sul sesso e sulla pillola e sulla pace nel Vietnam e in ogni altro posto dove si combatte e si muore stupidamente, e la polizia che interviene perché ha paura di questi discorsi e accusa i giovani di essere sporchi e malnutriti e il razzismo all’italiana si sfoga contro la lunghezza dei capelli da parte di chi ha capelli e idee corte, e i cortei per il divorzio, e i cortei per la pillola, e i cortei per il diritto all’obiezione di coscienza, e le lunghe notti trasferendosi in osteria tra operai-ragazzi-hipster-donne ubriache-angeli santificati dal vino; o nei locali beat a urlare la rabbia di un giorno che non finisce mai o a nutrirsi di jazz di bop-hard o con i santoni del free che cercano nuovi sentieri, più in là della marijuana, più in là del dolore e della dimenticanza mentre un fiasco di vino gira sempre è lui l’unico amico insostituibile; o a improvvisare furiosi happening o poesie in equipe gridando e maledicendo il mondo l’angoscia la guerra il dolore la fame l’assenza, per essere ancora la mattina, sulle gradinate a vedere sorgere un’altra alba solo un po’ più stanchi per non aver dormito, cantando canzoni oscene ai padri che cantavano le buone canzoni del fascio e di bandiera rossa, facendo inorridire i preti e le beghine di passaggio. Cosa accade a Piazza di Spagna? Accade che dei poeti, da quanto tempo non posso dire questa parola (Sì, Poeti) hanno cominciato a far sentire la loro voce. Nati come maledetti nelle caves nei locali beats nelle osterie fumose ora sono usciti alla luce del sole a violentare i borghesi. Non hanno formato un gruppo, sono troppo liberi per fare questo, sono troppo meravigliosamente individui-uomini per farsi inscatolare da dogmi, solo una rabbia hanno in comune, un’incavolatura generale, ma buona (oh sì, buona) contro le strutture di questa società-meccanica-chimica-industriale-atomica-pubblicitaria» [Mondo Beat, n. 1, marzo 1967].
In conclusione: «Il beat contribuì a fondare il modello di una nuova microsocietà di una società parallela a quella istituzionalizzata, avente un assetto sociale di tipo comunitario fondato su valori di reciproca solidarietà ed egualitarismo, dove l’abbandono del vecchio mondo e dei suoi falsi valori rappresentava una condizione indispensabile per costruire una nuova civiltà e nuove dinamiche di scambio» [Balestrini-Moroni, L’orda d’oro 1968-1977, p. 38]. «Il fenomeno beat è esclusivamente “di strada” fatto di ragazzi di proletariato giovanile, coerentemente fuggiti di casa, ma senza una situazione aggregativa e senza leaders dai riferimenti letterari ed ideologici ispirati alla Beat Generation. Fu il fenomeno dei capelloni di piazza di Spagna enfatizzato dai media d’allora. I giornali dicevano che questa piazza era il centro di raccolta di drogati, capelloni, perditempo. Il battage allarmista di stampa aveva creato una forte cassa di risonanza e aveva contribuito a richiamare molti che fuggivano da casa, sino a qui come era successo a Milano. Ma qui non trovarono un uguale referente esistenziale, aggregativo, organizzativo, dei contenuti che adeguatamente riuscissero a dare forma a bisogni e disagi. Nella cava di via Vicenza vi erano anche dei veri e propri vademecum di sopravvivenza con indicazioni sui luoghi di fortuna per poter dormire o dove si poteva mangiare con pochi soldi. A Roma moltissimi ragazzi capitavano e restavano abbandonati senza alcun riferimento, sperduti in strada» [De Angelis, Il beat italiano, in Ghione-Grispigni, Giovani prima della rivolta].
V. IL CANTAGIRO 1966
Ma non tutti erano pronti a scappare di casa e vivere raminghi ai margini del consumo; vuoi per amore della merce, vuoi perché l’apprensione della merce era via attiva al comunismo, vuoi perché vili, vuoi perché… boh, non lo so. Sta di fatto che quell’estate fu estate di vita anche per chi alternava il beat alla catena, l’esodo alla rilettura del marxismo attraverso Mao e il sogno cinese, o immaginifico coniugava classe operaia e materassino optical.
Ecco il Cantagiro, vera e propria fabbrica del soggetto, edificatore di quella marea montante che disfece la muraglia democratico-cristian-togliattiana, evidenziando una terza via, che non era fatta solo di mazze e mazzate, durezza e purezza; dubbi, paure, giovinezza privata dall’obbligo di essere primavera di bellezza di gioire per la pace e per l’alloro, ma soprattutto determinazione di sottrarre alla gogna coloro che la patria rinnegarono.
Mentre ignari i cantanti corrono lungo le strade, fanno ciao con la manina dal tettuccio della spider, qualcuno potrebbe tastare il polso e fermare in un attimo con un metafisico termometro, la nostra febbre musicale. Una febbre che ha costituito da sempre il più trito luogo comune degli italiani: un popolo di santi, di poeti, di navigatori, ma soprattutto un popolo di canzonettisti.
Attenzione perciò, la via dell’analisi storica, il nostro futuro, il giudizio sulla nostra epoca possono anche passare attraverso le corde vocali di Gianni Morandi e dei ragazzi dell’Equipe 84. E noi, incoscenti, che su queste cose continuavamo a scherzarci, prendendo a loro posto sul serio le bombe atomiche e gli sputnik, i politici russi e quelli americani [Gino Roca, “I cantanti come Maometto vanno a trovare i tifosi”, Corriere dello Sport 24.06.1966].
