di ALBERTO MANCONI.

 

Il “tavolo politico” spagnolo è andato in pezzi nelle ultime elezioni regionali e municipali. Il bipartitismo che ha sorretto sino ad oggi l’assetto politico spagnolo si è, come ampiamente previsto, frantumato. Ciò è avvenuto sotto i colpi delle scommesse elettorali che, con esperimenti differenti, tentano di occupare la “finestra di possibilità politica” aperta a partire dal grande movimento 15M.

Il primo dato da sottolineare è infatti che, nel contesto di rottura del regime del ’78, le forze del cambiamento radicale hanno retto all’ipotesi di tranquillo rinnovamento della “casta”. Ciudadanos ha così mantenuto un peso elettorale limitato rispetto alle attenzioni dei media e all’investimento dei grandi gruppi economici.

Le forze che puntano alla rivoluzione democratica, all’apertura di un processo costituente, continuano dunque a crescere e a determinare il cambiamento politico in atto; ciò, senza venire intaccate dalle fittizie costruzioni del regime che tendono a chiudere lo stesso processo di cambiamento.

Nel fronte composto dalle formazioni che tentano in Spagna la verticalizzazione politica a partire dalle lotte degli ultimi quattro anni, troviamo tuttavia molte differenze. Questa molteplicità espressa chiaramente nelle ultime elezioni locali spagnole rispecchia in parte l’eterogeneità di un movimento come il 15M, tanto nell’attacco alle istituzioni esistenti quanto nel radicale ripensamento delle forme politiche.

Il soggetto forte di questo fronte è naturalmente Podemos, la formazione che ha aperto una breccia nel quadro elettorale spagnolo alle elezioni europee dello scorso anno. Questa formazione, diventata partito nell’Ottobre 2014 , ha ottenuto buoni risultati candidandosi in solitaria nelle regioni ed alcune ottime vittorie nelle piattaforme municipaliste attraverso le quali ha partecipato alle candidature comunali.

Tra i diversi livelli dell’assalto elettorale si sono prodotte formule organizzative e risultati differenti, come correttamente sottolineato da alcuni articoli, anche italiani1, usciti in questi giorni di grande dibattito sul contesto spagnolo.

La scommessa municipalista, che ha trainato l’irruzione nelle istituzioni delle due metropoli spagnole, e di altre importanti città come Saragozza, dimostra infatti una capacità democratica esponenziale prodotta attraverso il vincolo da un lato con i grandi movimenti urbani che si sono espressi negli ultimi anni e dall’altro con i diffusi saperi tecnopolitici, frutto del 15M, che permettono l’occupazione degli spazi comunicativi autonomi, integrando città e reti.

È dunque vero, come rimarca Loris Caruso sul Manifesto, che la sintesi di questi elementi permessa da personalità come Ada Colau, la quale unisce trasversale fiducia e discorso radicale, ha prodotto forme di coalizioni ampie raggiungendo la vittoria nel contesto municipale. Il successo di “Barcelona en Comù” è, giustamente, l’esperienza di maggior interesse ed entusiasmo2 per il modo in cui è innervata dai forti movimenti urbani di questi anni, a partire dal nuovo sindacalismo della PAH. Tuttavia credo sia necessario provare ad analizzare questa coalizione nel contesto generale della rottura costituente spagnola, e dunque come un processo e non un patto.

L’efficacia dirompente delle formule democratiche e partecipative con cui è stata condotta la formazione tanto delle liste elettorali quanto dei programmi, determina una vittoria netta dell’ipotesi municipalista che potrebbe far vacillare alcuni degli assunti populisti di Podemos, perseguiti nel segno della stessa efficacia e del realismo politico.

La strategia perseguita finora dal partito parte, come noto, da una rigorosa rivisitazione della teoria populista di Laclau. In questa strategia politica Iglesias, Errejon e compagn* hanno infatti applicato un’ipotesi basata sull’autonomia del politico e sulla costruzione egemonica di identità. Ciò ha determinato una prassi centrata negli spazi politici dove più forte è la rappresentazione, cioè la televisione e lo Stato. L’assalto a questi ostici campi della mediazione politica è ritenuto essenziale dai protagonisti di Podemos per la fondamentale funzione di identificazione e socializzazione politica che essi producono.

È negli spazi di massima rappresentazione che viene così rintracciato, mi pare, un funzionamento autonomo del Politico. Bisogna dunque, dicono da tempo in Podemos, assaltare egemonicamente gli spazi politici rappresentativi accettandone pienamente le regole del gioco.

