poveroyorick1. Può un progetto culturale essere utile alla sovversione del presente?

Sì – s’apre i’ dibattito, verrebbe da dire. E allora apriamolo.
Un manifesto in più sarebbe inutile e pretenzioso, se servisse a “dettare la linea” o a proporre l’ennesima normatività botton down dalla critica laureata agli operatori culturali. Non è il nostro caso.
Per noi un progetto culturale non può che partire dalla cartografia del presente. Sembra facile dirlo: ma cartografare non significa limitarsi a fotografare, a esporre una mera fenomenologia. Significa in prima battuta praticare quell’arte della scomposizione analitica di ciò che appare come unità di senso: scomposizione che mostra come ciò che si presupponeva “reale” e “concreto” non è che un’astrazione.

Cosa dobbiamo intendere per “presente”? Tutto ciò che c’è:  non solo come effettualità (o come apparenza), ma anche come potenza, possibilità di essere. Non solo ciò che si manifesta come solido, percepibile o percettivo: ma anche come connessione di relazioni spazio-temporali.
Cartografare il presente significa ricercare questi segni, ovvero ciò cui gli eventi e i dati fanno segno, in ogni forma culturale: filosofica, letteraria, visuale, “alta”, “bassa”, sperimentale, pop. Ma anche: riflettere sul ruolo della “cultura”, quale produzione di linguaggi, immagini, simboli che ci uniscono e (uni)formano, e la funzione di una sua riflessione trasversale, al di fuori di istituzioni consone (università, riviste culturali, ecc). E assumere in modo critico la distanza tra questa interpretazione e il mondo in cui la vita si dispiega e viene sfruttata. I prodotti culturali, quali che siano, si collocano sull’interfaccia tra governanti e governati – meglio: tra arte di governo e l’essere governati, perché esistono anche il governo (e le sue tecnologie) di governo di sé.
Non si tratta di ritornare alla classica disputa tra fautori dell’identificazione arte-vita e fautori della loro impossibile coincidenza, “dannunziani” Vs “pirandelliani” ieri, Bret Easton Ellis Vs David Foster Wallace oggi), quanto di mostrare come questa alternativa deve comportare una messa in luce del carattere produttivo dell’arte, e del suo manifestarsi come eccedenza rispetto alla norma.

E, naturalmente, di prendere posizione.

2. Di cosa dovremmo occuparci?

Partiamo da un presupposto, che dovremo articolare nella pratica: l’arte (la cultura, l’espressione creativa) è come il comune. Esiste una sorta di potere costituente continuamente assoggettato al biopotere, che trova, o crea, modi sempre nuovi per rompere la crosta dei dispositivi di governo e irrompere sulla scena del mondo dominato dal capitale.
Cartografare significa quindi tracciare le linee dell’oppressione e dell’insorgenza, la continua sussunzione della creatività valorizzata e messa sul mercato e la ribellione della vita che ogni tanto si affaccia.

Il punto è: come la singolarità si agita nell’arte? Il farsi moltitudine attraverso la produzione di comune dove lo troviamo ora, quando la vita è appresa prima ancora di essere espressione di qualcosa, meglio simultaneamente? La questione non è oziosa, perché mette in discussione ogni espressione “artistica” e la necessità che del dato ne tengano conto anche realtà avanzate, e più in generale chiama in causa i luoghi e le modalità di ogni produzione.
Abbiamo richiamato quel metodo (che ci hanno insegnato il Marx dei Grundrisse e il Foucault della filosofia analitica del potere) della scomposizione analitica, il doppio movimento che scompone l’astrazione nei suoi elementi concreti, e ricompone i singoli dati in un un’unità di senso che dà nuova concreteza alle astratte individualità. Ebbene, la stessa coppia antagonista biopotere/eccedenza resta un’espressione verbale, astratta e disincarnata, se non viene scomposta nelle sue determinazioni materiali: se il coltello della critica, andando a sezionare le membra dell’essere, non affonda la sua lama nelle carni e nelle giunture del mondo.
In definitiva, ci interessa mostrare, far affiorare l’eccedenza in tutte le diverse modalità in cui essa si manifesta: eccedenza di senso, di valore, di soggettivazione, di tempo, ecc.

Siamo consapevoli della difficoltà di un progetto culturale, oggi, dopo trent’anni di devastazione della comunicazione e di voluta destituzione dei saperi. Vi è stata in questi anni bui e stupidi una colonizzazione profonda delle relazioni, delle solidarietà e della messa in comune delle esperienze a fronte di un assunto che non possiamo ignorare: l’omologazione dei bisogni in base al sistema della comunicazione, e un profondo collasso dei saperi. Tutto ciò ha fatto da veicolo ai mots d’ordres delle “società di controllo”.
I saperi ci mancano per sollevare il naso sopra l’onda montante (e forte) dei populismi (la Grecia ne è un esempio) che attecchiscono laddove la disperazione esistenziale non riesce a trovare riscontro. Insomma ci necessitano saperi capaci di coniugarsi con lo stato delle cose che la vuota autoreferenzialità ha ignorato

3. Cosa ricercare nella cartografia del presente?

Se progetto dev’esserci, il suo centro e il suo movente non può essere recensire il tal libro o parlare del tal film perché “ci ha fatto godere come trottole”: tutti noi amiamo il godimento, lo cerchiamo con ogni mezzo e godiamo nel godere (quando ci riusciamo) – ma non è sufficiente a una dimensione progettuale. Non dimentichiamo che non è necessario essere tristi per essere militanti, ma sappiamo anche che il mero godimento idiota come telos è una forma di vita triste e un po’ passiva.
Dice Foucault, in un’intervista del 1977: «Mi sembra esista la possibilità di far lavorare la finzione [“fiction”] nella verità, di indurre effetti di verità con un discorso di fiction, e di far sì che il discorso di verità susciti, fabbrichi qualcosa che ancora non esiste, dunque “finziona”. Si “finziona” la storia a partire da una realtà politica che la rende vera, si “finziona” una politica che ancora non esiste a partire da una verità storica» (“Les rapports de pouvoir passent à l’intérieur des corps”, in Dits et écrits vol. II, 1976-1988, p. 236).

Ciò che ci interessa, ciò che intendiamo cartografare è proprio questo: il modo in cui la produzione culturale può “finzionare” il presente in favore di un tempo futuro (Nietzsche).

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