Di PIERRE-FRANÇOIS MOREAU e LAURENT BOVE

Il filosofo spinozista è morto martedì. La sua lettura del pensatore olandese ha influenzato Toni Negri, Frédéric Lordon ed Etienne Balibar.

Alexandre Matheron è morto questo martedì 7 gennaio. Ha profondamente segnato la filosofia e la storia della filosofia in Francia e all’estero con i suoi lavori su Spinoza e sul pensiero dell’età classica. In particolare ha influenzato coloro che, da Toni Negri a Frédéric Lordon, cercano nello spinozismo degli strumenti per decifrare i conflitti del mondo contemporaneo.

Nato nel 1926, è assistente alla facoltà di Algeri dal 1957 al 1963, poi ricercatore al CNRS dove redige le sue due tesi (dalle quali sono tratti i suoi Individu et communaté chez Spinoza, 1969, Éditions de Minuit, e Le Christ et le salut des ignorants chez Spinoza, 1971, Aubier-Montaigne). Dal 1968 al 1971 è docente all’università di Nanterre, poi dal 1971 al 1992 professore all’Ecole normale supérieure di Fontenay-Saint-Cloud. I suoi numerosi studi sul pensiero del XVII secolo, le sue eredità e le sue sfide sono stati raccolti nel 2011 nel volume Etudes sur Spinoza et les philosophies de l’âge classique (ENS Editions).

Alexandre Matheron è innanzitutto sinonimo di un metodo rigoroso ed estremamente fecondo in storia della filosofia, ma è anche il pensatore e l’iniziatore di una biforcazione nel pensiero filosofico. Una doppia biforcazione, addirittura, che riguarda innanzitutto la sua analisi della rottura operata da Spinoza nel cuore della filosofia moderna, ma anche la rottura che questa stessa lettura metheroniana ha reso possibile, dopo il ’68, nel pensiero contemporaneo.

Erede della Scuola francese di storia della filosofia, il cui teorico fu Martial Gueroult, Alexandre Matheron trae da quest’ultimo il metodo strutturale, secondo il quale ogni sistema di pensiero è un monumento di cui è si deve scoprire l’architettura. Nondimeno costruisce una prospettiva inedita del pensatore olandese spostando il punto focale dell’opera verso due concetti: “individuo” e “comunità”, e attraverso l’analisi del ruolo attribuito da Spinoza alla Storia. Pone così al cuore del sistema la teoria degli affetti e il loro rapporto con lo Stato. La questione politica diventa allora essenziale. Si trattava di un settore che all’epoca non interessava la critica. Questa riconduceva la politica di Spinoza a quella di Hobbes; o meglio, al contrario, dipingeva un’opposizione fittizia tra i due autori opponendo un contrattualismo liberale spinozista a una teoria hobbesiana del diritto del più forte, il che era un controsenso rispetto al pensiero di ciascun autore. Scoprendo in Spinoza un pensiero della potenza delle passioni e un’analisi dei conflitti costitutivi dell’essere sociale, Matheron capovolge la situazione: fa del filosofo di Amsterdam uno stratega teorico della modernità.

Nei numerosi articoli che sono seguiti ai suoi due primi libri, Matheron continua ad avvicinare, impercettibilmente, il suo approccio allo spinozismo verso una filosofia della potenza produttiva: in una Natura che produce un’infinità di cose e un’infinità di modi si tratta so cogliere tutte le variazioni e le possibilità degli individui e delle istituzioni. Da qui gli studi su dei temi che fino ad allora erano stati poco indagati: la proprietà, l’individuo, la sessualità, la questione dei rapporti tra gli uomini e le donne. Questa ontologia della potenza va oltre le concezioni limitate della metafisica o dell’epistemologia alle quali si riducono troppo spesso i pensatori dell’età classica. Ma cambia anche il rapporto alla politica stessa. Dichiara Alexandre Matheron: «All’inizio ho cominciato a studiare Spinoza perché vedevo in lui qualcuno che aveva avuto il grande merito, al di là dei limiti che gli imponeva la sua prospettiva di classe, di essere un precursore di Marx; e ora tendo invece a vedere in Marx qualcuno che ha i, grande merito di essere uno dei successori di Spinoza in certi campi».

È questo il secondo versante della rottura matheroniana: dopo aver ricostruito la forza e l’originalità sistematica di Spinoza si può cercare in questo sistema gli strumenti per pensare il nostro mondo, qui, ora. Mentre molti intellettuali prendono le distanze con il marxismo nella sua forma tradizionale, quello che rende possibile la lettura che Matheron offre di Spinoza è di fornire la potenza teorica e politica che permette di ricominciare a costruire una prospettiva per il futuro. Una prospettiva che interessa in primo luogo le scienze: Matheron dimostra quanto l’ontologia della potenza spinozista non era solamente «all’altezza della rivoluzione scientifica del XVII secolo: era concettualmente alla pari con tutte le rivoluzioni scientifiche successive» (quanto sostenuto, per la biologia, da un libro recente di Henri Altan). Per quanto riguarda le scienze sociali, Yves Citton e Frédéric Lordon scrivono che con Alexandre Matheron «un’interpretazione meticolosa, rigorosa e ispirata ha permesso di intravedere la potenza, la radicalità e l’originalità della costruzione spinoziana del sociale» in quanto, per la specificità del suo lavoro di analisi, l’autore ha operato «una vera e propria traduzione dell’Etica e del Trattato politico in un linguaggio e in un modo di ragionamento con i quali molti di questi ricercatori [in scienze sociali] possono trovarsi spontaneamente in sintonia». Anche gli studi di Etienne Balibar sulla politica e il trans-individuale si inscrivono in un dialogo con le ipotesi di Alexandre Matheron.

È quindi lavorando rigorosamente come storico della filosofia che l’opera di Alexandre Matheron, per i suoi effetti e per i suoi stimoli, supera i limiti del suo settore per rispondere alle domande del nostro tempo. Un grande maestro, quindi una grande guida.

(Traduzione di Clara Mogno)

Questo articolo è stato pubblicato su Libération il 9 gennaio 2020. Qui la versione in francese.

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