Va dato atto a questa ipotesi di aver saputo aprire una prima breccia fondamentale nella capacità di tracciare un asse verticale, occupando e modificando gli spazi del potere mediatico e politico.

Tuttavia, la funzione egemonica con cui Podemos si è magistralmente imposto nel campo politico, rifiutando qualsiasi ipotesi di coalizione “izquierdista” con la vecchia sinistra spagnola, ha finito per disegnare la stessa struttura interna del partito, oltre che l’agire politico esterno.

Le elezioni locali e regionali tracciano proprio nel punto organizzativo un quadro nuovo, in cui le ampie candidature municipaliste hanno potuto beneficiare della breccia nel campo della rappresentanza politico-mediatica aperta da Podemos, stimolando però al tempo stesso processi di reale partecipazione diretta cittadina e dei movimenti urbani. Si tratta dunque di forme organizzative che, nell’ambito cittadino e metropolitano, hanno fatto leva sull’eterogeneità dei processi sociali e politici sviluppati a partire dalle lotte degli ultimi anni, evitando una riduzione egemonica di tale eterogeneità. Così, nei contesti urbani più importanti  e dove la partecipazione è stata più reale, la scommessa municipalista, immediatamente sociale e politica, e basata sulla molteplice forza accumulata dai movimenti in questi anni, ha superato i limiti anche elettorali della riduzione ad identità egemonica di Podemos.

Esempio lampante in questa direzione ci è offerto dalla capitale Madrid, culla del partito di Iglesias.
Qui la piattaforma Ahora Madrid, lista di confluenza municipalista guidata dalla affidabile giudice garantista Manuela Carmena, ha ottenuto il doppio del numero di voti ottenuti nello stesso territorio da Podemos per la regione.

È probabilmente vero, come dice lo stesso Iglesias3, che molto di questo risultato straordinario è frutto della figura di Manuela Carmena e della sua capacità di attrarre il voto dei “socialisti di cuore”. È d’altra parte innegabile il ruolo da protagonista dei movimenti urbani che hanno guidato il processo sin dalla caparbia scommessa municipalista Ganemos, con cui Podemos dopo un iniziale scetticismo ha dovuto scendere a patti formando Ahora Madrid.

Il processo che ha portato a questa “quasi vittoria” a Madrid è stato difficile e non privo di conflitti interni, ma è nella ricchezza e molteplicità delle esperienze che ha saputo far conversare tra loro, che Ahora Madrid ha attratto tutto il voto di sinistra dimostrandosi la reale alternativa al potere oppressivo del Partito Popolare che governa la città da 24 anni. Esattamente ciò che non è riuscito a fare Podemos a livello regionale, ottenendo un importante risultato ma non conquistando il voto socialista verso cui proprio Pablo Iglesias aveva diretto chiaramente l’attenzione già dalle scorse settimane, anche in risposta alla pericolosa ambiguità politica di Ciudadanos.

L’ipotesi marcatamente populista dentro Podemos ha dunque perso peso relativo, in favore di quella municipalista. Ciò è dimostrato dagli interventi di Iglesias ed altri esponenti di spicco in questi giorni successivi alle elezioni. Il successo delle candidature di “unità popolare” (come sono chiamate in Podemos le piattaforme municipaliste) sembra oggi poter produrre una riformulazione completa della strategia politica verso le elezioni generali di Novembre. Un cambiamento della forma organizzativa in vista di una decisiva campagna elettorale sembra inevitabile; se questo passerà per un rivolgimento dentro Podemos o addirittura per la confluenza in una nuova e più ampia piattaforma, sarà probabilmente il tema decisivo delle prossime settimane.

Il cambio di strategia rivolto al voto dei “socialisti di cuore”, su cui Iglesias sta insistendo, seppure è forse necessario di fronte all’avvento di Ciudadanos che meglio riesce ad erodere il voto popolare, non è infatti sufficiente a produrre uno scarto politico significativo che tragga insegnamento dalle esperienze municipaliste e possa produrre un processo vivo di reale e radicale partecipazione, in grado di sfidare con efficacia il regime nel livello statale.

Le vincenti esperienze municipaliste non hanno solo conquistato il voto storico della sinistra in crisi, ma hanno fatto leva soprattutto sulla nuova politicizzazione massiccia, finora non rappresentata, che le grandi mobilitazioni hanno prodotto attraverso il reclamo e la pratica della democrazia reale, nel cui segno è esploso il 15M. A conferma di ciò emerge anche il successo del grande appello alla partecipazione al voto di Ada Colau in contrasto alla storica minore affluenza nei quartieri popolari, a Barcellona l’effetto è stato palpabile nell’aumento dell’8% dell’affluenza al voto in confronto alle scorse elezioni comunali.

