Di FANT PRECARIO.

Qualche giorno fa, in coda per giungere al luogo di lavoro, ascoltavo la radio. L’annunciatore pubblicizzava un’opera di prossima pubblicazione afferente la vita di vari personaggi che avrebbero cambiato il volto della storia (vado a memoria); suonava più o meno così: Caterina de Medici, Savonarola, Cartesio, Draghi.

Lì per lì ho pensato: la solita leccata di culo al miglior interprete del jazz californiano dopo Reagan. Poi però, e mentre la coda si faceva più rada, mi sono detto: e se avesse ragione? Se la nostra vita fosse davvero in mano al GoldmanSachsmanismo realizzato (magari con quei connotati di sacralità che accompagnano l’emergere di nuovi unti dal signore nello Stato che – come le polo – ha un buco che si chiama Vaticano)?

Non è quindi strano che l’incedere wagneriano dei “migliori” si avvii con la promessa di una riforma epocale (perché tutte le riforme generate dal bazooka sono sempre epocali) del diritto, meglio del processo, meglio dei processi.

*

1. Adesso, vado fino in cassasione

Il diritto è sentito dai più come vendetta – consentita dallo Stato – verso il sopruso patito, a riprova della favoletta secondo cui c’è un giudice a Berlino (che poi a livello di pastorella molto meglio quella che, secondo un pessimo genovese, arrubò 5.000 lire a Carlo Martello). È evidente, quindi, che il diritto rinvenga ai più (poveri, perlomeno, e io scrivo per loro) come processo, sciogliendo la norma sostanziale nel rito: sceneggiatura che vede il povero (falsamente) legittimato attivo, in quanto soggetto passivo sostanziale di un’ingiuria. La vita del povero si dipana nel rito tragico della defunta pretura: sfratto, licenziamento, furtarello al supermercato, occupazione abusiva di un sito abbandonato per riposare.

Apparentemente il processo è San Giorgio e il potere che “sostanzialmente” ti corrode, il drago (letto anche al plurale).

Anticipando il senso di quanto segue: 1) il processo è ritualità vera come i film western, l’attore muore ma “per finta”, anche qui il padrone soccombe, ma “per finta”; 2) e comunque, nel dubbio e per il caso in cui il processo conservasse un senso (e il valore di tutela) il “migliore” (come quello del bidone di Salerno) cercherà di smussarne i connotati più efficaci (cercando di escludere sempre più poveri dalla tutela, impedendo, ove possibile e addirittura, l’accesso al processo).

[jingle pubblicitario come nelle vecchie radio: secondo Calamandrei, le origini della Corte di Cassazione debbono collocarsi in quel periodo storico che prelude la formazione dello Stato moderno, in quella fase della storia europea che si caratterizza per il superamento del pluralismo delle giurisdizioni feudali e per quel concentramento dei poteri che fu proprio dall’assolutismo monarchico. Nel sedicesimo secolo, l’affermarsi del potere assoluto e del monarca, in Francia, rese necessaria l’istituzione di uno speciale Consiglio Reale con la funzione di annullare le sentenze delle giurisdizioni feudali che si ponevano in contrasto con la legislazione regia. Questo Consiglio del Re fu, per Calamandrei, l’antesignano della Cassazione. Si tratta dunque di un’istituzione nata per finalità tutt’altro che democratiche e garantiste, nata per imporre la volontà del sovrano, la forza delle leggi reali sulle norme locali.

Questa impronta non è mai del tutto scomparsa e riemerge con furore democratico nell’uso “giocoso” del giudizio di legittimità, che converte l’ultima istanza di doglianza in complesso “quesito della Susy”, per sconsigliare ai poveri avventure ai piani alti.

Vincenzo Di Cataldo, qualche anno fa, si chiedeva A cosa serve il diritto? In uno dei primi paragrafi del volume succitato, intitolato Nessuno sa che cosa serve il diritto registrava come si fosse diffusa «nella coscienza comune, nel dibattito culturale, nell’agone politico, una percezione distorta del diritto come area riservata, una strana specie di filosofi del tutto inutile o peggio ancora come terreno di coltura di continui trucchi di azzeccagarbugli ai danni dei comuni cittadini». Paolo Montalenti, recensendo l’opera, aggiungeva: «una visione del diritto come luogo di esercizio da parte del giudice di un potere prevalentemente arbitrario e il prevedibile in pregiudizio della libertà del cittadino oppure, al contrario, con frustrazione dell’aspettativa della comunità all’irrogazione di pene esemplari, oppure ancora come casuale o iniqua o insoddisfacente o comunque singolare, allocazione di attribuzioni o risarcimenti patrimoniali». Questo solo per dire che, a tutt’oggi, il processo (e il “diritto”) inverano il detto secondo cui chi vive sperando (nello Stato) muore cagando].

