di PHILIPPE DESCOLA.
Pubblichiamo con piacere un estratto della traduzione italiana di On ne dissout pas un soulèvement. 40 voix pour les Soulèvements de la Terre, l’abbecedario collettivo dei Soulévements de la Terre, in uscita a breve per Orthotes Editrice (che ringraziamo). Tale pubblicazione serve anche a rilanciare i momenti italiani di lotta e confronto con il movimento ecologista francese durante la Traversata delle lotte per l’acqua, cioè il campeggio di Ecologia Politica in Val di Susa e il Climate camp di Vicenza. La voce “Accaparramento” firmata da Philippe Descola articola, in modo situato e relativo a Soulevements de la Terre, alcune tematiche marxiane a noi care che risultano ancor più attuali dentro la crisi eco-climatica, quali i processi di accumulazione originaria e privatizzazione dei beni comuni naturali. Ci pare di particolare interesse come, nelle lotte francesi odierne, tali forme di comune assumano una rilevanza immediatamente umana e sociale, componendosi nella pratica con altre cruciali lotte sociali e politiche in corso.
Lo sviluppo del capitalismo è stato favorito dalla tendenza crescente all’accaparramento di beni comuni da parte di una minoranza di proprietari, sia in forma violenta, sia mascherando la brutale e indebita appropriazione con strumenti giuridici creati ad hoc.
Basti pensare alla sua forma più nota, il sistema delle enclosures in Gran Bretagna. Fin dal Medioevo, ha sottratto campi e pascoli all’uso collettivo delle comunità contadine per riservarli ai proprietari terrieri locali, con la conseguente cacciata dei lavoratori della terra, divenuti occupanti senza titolo dei terreni che avevano valorizzato. Il risultato fu l’aumento della superficie dei pascoli privati, ormai campi recintati, che portò, secondo le famose parole di Thomas More, a una situazione in cui le pecore «cominciano a essere così voraci e indomabili da mangiarsi financo gli uomini, da devastare, facendo strage, campi, case e città». Quanto a coloro che prima godevano del libero accesso a queste terre comuni, «vengono cacciati via e, irretiti da inganni o sopraffatti dalla violenza, son anche spogliati del proprio».
Questo processo di appropriazione delle terre, all’origine dell’analisi marxiana dell’accumulazione primitiva del capitale, proseguì in Europa in modo insidioso e su larga scala fino al XIX secolo. Ad esempio, la spoliazione delle lande di Guascogna, una zona umida occupata e utilizzata in comune dagli allevatori di pecore, a opera dell’Impero di Napoleone III, fu uno dei più grandi sequestri di terre in Francia dei secoli passati. Sotto il pretesto ufficiale di bonificare le malsane paludi, fu condotto per offrire succulenti profitti alle ricche classi medie che detenevano i mezzi per acquistare le vaste tenute requisite dallo Stato e per piantare la foresta di pini, che ora caratterizza la regione, destinata alla resinatura.
Ma si pensi anche e soprattutto al saccheggio delle terre delle popolazioni indigene da parte delle potenze coloniali, in particolare nelle Americhe. Nelle colonie iberiche o con la colonizzazione britannica si trattava sempre di impossessarsi di terre precedentemente utilizzate in comune al fine di creare grandi proprietà agricole o sfrattare gli occupanti originari se non coltivavano la terra. In tutti i casi e in tutte le regioni in cui ha avuto luogo, la colonizzazione europea è stata, nella storia del mondo, il più grande movimento di depredazione di terre prima gestite in comune dalle collettività locali. Sotto forma di neocolonialismo interno e imperialismo delle grandi potenze, il fenomeno continua ancora oggi, come dimostra la lotta nella Guyana francese tra gli autoctoni Kali’na e la Total per la costruzione di una centrale elettrica fotovoltaica sui terreni boschivi confinanti con il loro villaggio.
Molti altri elementi dei biomi gestiti in comune continuano a essere saccheggiati o inquinati da una minoranza. Il caso dell’acqua, divenuto cruciale con il riscaldamento globale, è emblematico delle forme contemporanee di accaparramento. Nonostante i Soulèvements de la Terre si battano anche contro l’accaparramento e l’artificializzazione dei terreni agricoli e delle foreste da parte della grande industria, e contro i progetti di infrastrutture inutili, dalle autostrade all’ennesimo circo bianco, la lotta condotta con altre organizzazioni e altri collettivi contro le riserve d’acqua di pompaggio (i mega-bacini) nella Francia occidentale testimonia di come la battaglia contro il saccheggio dei beni comuni, iniziata diversi secoli fa, sia in Europa tutt’altro che conclusa. Con la complicità del governo francese, più volte condannato per la sua inazione in materia di cambiamenti climatici, una minoranza di produttori ha deciso di monopolizzare le acque delle falde freatiche per l’irrigazione estiva, al fine di alimentare riserve d’acqua artificiali, alcune delle quali costruite illegalmente senza che il governo abbia ritenuto opportuno chiederne lo smantellamento. Invece di cercare di cambiare i metodi di coltivazione e le specie vegetali per adattarle alla siccità cronica causata dal nuovo regime climatico – come molti agricoltori hanno iniziato a fare – questa minoranza continua a perpetuare un modello agricolo irragionevole che ha chiaramente fatto il suo tempo. Il fatto che il governo dispieghi le forze dello Stato in modo smisurato per soffocare coloro che si esprimono contro questi progetti dimostra la continuità del ricorso alla violenza da parte dei poteri pubblici contro l’uso associativo dei beni comuni, sin da quando le autorità britanniche hanno deciso di spezzare la resistenza alle recinzioni nel XVII e XIX secolo. Forse, al di là del riflesso pavloviano di protezione degli interessi privati contro il bene pubblico, il governo ha scorto dietro i movimenti che lottano contro l’appropriazione dei beni comuni, e più in generale nell’esperienza di territori alternativi come la ZAD di Notre-Dame-des-Landes, una minaccia mortale al modello sociale ed economico profondamente asimmetrico e devastante per il pianeta di cui è l’espressione più zelante.