Pubblichiamo qui la traduzione in italiano dell’appello allo sciopero femminista 8M 2019 pubblicato da Ni una menos – Argentina
Anche quest’anno torniamo ad organizzarci per lo sciopero femminista in tutto il mondo. Noi scioperiamo: nelle case, nelle fiere, nelle fabbriche, nelle università e in tutti i luoghi di lavoro; nella foresta, nelle occupazioni di terre e nelle villas; nelle economie popolari e nei lavori precarizzati; nelle strade e nelle comunità, negli ospedali e nelle campagne. Scioperiamo ovunque e ampliamo ancora una volta lo sciopero: facciamo saltare le sue frontiere, inventiamo nuove geografie. Redifiniamo così i luoghi stessi dove si lavora e si produce valore. Riconosciamo e diamo dignità ai lavori storicamente resi invisibili, sfruttati e disprezzati: il lavoro riproduttivo, il lavoro comunitario, il lavoro migrante.
Scioperiamo anche contro la famiglia etero-patriarcale e la reclusione domestica, contro lo sfruttamento delle nostre terre, contro l’abuso sessuale dei maschi nelle posizioni di potere, contro i femminicidi e i travesticidi, contro la criminalizzazione dei/delle migranti, contro la clandestinità dell’aborto, contro la giustizia patriarcale, contro l’impoverimento e l’indebitamento sistematico, contro l’assassino delle leader territoriali, contro i fanatismi religiosi e la moralizzazione dei nostri desideri. Perché scioperiamo contro le strutture e i mandati che rendono possibile la valorizzazione del capitale.
Siamo riuscit* a comporre trasversalmente tutti questi sensi, tempi, spazi e pratiche dello sciopero perché ci siamo trasformat* in un movimento veramente anti-neoliberale, capace di bloccare e allo stesso tempo evidenziare tutte le violenze che oggi esige l’accumulazione capitalista.
Il fascismo globale è una risposta a questo. Alla grandezza, alla radicalità e internazionalismo che abbiamo dispiegato come movimento femminista dalla molteplicità di femminismi. Sentiamo il presidente del Brasile, Jair Bolsonaro, enunciare come primo punto del suo programma il combattere la cosiddetta “ideologia gender” (concetto creato dalla Chiesa cattolica e manipolato dagli evangelismi attraverso le campagne #ConMisHijosNoTeMetas), dopo che questo paese ha sperimentato le sue più grandi mobilitazioni guidate dal movimento di donne, lesbiche, travestiti e trans per ripudiare la morte di Marielle Franco e per gridare #EleNão. Abbiamo visto questa stessa risposta fascista nel decreto Pillon a favore della famiglia eteronormata in Italia e nella vittoria dell’ultradestra nel sud della Spagna. Lo abbiamo visto nell’impunità del giudice della corte Kavanaugh negli Stati Uniti e nella crudeltà di Trump verso i migranti. Lo abbiamo visto in Argentina, dove il governo di Mauricio Macri non smette di imporre politiche neoliberali che si articolano in una criminalizzazione della protesta, persecuzione di dirigenti sociali come Milagro Sala, militarizzazione dei territori, oltre a incrementare la femminilizzazione della povertà e la precarizzazione di tutte le esistenze.
Il fascismo legge la nostra forza. È impossibile affrontarlo moderando le rivendicazioni del movimento femminista. Il movimento femminista non è il cotillon di un’ONG, né è inoffensivo nei termini dei confronti politici, né può essere banalizzato come linguaggio di legittimazione per pratiche neoliberali.
Non c’è opposizione all’urgenza della fame alla quale ci sottopone la crisi e la politica femminista.
Crediamo, al contrario, che è il movimento femminista in tutta la sua diversità che ha politicizzato in un modo nuovo e radicale la crisi della riproduzione sociale come crisi allo stesso tempo di civiltà e della struttura patriarcale della società. Il movimento femminista ospita al suo interno organizzazioni diverse ed è per questo che è nelle lotte più pressanti del presente. Abbiamo visto i capi famiglia portare le pentole in piazza e mettere il loro corpo a denuncia dei tagli, dell’inflazione e del debito. Abbiamo visto le sindacaliste contestare le riforme del lavoro regressive. Abbiamo visto le donne indigene dell’Abya Yala promuovere la plurinazionalità dei nostri incontri fronte alla misoginia dei parlamentati che si credono rappresentanti della nazione. Abbiamo visto le ragazze che stanno in strada discutere su che cosa sono le violenze delle economie illegali. Abbiamo visto la stampa denunciare la macchina carceraria come luogo privilegiato dell’umiliazione. Abbiamo visto le donne delle villas prendere la parola in senato per reclamare l’aborto legale, sicuro e gratuito.
Crediamo che il movimento femminista in tutta la sua diversità e attraverso lo strumento dello sciopero come processo politico di organizzazione trasversale, della marea verde, dell’insurrezione delle nuove generazioni, dell’ascolto collettivo delle denunce di abuso sessuale inteso come abuso di potere, delle genealogie ribelli che nutrono un’immaginazione radicale e di lotte contro l’estrattivismo e l’espropriazione delle risorse comuni, sta producendo qui e ora una nuova forma politica. Una politica che cambierà tutto. Una politica che mette in questione i privilegi in tutti i luoghi, che non protegge l’impunità, che non si accontenta di delegare le modifiche a esperti o soccorritori, e che non si sottomette a parlare nella lingua della vittimizzazione.
Il movimento femminista è diventato una cassa di risonanza per tutti i conflitti sociali, tessendo alleanze che rompono le gerarchie patriarcali, costruendo complicità tra le lotte, elaborando nuove pratiche e linguaggi per l’emancipazione. Ecco perché, di fronte al fascismo neoliberale che vuole raddoppiare le sue violenze, scioperiamo. Scioperiamo perché ci muove il desiderio di rivoluzionare le nostre vite. Scioperiamo perché sappiamo che cadrà. Stiamo abbattendo il patriarcato dal basso.
¡Nos vemos en las calles! ¡Vivas, libres y desendeudadas nos queremos!
(traduzione di Clara Mogno)
Questo appello è stato pubblicato sulla pagina Facebook di Ni una menos – Argentina l’8 gennaio 2019
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Riprendiamo qui anche l’intervento di Veronica Gago pubblicato in castellano per Emergentes l’11 gennaio 2019.
Perché uno sciopero sia generale, deve essere femminista
Di VERONICA GAGO.
Lo sciopero generale si fa davvero generale quando diventa femminista. Perché per la prima volta raggiunge tutti gli spazi, mansioni e forme di lavoro. Per questo motivo, riesce a radicarsi e a territorializzarsi senza tralasciare nulla e da lì produce generalità. Prende ogni angolo di lavoro non retribuito e non riconosciuto. Mette in luce ogni compito invisibile che non è considerato lavoro. Mostra la catena di sforzi che tracciano un continuum tra la casa, il lavoro, la strada e la comunità.
Contrariamente al confinamento a cui vogliamo ridurre i femminismi (a un settore, a una domanda, a una minoranza), assumere che lo sciopero è generale solo in quanto femminista è una vittoria ed è una vendetta storica. È una vittoria perché diciamo che se ci fermiamo, si ferma il mondo. È infine rendere evidente che non c’è produzione senza riproduzione. Ed è una vendetta su forme di sciopero in cui il “generale” era sinonimo di un pregiudizio dominante: lavoro salariato, maschile, sindacalizzato, che escludeva sistematicamente il lavoro non riconosciuto dal salario (e il suo ordine patriarcale).