di SIMONE PIERANNI.
Quasi in contemporanea, Putin ha vinto le elezioni in Russia e Xi Jinping è stato confermato alla presidenza della Repubblica popolare cinese.
Due eventi tra i più telefonati della storia: scontati eppure diversi. Come differente è il percorso dei due leader, nonostante alcuni punti in comune. Ma più in generale è importante chiedersi: in che modo la loro relazione – definita in questi giorni da Xi Jinping «nel momento storico più alto» – finirà per influenzare il nostro futuro?
I noccioli della questione infatti sono i seguenti: Putin e Xi Jinping sono due leader che rappresentano una risposta all’odierna fase del capitalismo mondiale e vengono spesso rappresentati come parte di uno stesso «asse»: ma in che modo le due potenze collaboreranno o meno all’interno dello scacchiere mondiale in rapida evoluzione? Putin si è riconfermato alla guida della Russia per il probabile ultimo mandato al termine di un ventennio – intervallato dalla presidenza Medvedev, sua diretta emanazione – nel quale ha plasmato una nuova immagine internazionale di Mosca, determinata a riconquistare spazi in aree decisive del pianeta (come il Medio oriente) ma in un momento problematico dal punto di vista economico interno, a causa delle oscillazioni del petrolio e di una diseguaglianza che cresce in continuazione.
Xi Jinping, invece, ha iniziato il suo secondo mandato dopo aver ereditato un paese dalla crescita a doppia cifra, parzialmente depotenziata dalla crisi economica occidentale. Xi, inoltre, è salito al potere da «sconosciuto»: in tanti, poco prima della sua nomina a numero uno, si chiedevano che «animale politico» sarebbe stato.
Putin in questi anni dovrà organizzare la sua successione, concentrandosi, come ha specificato subito dopo il voto, sulla politica interna: significa che il paese dovrà concentrarsi sulle proprie sacche di povertà, mentre Putin dovrà sfogliare la margherita del suo successore (che al momento non si vede). Xi Jinping dal canto suo ha riportato il partito comunista al centro della vita politica nazionale (con una campagna anti corruzione nella cui rete sono finiti sicuramente nemici, ma che ha dato una nuova immagine positiva di un partito in crisi di fiducia con la popolazione), ha tolto di mezzo i potenziali successori (qualcuno è stato arrestato, altri sono stati piazzati in ruoli governativi minori) e se da un lato sta cercando di controllare il passaggio da un’economia trainata dalle esportazioni a una spinta dal mercato interno, nel suo immediato futuro sarà concentrato a porre il paese al «centro del mondo» dal punto di vista internazionale.
Due percorsi in «fasi» diverse, ma non privi di somiglianze: seppure – infatti – con sistemi politici differenti (per quanto conti, in Russia si vota ancora) le due potenze si assomigliano soprattutto nella gestione interna degli equilibri politici e perché la loro ritrovata «potenza» ha finito per squagliare quegli equilibri mondiali scossi dal mondo multipolare. Tanto Xi quanto Putin, per altro, hanno percorsi comuni all’interno dei propri paesi: di Putin si conosce il passato nel Kgb, nel cuore di quello che era il potere nell’Urss; Xi Jinping è un «principino», figlio di un padre della patria, da sempre avvezzo a frequentare il mondo della politica. Entrambi sono élite, ma si presentano come «persone del popolo» ed entrambi hanno rappresentato una risposta a una esigenza: Putin ha riportato la Russia ai fasti del passato, dopo aver salvato il paese dai lupi famelici del neoliberismo cui ha aperto la porta Eltsin.
Xi Jinping ha completato quel percorso che lo vede degno erede tanto di Mao quanto di Deng: oggi la Cina è forte all’esterno quanto all’interno. E veniamo alle potenziali fratture: innanzitutto potremmo dire che rispetto alla Russia Xi Jinping ha «vendicato» Mao. Al di là delle dichiarazioni di facciata e di chi ritiene pronto e cucinato un nuovo asse di contrasto al neoliberismo mondiale, come ha sottolineato la sinologa Alessandra Lavagnino su Agi, Xi è il primo leader cinese «a trattare con Putin dall’alto in basso» (mentre Mao soffrì moltissimo la relazione con il «fratello maggiore» russo): ai tempi della guerra in Ucraina, ad esempio, i due paesi strinsero un accordo trentennale sul gas, clamorosamente a favore della Cina.
E ancora: la Nuova via della seta disegnata da Xi e nuovo caposaldo cinese, nonché motivazione dell’esigenza di avere Xi al comando per parecchi anni ancora, va proprio a insistere su quello che la Russia considera «casa propria», ovvero l’Asia centrale. Per non parlare delle mire cinesi sull’Artico.
Questi due modelli, dunque, ripiegamenti autoritari dovuti alla fase mondiale e appoggiati su caratteristiche storiche dei due paesi, non è detto che possano costituire sempre una sorta di «asse» perché inseriti in un mondo non più bipolare ma a blocchi costantemente in movimento. Al momento a Mosca e Pechino conviene spingere sulla retorica della grande amicizia: in Siria la Cina ha accompagnato la Russia sulle risoluzioni Onu, così come in Ucraina, ma le visioni del mondo sono completamente differenti.
La Cina agisce da potenza di un mondo multipolare, evita lo scontro, preferisce «ferire» con le merci e chiudendo mercati (lo sanno bene a Bruxelles), Putin ha agito come potenza novecentesca, entrando in modo diretto all’interno dei conflitti contemporanei (suo malgrado, si può concedere questo a Mosca). Le due fasi che Putin e Xi Jinping stanno gestendo, dunque, potrebbero trovare fratture, ora come ora imprevedibili, proprio a livello internazionale.
questo articolo è stato pubblicato sul manifesto del 21 marzo 2018