di ALIOSCIA CASTRONOVO*. Il 10 maggio rimarrà nella storia delle lotte popolari argentine: cinquecentomila in piazza a Buenos hanno risposto dal basso alla sentenza della Corte Suprema che ha riconosciuto applicabili i benefici dello sconto di pena ad un condannato per crimini di lesa umanità. La mobilitazione, lanciata solo quattro giorni prima dalle Madres di Plaza de Mayo, ha travalicato ogni immaginazione e previsione. Nelle metropolitane e nelle stazioni si affollavano migliaia di persone dirette al centro, la piazza era già piena un’ora prima dell’orario di inizio della convocazione, e fiumi di persone arrivavano per ore e ore da qualunque parte della città occupando interamente il centro della capitale. Mezzo milione di persone in piazza nella sola Buenos Aires hanno trasformato una violenta offensiva reazionaria in una sconfitta politica durissima per il governo.

Mentre mobilitazioni enormi e molteplici conflitti sociali, politici e sindacali stanno definendo piazza per piazza, giorno per giorno, settore per settore, la contesa attorno al presente e al futuro del paese contrastando il progetto che l’austerità neoliberale del il governo dei manager e dei ricchi vorrebbe imporre, una sentenza della Corte Suprema fa esplodere nel paese lo scontro politico su un tema assolutamente centrale per l’Argentina come la verità e la giustizia rispetto ai crimini dell’ultima dittatura civico-militare (1976-1983).

La sentenza della Corte Suprema

La scorsa settimana infatti la Corte Suprema, con la votazione decisiva di due giudici nominati dal presidente Macri, ha riconosciuto applicabile il beneficio dello sconto di pena ad un condannato per crimini di lesa umanità. Stabilendo l’applicazione del cosiddetto 2×1 per Luis Muiña, condannato nel 2011 a 13 anni di carcere per la sua partecipazione al gruppo paramilitare di sequestratori SWAP che operava presso l’Ospedale Posadas, ha segnato un precedente inedito e pericoloso. Il beneficio del 2×1 si concede in base ad una legge vigente tra il 1994 e il 2001, oggi derogata, applicabile per reati comuni, e prevede la commutazione di due anni di pena per ogni anno di carcerazione preventiva.

Non era mai stato applicato nei casi di condannati per crimini di lesa umanità: fino ad ora ogni richiesta di applicazione di tale beneficio era stata rifiutata da tribunali minori, ed era la prima volta che la Corte Suprema veniva chiamata a pronunciarsi. L’indignazione nel paese è enorme: è in gioco la riduzione della pena per altri 750 repressori condannati per delitti di lesa umanità, è in gioco la potenza politica di una lotta che da quaranta anni le Madres e le organizzazioni per i diritti umani, e sempre di più mobilitazioni popolari estremamente radicate e diffuse, portano avanti per la memoria e contro l’impunità del terrorismo di Stato.

Il referente per i diritti umani Perez Ezquivel ha definito una “aberrazione giuridica” voluta dal governo la sentenza votata da tre giudici su cinque della Corte Suprema di Giustizia (due dei quali nominati Macri, scelta poi ratificata dal Senato), il mondo politico, culturale e sindacale ha preso parola contro la Corte, mentre le Madres hanno chiesto la destituzione dei tre giudici che hanno emesso questa sentenza. Intanto il governo ha dovuto fare marcia indietro e poche ore prima della manifestazione il Senato ha votato con una maggioranza schiacciante (211 voti a favore, 1 contrario e 1 astenuto) una legge che rende inapplicabile il beneficio 2×1 per i condannti per crimini contro l’umanità. Il fatto che la votazione sia avvenuta poche ore prima del corteo che già si annunciava immenso (dopo un sondaggio secondo cui l’83 per cento degli argentini rifiutava la sentenza della Corte) segnala la potenza del movimento popolare e della lotta per i diritti umani, come capacità di contropotere e di “potere di veto” tuttora vigente della mobilitazione popolare.

Una moltitudine in piazza

L’indignazione popolare e la potenza impressionante del contropotere della piazza e del movimento per i diritti umani ha quindi segnato in questa settimana una straordinaria vittoria, marcando un limite invalicabile e rimettendo in movimento la potenza dei corpi nelle piazze di un paese che non dimentica l’orrore del passato e non si arrende a quello del presente. La memoria come contropotere, lotta, democrazia: una marea umana sventola i fazzoletti bianchi delle Madres de Plaza de Mayo, cantando “Mai più dittatura, mai più impunità, no alla riconciliazione”. Vale per i regimi di ieri, e quelli di oggi.

Nora Cortiñas, come tutte le Madres che parlano dal palco, viene accolta da un canto immenso che dice “Madres de la plaza, el pueblo las abraza”: “Vogliono distruggere quanto abbiamo faticosamente conquistato con la lotta popolare, ma noi diciamo: memoria, verità, giustizia. Mai più terrorismo di Stato, mai più repressione, mai più silenzio né oblio. Non si torna indietro. Vogliono liberare quelli che hanno desaparecido 30mila figli nostri, quelli che hanno stuprato, ucciso, torturato, vogliono far tornare in libertà questi assassini genocidi, vogliono che camminino liberamente con noi nelle strade, per metterci ancora paura. Noi non accettiamo, non ci stiamo. Questo governo disconosce il terrorismo di Stato, vuole screditare le lotte per i diritti umani. Ma oggi tutti assieme diciamo che non si torna indietro, hasta la victoria siempre!”.