2. Il principio di legalità come tomba del movimento – Ed è subito calcinaccio

Ci sono stati momenti in cui confidare nella “legge” ha avuto un senso. Sì, ma sono durati il primo un giorno, il secondo pochi mesi.

a. Sì, la guerra continua fino alla cacciata dell’ultimo tedesco, fino alla scomparsa delle ultime vestigia del regime fascista, fino alla vittoria del popolo italiano che si ribella contro la tirannia mussoliniana, ma non si accorda a una oligarchia che cerca, buttando a mare Mussolini, di salvare se stessa a spese degli Italiani. Questo pensava il 27 luglio Duccio Galimberti facendo un bilancio delle manifestazioni popolari del 26 luglio. E proseguiva: il popolo ha goduto per 12 ore della tanto ambita libertà. Alle 13 del 26 luglio aveva già cessato di sapere che fosse. Il desiderio di tutelare l’ordine pubblico spinto al parossismo, l’applicazione pedestre e priva di buon senso degli ordini superiori […] hanno ripiombato il paese in uno stato di costrizione maggiore ancora di quello prima sofferto. Erano gli effetti della circolare Roatta, che pensata inizialmente per reprimere reazioni fasciste alla deposizione di Mussolini, che non vi furono, si rivolgeva ora contro chi chiedeva pace, pane e libertà (il comunismo?). A Cuneo nel pomeriggio del 26 un plotone di alpini aprì il fuoco contro i manifestanti, causando alcuni feriti e un morto. Ben più pesante sarà nei giorni successivi il bilancio delle vittime nelle altre città. Per questo il discorso di Duccio Galimberti prefigurava la lotta armata dell’8 settembre e non il ricorso in Cassazione.

a. Sì, la guerra continua fino alla cacciata dell’ultimo tedesco, fino alla scomparsa delle ultime vestigia del regime fascista, fino alla vittoria del popolo italiano che si ribella contro la tirannia mussoliniana, ma non si accorda a una oligarchia che cerca, buttando a mare Mussolini, di salvare se stessa a spese degli Italiani. Questo pensava il 27 luglio Duccio Galimberti facendo un bilancio delle manifestazioni popolari del 26 luglio. E proseguiva: il popolo ha goduto per 12 ore della tanto ambita libertà. Alle 13 del 26 luglio aveva già cessato di sapere che fosse. Il desiderio di tutelare l’ordine pubblico spinto al parossismo, l’applicazione pedestre e priva di buon senso degli ordini superiori […] hanno ripiombato il paese in uno stato di costrizione maggiore ancora di quello prima sofferto. Erano gli effetti della circolare Roatta, che pensata inizialmente per reprimere reazioni fasciste alla deposizione di Mussolini, che non vi furono, si rivolgeva ora contro chi chiedeva pace, pane e libertà (il comunismo?). A Cuneo nel pomeriggio del 26 un plotone di alpini aprì il fuoco contro i manifestanti, causando alcuni feriti e un morto. Ben più pesante sarà nei giorni successivi il bilancio delle vittime nelle altre città. Per questo il discorso di Duccio Galimberti prefigurava la lotta armata dell’8 settembre e non il ricorso in Cassazione.

b. Subito dopo la Liberazione e fino a che il padrone americano non suggerì al bell’Alcide che era meglio avere amici mafiosi e fascisti che quella manica di nati chissà quando, chissà dove, dei poveracci tentarono di governare il paese, affollando stanze sconosciute e ovattate dove oscuri figuri già latifondisti, poi liberali, poi fascisti ora democristiani (prossimi socialdemocratici, ma sempre pronti a condividere esaltanti esperienze maschie e romane) li sopportavano di mala voglia. Per fortuna, il CLN fece la fine del pugile sovietico con Rocky, i poveracci furono espunti dal “potere” pronti a essere falciati dalla mitraglia come ai tempi belli di nonno Bava.