Biella, giugno ’66:
Quest’anno, a differenza dello scorso anno, non sono al seguito del Cantagiro come cantante, ma rivivo ancora gli attimi passati nelle emozioni degli altri cantanti. Non avevo mai visto così tanto entusiasmo ed affetto da parte del pubblico giovane verso i cantanti, ma prevedo che quest’anno sarà ancora maggiore. Il Cantagiro è una manifestazione diretta in primo luogo ai giovani, ma anche il novanta per cento dei non giovani mostra di gradire questo spettacolo e ne incoraggia l’attuazione. Come già nelle edizioni precedenti, nasceranno nuovi idoli, e penso soprattutto che sarà il momento d’oro dei complessi, perché il Cantagiro è la prova della verità per chi sta sul palcoscenico dinanzi a migliaia di giudici: non esistono più i magici trucchi delle sale di registrazione, tutti con lo stesso microfono, tutti uguali e genuini. I favoriti sembrerebbero quelli che già occupano i primi posti nelle classifiche, ma il Cantagiro sconvolge, crea, rivoluziona. Tra i probabili nuovi idoli dell’estate penso di poter porre i Nomadi, con un motivo di protesta nella loro canzone: Come potete giudicare, come anche i New Dada, giovanissimi, elegantissimi, e vivacissimi, capeggiati da uno scatenato biondino, Maurizio, il cantante del complesso che è sempre costretto a nascondersi per sfuggire agli assalti delle numerosissime ammiratrici [Corriere dello Sport, 24.06.1966, reportage di Elisabetta Ponti].
Le cronache non escono dal dettame minculpop della settimana Incom, ma si sente che The times they are a changin’, e questo tanto che il messaggio provenisse dal premio Nobel (meglio se dai Byrds) quanto da Caterina Caselli quante volte ci hanno detto sorridendo tristemente, le speranze dei ragazzi sono fumo. / Sono stanchi di lottare e non credono più a niente / proprio adesso che la meta è qui vicino. / Ma noi che stiamo correndo / avanzeremo di più, / ma non vedete che il cielo / ogni giorno diventa più blu: / è la pioggia che va / e ritorna il sereno; e se è vero che il grande balzo in avanti era diluito nell’acqua piovana, la contestazione ante litteram del compromesso storico (la meta più vicina, pronosticata dai Merola di ogni epoca) merita un plauso, che se fossimo stati più avvertiti magari ci risparmiavamo un po’ di mazzate. E poco importa che fosse una cover taroccata di Remember the rain dell’amerikano Bob Lind trasformata in canzone “di protesta” per stare al passo con i tempi; perché la costituzione materiale del beat era mille anni avanti a quella formale voluta dai padri costituenti e trascendeva il lavoro che la “massima occupazione” cominciava a farci odiare.
I complessi?
Equipe 84: Ho in mente te, perché chiudo gli occhi e ti penso… (Your were on my mind di Ian & Sylvia, 1962);
The Rokes: Ma che colpa abbiamo noi: La notte cade su di noi / la pioggia cade su di noi / la gente non sorride più / vediamo un mondo vecchio che / ci sta crollando addosso ormai / Ma che colpa abbiamo noi (ancora da Bob Lind); si potrebbe ironizzare sul fatto che il beat abbia inventato la via meteorologica al cambiamento, stante il costante riferirsi alla pioggia e al sereno, ma dopo tanti anni di catechismo e rinascita, provate voi millennials a far di meglio;
I Nomadi: Come potete giudicar, come potete condannar… (The Revolution Kind di Sonny Bono);
I Corvi: Ragazzo di strada, pur essa cover, ma dei Brogues (e su questa, per dovere e rispetto rimando all’Orda d’Oro);
New Dada: Non dirne più, addirittura arrubbata a Fats Domino;
Ma l’assoluto era l’apostata della didascalica Mod, il superbo Ricky Shayne, namber uan, namber tu, namber tri… mi piaci come sei, e d’un tratto ti dimenticavi di generali e colonnelli, di Agnelli e Marzotti, non perché vinto da loro o dai lacchè nazi, ma perché comprendevi che il superamento di quel sistema di produzione orrendo era dato, che le manganellate erano gesto meccanico di un corpo putrefatto che profumava di santità nella sagoma sfatta di Giovannone o di Padreppio da Predappio.
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Estate 2017 maledetta di morti, di cervelli abbandonati sul ciglio della strada a contemplare l’America di Trump, di riprese economiche discusse e pervertite. Cadono le statue dei generali sudisti così, in modo inversamente proporzionale, inverando un mondo che pensavamo estinto con John Ford. Cadono le statue di Lenin e con esse l’unguento per lenire il dolore di un’assenza bruciante, dove il comune che già c’è e lo senti, si rapprende e atrofizza nella testa dell’assessore DC (pardon, PD) che intitola una via a Pino Rauti – ma qualcuno proprio in quell’estate aveva capito tutto:
Whiskey Man’s my friend, he’s with me nearly all the time
He always joins me when I drink, and we get on just fine
Nobody has ever seen him, I’m the only one
Seemingly I must be mad, Insanity is fun
If that’s the way it’s done
Doctors say he just a figment of my twisted mind
If they can’t see my Whiskey Man they must be going blind
Two men dressed in white collected me two days ago
They said there’s only room for one and Whiskey Man can’t go
Whiskey Man will waste away if he’s left on his own
I can’t even ring him ‘cause he isn’t on the phone
Hasn’t got a home
Life is very gloomy in my little padded cell
It’s a shame there wasn’t room for Whiskey Man as well
Whiskey Man’s my friend, he’s with me nearly all the time
He always joins me when I drink, and we get on just fine
Just fine
Nota: questo testo è estratto dal manoscritto di If the Kids are United, di Fant Precario Ft. Girolamo De Michele (a Poor Yorick Entertainment), in uscita in autunno per Manifestolibri. Keep Calm and Stay Tuned