Pubblichiamo una serie di editoriali che si propongono come pezzi di una discussione generale sulle “lotte in Europa ora”, sugli evidenti punti di difficoltà e sulle prospettive di superamento. Iniziamo con l’analisi della relazione tra lotte in Europa e regimi di guerra, e con l’urgenza di politicizzare l’opposizione tra autonomia europea ed euroatlantismo.
Del COLLETTIVO EURONOMADE
1. Un anno di guerra in Europa ha prodotto la convinzione di una marginalizzazione forse definitiva del ruolo europeo. Il tramonto di ogni relazione tra Europa e Russia, con l’elezione di quest’ultima a nemico assoluto, sembra aver consegnato l’Europa alla sola scelta di alleato degli Stati Uniti, riducendo a velleità i mai troppo convinti tentativi francesi o tedeschi di giocare un ruolo sia pure parzialmente differente.
Sul fronte della politica estera, l’autonomia europea è ridottissima, e tra gli attori della sfida complessiva sulla riorganizzazione delle regole dell’ordine globale, l’Europa in quanto tale non è mai figurata neanche tra le possibili figure di mediazione: si immagini uno scenario di nuovo bipolarismo o di riorganizzazione multipolare, di brusca deglobalizzazione o di riorganizzazione di regole globali, l’Europa unita in quanto tale è difficilmente immaginabile in un ruolo centrale. La marginalizzazione dell’asse franco-tedesco non lascia altra alternativa che un’Europa atlantica e, dentro l’alleanza, subalterna.
Sul fronte delle politiche interne dell’Unione, la crisi energetica, il costo della partecipazione alla guerra e alle sanzioni, gli effetti dell’inflazione hanno prodotto una decisa discontinuità rispetto alle politiche di coesione europee che, sia pure tra contraddizioni e resistenze, avevano animato la risposta alla pandemia. La solidarietà europea continua a misurarsi sulla tenuta del piano europeo di ripresa, soprattutto, di Next Generation EU: il contesto generale però è decisamente mutato, e risulta ormai lontanissimo dagli orizzonti che lasciavano intravvedere persino un possibile orizzonte di mutualizzazione del debito. L’Europa appare oggi stretta ad una politica molto tradizionale di lotta all’inflazione attraverso il rialzo del tasso di interesse, con il conseguente rallentamento delle previsioni di crescita e l’aumento delle difficoltà interne per i paesi più indebitati. La conferma, nella riforma del Patto Europeo di Stabilità, dei vecchi pilastri del rapporto deficit /PIL e debito/PIL e la perdurante assenza di avanzamenti verso il bilancio pubblico europeo, mostrano evidentemente un’interruzione brusca dei processi che avevano aperto, durante la pandemia, una finestra di discontinuità e di contraddizione negli imperativi delle politiche neoliberali.
In sintesi: un’Europa all’angolo, che vive la fine dell’Europa a traino franco-tedesco amministrando la sua residualità sulla scena globale e che, contemporaneamente, assiste al tramonto della possibilità intravista in pandemia di rinvigorire la migliore eredità del suo modello sociale welfaristico.
Al di là delle diverse retoriche sul tramonto o sulla fine dell’Europa, questa residualità europea non corrisponde in realtà alla liquidazione della rilevanza politica dello spazio europeo. La previsione, spesso avanzata dalle analisi delle relazioni internazionali di stampo realista, per cui la marginalizzazione complessiva dell’Europa avrebbe prodotto un ritorno di iniziativa dei singoli stati nazionali, con la disgregazione dell’Unione, è molto lontana dal verificarsi. Lo scenario della guerra, se relativizza l’Europa, non produce però la sua dissoluzione come scenario più probabile. Anzi, la “rottura” dell’Europa, bandiera dei diversi sovranismi che hanno agitato la scena negli anni della centralità del “momento populista”, sembra scivolata completamente via dagli ordini del giorno. I nazionalismi europei hanno progressivamente spostato il proprio obiettivo: la vittoria del governo delle destre in Italia ne è l’espressione più evidente. La lotta contro l’Unione Europea è stata derubricata a un momento della lotta contro la “tecnocrazia” europea: l’obiettivo però non è più la riconquista della sovranità nazionale, ma la conquista di un’egemonia neoconservatrice sull’intero spazio europeo. Il cui primo atto potrebbe essere il tentativo di giocarsi una nuova maggioranza popolare-conservatrice alle prossime elezioni europee, come sogna Meloni. La partita in Europa si sta giocando non sulla gestione della sua disgregazione, ma sullo spostamento complessivo dell’intera costituzione materiale dell’Unione Europea.