La legge, che costruisce la società codificando i battiti del cuore capitalista, può essere “a misura” di povero? Fate voi [come diceva Renato: ti faccio un esempio. Uno dei primi risultati del 25 luglio (ancorché edulcorato come il folk di Dylan dopo neppure un anno) fu la reazione legittima agli atti arbitrari dei pubblici ufficiali ex art. 4 D.Lgs.Lgt. 14-9-1944, n. 288. Ma poteva la legge “frenare” l’arbitrio del detentore della legge (contraddire la sua natura di manganello e non di mezzo per dirimere controversie)? Subito accorse soccorso nero che tuonò: perché sussista l’esimente, il solo «eccesso» non basta; occorre anche che tale eccesso si sia realizzato «con atti arbitrari». Costituisce atto arbitrario del funzionario qualsiasi comportamento posto in essere in esecuzione di pubbliche funzioni, di per sé legittime, ma connotato da difetto di congruenza fra le modalità impiegate e le finalità per le quali è attribuita la funzione stessa, a causa della violazione degli elementari doveri di correttezza e civiltà che devono caratterizzare l’agire dei pubblici ufficiali. Ai fini dell’applicazione della causa di giustificazione prevista dall’art. 4 cit., non basta che il pubblico ufficiale ecceda dai limiti delle sue attribuzioni, ma è altresì necessario che tenga una condotta improntata a malanimo, capriccio, sopruso, prepotenza nei confronti del privato destinatario (Cass. 6.2.2009, n. 5414), oltre ad essere necessario il consapevole travalicamento, da parte del pubblico ufficiale, dei limiti e delle modalità entro cui le funzioni pubbliche devono essere esercitate (Cass. 7.7.2008, n. 27703)].

Cari placanichi, quindi, basta che non facciate i capricci.

3. Conclusivamente sul punto

Dato che, noi deboli, le vostre leggi avete fatto, e servi noi quelle leggi non le obbediremo dato che servire non vogliamo più.

*

In Sezione (ma sono tempi lontani) c’era anche chi si era affezionato a “Peppone”, burbero compagno che regolarmente faceva la figura dello scemo nei confronti del parroco che parlava con Dio. L’ossequio alla legge dello Stato (ma anche – attraverso Scelba – di Dio) era visto come viatico per la partecipazione alla ricostruzione: loro ci mettevano le ostie, noi la schiena e il capitale furoreggiava tra autostrade di cartone, case di cartone, valige di cartone. Compagni di allora, l’avete goduto il boom, a noi c’avete lasciato Veltroni: che il Dio di Don Camillo vi tratti malissimo nel suo inferno. A noi basta quello che abbiamo trovato tra Zangheri e Bertinotti (trent’anni, quasi, di fuffa puzzolente).

*

Eh, ma minchia: se non ci fossero le leggi, diventerebbe il far west. A parte che la legislazione sul lavoro fa ogni giorno più vittime di Gary Cooper in Mezzogiorno di fuoco, è sufficiente un po’ di organizzazione, non serve Dracone.

Ricorderete tutti il primo processo.

A me piace pensare il paradiso terrestre come una camera del lavoro di provincia, con un piccolo bar in fondo dove, però a servire le Dreher da 66 cc ci sono Silvia Dionisio e Gloria Guida.

Un problema: ci sono tre cessi e gli avventori di solito sono più di 10. Ora il giovedì gioca la Coppa delle Coppe, tutti a casa a vedere la giuve e i tre che detestano il calcio non hanno problema ad andare a pisciare (per i giovani: l’autonomia geriatrica ha le sue esigenze). Ma come facciamo gli altri giorni? Ci si organizza. Afranco che beve troppo bianco ha precedenza assoluta; gli altri, intanto vengono già pisciati e poi, prima di andare chiedono: c’è qualcuno che ci scappa?

Questa è l’organizzazione leninista che dissolve il diritto e con esso lo Stato.

Ma torniamo al primo processo. La vita scorreva tranquilla (a parte Caino che era sempre un po’ nervoso, ma minchia, anche Abele era un tale scassapalle); poi a Eva ci venne voglia di mangiarsi una mela, una di quelle riservate al padrone (fa ridere pensare alla “riserva di legge”, ma anche alla “riserva di caccia” che esclude gli autoctoni e lascia ai ricchi cittadini di sparare ai fagiani).