In conclusione, sarà necessario guardare con attenzione alle prossime mosse politiche che determineranno i risultati alle elezioni generali delle forze che si battono per il processo costituente e la democrazia radicale. Con la speranza di incontrare un’apertura totale di Podemos nei confronti della partecipazione diretta e con la consapevolezza che il grado di questa apertura sarà il frutto della capacità di imporsi nel processo complessivo da parte dei movimenti sociali ed urbani.

In tutto ciò, andrà però anche tenuta in conto la specifica violenza dello spazio rappresentativo nazionale nei confronti dei movimenti. Lo Stato, insomma, è lo spazio prediletto dell’autonomia del politico, al contrario degli ambiti urbani dove la forza immediatamente sociale e politica dei movimenti può più facilmente trovare un’espressione rappresentativa che ponga i conflitti all’altezza delle istituzioni locali.

La sfida che hanno di fronte le compagne e i compagni in Spagna è dunque quella di costruire strumenti di partecipazione reale e in grado di incidere efficacemente anche sul livello statale. Ovvero, far cooperare gli elementi forti delle due ipotesi, populista e municipalista, fuori dalla logica egemonica tra gruppi. Per vincere, e poter aprire anche dalle istituzioni statali il processo costituente, si dovrà dunque trovare le forme per stimolare la forza accumulata dalla moltitudine urbana senza tralasciare il voto rurale, più ostico per i movimenti, e che ha già penalizzato Podemos in molte regioni alle ultime elezioni.

Se “pueblo” in spagnolo significa tanto “popolo”, quanto soprattutto “paese rurale”, affrontando le elezioni nazionali, di per sé le più anti-democratiche, non si può forse abbandonare completamente l’ipotesi populista che trova nell’ambito rappresentativo statale la sua maggiore efficacia. Bisogna piuttosto, come detto, vincolare quest’ipotesi alla partecipazione diretta ed ai movimenti, più di quanto Podemos abbia fatto nella sua strutturazione come partito.

Prima di chiudere, una nota sulla ricezione italiana di quanto analizzato. In particolare, sull’attenzione del già citato articolo di Caruso per la “coalizione” di Barcelona en Comù come forma vincente.

Una “coalizione sociale” dovrebbe avere immediata capacità politica, ed è quello che mi pare si sia incarnato nella figura di Ada a livello municipale. Il fatto di “imbarcare” anche parte dei sani progetti della sinistra politica è in questo senso solo incidentale. La vera coalizione municipalista che Ada ha portato a vincere le elezioni è quella con le realtà sociali municipali che come ha scritto Rodriguez4 spesso non hanno avuto nemmeno bisogno di impegnarsi direttamente nella campagna elettorale, ma hanno determinato la possibilità di una prassi municipalista democratica e vincente. Non si tratta, dunque, di una alleanza tra coalizione politica e coalizione sociale, né tantomeno tra rappresentanti politici e movimenti sociali. È un processo complessivo, sociale e politico, una “rivoluzione democratica” – come è stata chiamata da Colau e Iglesias – in corso a diversi livelli con un vincolo di necessità nei movimenti sociali e urbani.
Il rischio italiano è dunque pensare che per fare Podemos, e meglio di Podemos, si debba coalizzare o addirittura unire tutta la sinistra, politica e sociale. Se il partito di Iglesias oggi può pensare di fare ciò, e forse lo farà, è perché la sua azione egemonica ha già distrutto le formazioni politiciste della sinistra, tra le quali la più importante è certo Izquierda Unida.
A mio avviso questo passaggio di completa estraneità iniziale dal consesso della sinistra è fondamentale per analizzare l’esperienza spagnola. Ed è cosa da tenere a mente riportando questi avvenimenti in Italia, perché chi oggi crede che sia “Possibile” riprodurre i vecchi apparati nascondendoli dietro a sedicenti larghe coalizioni politiche di scopo, che vogliono rappresentare i movimenti, rema contro ai processi democratici che potrebbero aprirsi nel prossimo periodo.

 

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  1. Il più significativo mi sembra www.ilmanifesto.info/piu-di-podemos-vince-il-modello-barcellona/  

  2. Bella ricostruzione in http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=21461 

  3. http://www.eldiario.es/politica/Pablo-Iglesias-Podemos-investiduras-PSOE_0_392311569.html 

  4. http://blogs.publico.es/contraparte/2015/05/26/el-cambio-comienza-en-los-ayuntamientos/