2. La guerra mobilita evidentemente, come guerra di resistenza ucraina, un orizzonte ideologico che richiama alla difesa dei diritti e alla lotta delle democrazie contro le autocrazie. Intanto, però, ritrascrive l’Occidente come luogo di ridisciplinamento, riattiva le logiche del conflitto di civilità, costruisce il contesto generale in cui si legittima la centralità dei nazionalismi. In questo contesto, l’alleanza euro-atlantica accentua il suo ruolo di blocco ideologico. L’euroatlantismo segna l’aspirazione a liquidare ogni accenno di autonomia europea, e a costruire, nello stesso tempo, lo spazio ideale per lo spostamento complessivo della costituzione materiale dell’Europa. L’euroatlantismo, come del resto ha fatto in buona parte della sua tradizione, a partire dal dopoguerra, garantisce lo spazio politico perché la “liberaldemocrazia in lotta contro l’autocrazia” possa integrare al suo interno autoritarismo, centralizzazione del comando, rafforzamento delle gerarchie di classe, razza e genere. L’euroatlantismo, in altri termini, è per noi che siamo collocati in questa parte del mondo, la configurazione spaziale di un regime di guerra che coinvolge e disciplina anche chi non è direttamente in guerra. Mentre proclama la resistenza della liberaldemocrazia, l’euroatlantismo accelera la trasformazione verso un Occidente postdemocratico, che assume la guerra come norma fondamentale per il riordino degli assetti interni e per l’irrigidimento dei confini esterni della Fortezza Europa, in previsione delle nuove ondate migratorie.
Noi abbiamo sempre insistito sulla questione dello spazio europeo come problema non aggirabile per l’efficacia delle lotte. Il punto ora si qualifica ulteriormente – e drammaticamente: mettere in questione l’euroatlantismo, ponendo all’agenda delle lotte dei movimenti sociali la questione della centralità politica dell’autonomia europea. Provare a disarticolare l’euroatlantismo è il presupposto perché le lotte possano ritrovare ora capacità politica di mordere, possano ricostruire un proprio cervello collettivo. Le lotte sul salario, sulle pensioni e sui servizi incrociano tutte l’autonomia del modello sociale europeo, che l’euroatlantismo cancella anche solo come possibilità, stringendo invece il nesso tra regime di guerra, ridefinizione globale “unitaria” dell’Occidente e riaffermazione delle condizioni dell’accumulazione capitalistica. Rivendicare l’autonomia del modello sociale europeo è così, per le lotte, un presupposto per rivendicare alternative al blocco delle dinamiche salariali e all’ulteriore destrutturazione del welfare come uniche possibili “cure” dell’inflazione.
Ma se l’autonomia europea dal blocco “euroatlantico” è obiettivo politicamente necessario, può essere anche presentato come praticabile? Torniamo a insistere: le geografie spaziali che stanno prendendo il posto del declino della tradizionale egemonia americana, compresa la riproposizione dell’euroatlantismo come spazio ideologico, politico e persino di “civiltà”, sono in questo momento ancora del tutto contingenti e contestabili. Nessuna transizione “lineare” di egemonia si sta dando, e nessuna stabilizzazione definitiva. In questi giorni, stiamo vedendo chiaramente come la direzione impressa dal governo della destra in Italia verso un euroatlantismo ideologicamente ispirato al modello polacco (iperatlantismo, neoliberismo e ultraconservatorismo sociale) incontra al momento forti resistenze da parte dell’asse franco-tedesco. Con conseguente emarginazione temporanea del governo Meloni. Queste oscillazioni, incertezze e ambiguità si riproducono sui problemi del riarmo, e, in generale, sull’atteggiamento da assumere di fronte alla sempre più drammatica escalation bellica. Affrontare questa instabilità e renderla produttiva richiede però di avere un orizzonte chiaro: la ripoliticizzazione dell’autonomia europea come chiave di opposizione all’euroatlantismo e al suo proporsi come complessivo regime di guerra può esserlo.