Il Giudice, strano occhio in campo triangolare, con tanto di toga ermellinata [che aveva creato l’uomo perché da solo tutto il giorno se lo menava e voleva qualcuno da vessare ricordandogli ogni secondo di essere perfetto (ma tanto si faceva le pippe, sognando Eva in topless)] si inventò

la proprietà privata, il furto e la pena

Tu ti guadagnerai il pane con il sudore della fronte, tu (minuscolo perché si rivolgeva a una donna) partorirai con dolere [di qui l’inutilità di chiedersi il perché di tante sentenze colpiscono il povero che ruba al supermercato; c’aveva già pensato Dio, ben prima di Hugo].

Perché proprio il lavoro? Non poteva ucciderlo? Farlo bruciare nelle fiamme eterne?

E a chi avrebbe rotto il cazzo? Si rompeva il giocattolo.

Era nato il capitalismo.

Non più organizzazione, ma leggi. Profonda, tragica giustificazione per condannare il genere umano ad ogni sfruttamento. Ecco il diritto e i giuristi. L’unica possibilità di scansare la sanzione? Il processo (in effetti non risulta che i due tapini abbiano impugnato la sentenza. E poi davanti a quale corte? non c’era ancora la trinità, da riunire in camera di consiglio).

E allora, che si fotta il processo deve aver pensato Dio, e lo deve avere pensato anche il nuovo Dio Italico.

*

È data delega al Governo per l’efficienza del processo civile e la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie. L’obiettivo, ha dichiarato il Ministro della Giustizia, è quello di ridurre i tempi dei giudizi civili di almeno il 40%, rendendo il processo italiano efficiente e competitivo anche in ottica europea. È infatti sulla giustizia che l’Italia gioca la partita decisiva per ottenere i fondi del Recovery Plan: non solo i 2,7 miliardi del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) destinati al comparto giustizia, ma anche i 191 miliardi riservati alla rinascita economica e sociale.

Fateci caso: (a) ridurre (a.1) i tempi dei giudizi (a.2) del 40%; (b) del processo (b.1) efficiente; (b.2) competitivo e ciò, d’un tratto come fulmine divino o martellata di Thor, (c) la rinascita economica e sociale.

Tralasciamo il fine perché è la solita vanteria generica ed esorbitante del pizzicagnolo quando ti vende la porchetta (e poi il dolus bonus non è atto illegittimo): ma che fine fa il processo? Quale vantaggio per i richiedenti vendetta (tanto stupidi da delegare allo stato anche il desiderio di uguaglianza)?

dato che il cannone lo intendete

 e che a ogni altro lingua siete sordi

si contro di voi ora

 quei cannoni noi si volterà

Un giudizio celere è un giudizio giusto in sé (preoccupazione prevalente, dovrebbe essere, per uno che appunto dovrebbe amministrare la giustizia)? Si deve vincere un gran premio o dotare il cittadino (il fratello e il partigiano ce li siamo giocati da un pezzo) di un servizio idoneo a pervenire a decisione conforme alla legge? E perché del 40%? Se un processo dura in media 6 anni, portarlo a 4 basterà per mandare alla Kolyma quelli che si divertono a mettere sotto le proprie ruote chi “picchetta”? A dare una casa a chi è stato sfrattato per incolpevole morosità? A sanzionare chi ti licenzia ridendo, mandandoti un uozzapp del tipo “suca povero di merda, da domani muori di fame”?

Se proprio si vuole ridurre il processo al rito sterile, è sensato ridurre il rito a una sequela di atti sempre più spediti e stringati (l’abolizione della motivazione è il sogno bagnato dei più)?

Il governo dei migliori ha risolto il problema. Il processo è come un disco dei Canned Heat: l’assolo del batterista è troppo lungo e te lo meni? Metti il 33 a 45 giri e finisce prima.

[processo competitivo, in che senso: dov’è la gara, con chi? O è una lotta ad imbertarsi i miliardi che l’Europa ci consegna previa dimostrazione di avere smantellato ogni garanzia di tutela per i poveri?].

Download this article as an e-book