In silenzio si ascolta parlare le Madres dal palco, con gli occhi lucidi e la determinazione che si sente nell’aria, poi si leva un coro infinito che si ripete ad ondate sulla piazza e nelle cinque vie piene per decine di isolati di fiumi di persone che continuavano ad arrivare dopo ore da qualunque parte della città: “el pueblo unido jamas serà vencido”, e poi un boato immenso risponde alle Madres: “30mil detenidos desaparecidos, presentes, ahora y siempre”. Sul palco con i loro fazzoletti bianchi, queste donne immense, che quaranta anni fa hanno affrontato la solitudine e la violenza machista dei militari che le deridevano, le chiamavano pazze, le picchiavano e le insultavano, molte sono state desaparecide mentre cercavano i loro figli, hanno affrontato l’indifferenza e la paura con il coraggio del prendersi perr mano e continuare a camminare insieme, da quaranta anni, senza sosta. Queste donne che insegnano al mondo intero la solidarietà e la perseveranza nella lotta, l’ostinazione a non arrendersi all’impunità e alla violenza. Hanno saputo trasformare l’indignazione in una potenza costituente, in una movimento capace di cambiare il presente, ricostruendo quella memoria delle lotte che la dittatura civico-militare voleva cancellare. Ci sono limiti invalicabili anche per la tracotanza di un regime neoliberale come quello attuale che punta ad applicare il piano che Rodolfo Walsh aveva definito come uno dei crimini peggiori della dittatura, il piano economico della dittatura, “la miseria pianificata per molti e la ricchezza per pochi”.

Una piazza che non chiede, afferma. Che non dimentica, ricorda. Che non vuole tornare indietro, ma lottare per cambiare il presente. Con i 30mila desaparecidos sulle foto, sui cartelli, mano nella mano con il ricordo e una promessa che vibra tra i corpi, un coro si alza dalle centinaia di migliaia di persone nella piazza, e continua a ripetersi nelle strade limitrofe, senza sosta, e ripete una promessa: “Como al los nazis, le va a pasar, adonde vayan los iremos a buscar” (“finirete come i nazisti, ovunque andrete vi verremo a prendere”). Mai più nessun repressore impunito, dicono le Madres. Mai più, rispondono centinaia di migliaia di persone.

 

I diritti umani come spazio comune delle lotte

Diego Sztulwark in un bellissimo articolo scritto pochi giorni fa sul blog Lobo Suelto, sostiene che la sentenza altro non è che “un nuovo capitolo della storia delle relazioni di forza sul piano tanto materiale quanto giuridico” e che i fatti di “questa settimana hanno dimostrato che le relazioni non sono poi così sfavorevoli per noi […] La lotta per i diritti umani è l’espressione più nobile che abbiamo mai avuto di una politica capace di comporre affetti ed idee, mettendo al centro la vita dei corpi e non il suo sfruttamento. L’esempio più duraturo di una politica che vuole fermare immediatamente la violenza assassina, patriarcale, razzista e di classe”. Senza questa sensibilità e questa memoria, continua ancora Diego Sztulwark, “l’Argentina non avrebbe oggi più niente di democratico […] la lotta per i diritti umani non è una tra le altre, ma quella che articola tutte le lotte in questo paese. E questo la destra lo sa bene, per questo attacca su questo terreno”: se vince questa battaglia, potrà avanzare fino in fondo con il suo progetto di paese.

La moltitudinaria manifestazione esprime in pineo questa resistenza democratica, tumultuosa e popolare, straborda la piazza e si riversa nelle vie del centro della città completamente inondato da diverse centinaia di migliaia di persone. Si moltiplica all’infinito il simbolo delle Madres de Plaza de Mayo, quel fazzoletto bianco che incarna la lotta contro l’impunità dei militari che hanno massacrato, torturato, ucciso. E che oggi si rivolta contro chi vorrebbe dimenticare, perché come dicono le Madres dal palco “la dittatura non è solo un orrore del passato, ma una questione che fa ancora parte del nostro presente, e dobbiamo difendere le conquiste e la libertà giorno dopo giorno”. Si tratta di una questione politica il cui campo di battaglia è contemporaneamente il presente ed il passato, la memoria e il futuro.

Tanto il presidente Macri quanto diversi esponenti del suo partito e del governo hanno attaccato la politica sui diritti umani fin dall’insediamento nella Casa Rosada: una pluralità di discorsi e falsità volte a screditare gli organismi dei diritti umani, i movimenti, le Madres de Plaza de Mayo, mistificare i numeri dei desaparecidos, rimettere in circolazione versioni revisioniste ed intepretazioni della dittatura volte a minimizzare e relativizzare le complicità e le violenze (non solo dei militari ma anche dei civili, in particolare di quei gruppi economici che con la dittatura si sono arricchiti), proporre la pacificazione nazionale, con la complicità della Chiesa cattolica, che ha proposto proprio la settimana scorsa una riconciliazione tra vittime e carnefici.

Un governo punitivista con i deboli e garantista con i torturatori, in nome di una complicità di classe, della condivisione di una volontà di restaurazione reazionaria, conservatrice, profondamente violenta e fascista. Distruggere l’empatia con l’altro, la solidarietà, diffondere la paura, il rancore e l’odio per il povero, nel nome dell’individualismo neoliberale e del revanchismo di classe: si tratta del presente e del futuro, non solo del passato. A questo progetto di paese ieri le piazze hanno messo un veto, che andrà costantemente rinnovato, nelle piazze, nelle strade, nei quartieri, nelle relazioni sociali e politiche quotidiane, perché la dignità si conquista passo dopo passo, e quello di ieri è stato un passo enorme.

*Pubblicato su dinamopress – Foto di Gustavo Pantano e Ana Mombello per Notas Periodismo Popular

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