di PANTXO RAMAS.

 

Barcelona en Comú ha chiuso in questi giorni le primarie cittadine in cui hanno partecipato quasi cinquemila persone e che hanno permesso non solo di definire i nomi della lista elettorale per le prossime elezioni municipali della capitale catalana, ma anche di decidere collettivamente le priorità del “Plà de Xoc”: le politiche di emergenza che si applicheranno nei primi mesi di governo della città. Stop agli sfratti e agli sgomberi, intervento radicale sulla povertà urbana, accesso universale ai servizi sanitari, politiche per la qualità della vita urbana: queste alcune delle politiche che le primarie hanno definito come punti chiave del programma elettorale per i primi mesi di governo.

Con questo gesto inizia la campagna vera e propria, che si svilupperà prima attraverso la definizione comune di un programma, articolato sulla base del lavoro svolto in questi mesi da commissioni tematiche, gruppi territoriali e giornate aperte di discussione e decisione. Il secondo passo sarà la sfida operativa per sfondare i meccanismi di occlusione e sabotaggio messi in opera da parte del sistema mediatico e politico, attraverso una campagna che passi per i social media, per le strade della città e il protagonismo della politica dal basso.

I dibattiti, i sondaggi e soprattutto le discussioni per le strade della città e nelle reti sociali rendono chiaro un punto: queste elezioni si giocano tra il 99% e l’1%. E la possibilità di cambiare la vita quotidiana della città passa per l’istituzione radicale di una nuova relazione tra società mobilitata e governo urbano. Vincere le elezioni, ma soprattutto rendere inestricabile il governo della città dalla forza sociale di chi Barcellona la vive e la costruisce ogni giorno.

Un passo indietro: Barcelona en Comú è una piattaforma civica che si propone di vincere le elezioni comunali del prossimo Maggio e si struttura attorno alla confluenza dei movimenti sociali sorti nel contesto della crisi. In una città segnata dall’aumento delle disuguaglianze, dalla corruzione e dalla perdita di legittimità delle istituzioni, i movimenti sociali nati durante la crisi ed esplosi con forza il 15 Maggio del 2011 hanno saputo trasformare l’indignazione in uno spirito istituente, attraverso mobilitazioni per il diritto alla casa, alla salute e all’educazione e per la difesa attiva dei diritti sociali, civili e politici nella vita urbana.

Barcelona en Comú s’inserisce in questo processo come una forza ulteriore, dove confluiscono esperienze di mobilitazione che si sono scontrate con il soffitto di vetro istituzionale, ovvero con l’impossibilità di cambiare il funzionamento delle macchine amministrative senza sfidare il campo della gestione istituzionale, e che hanno deciso di raccogliere questa sfida.

La proclamazione di Ada Colau come candidata Sindaco costituisce un momento importante perché mostra la determinazione della società mobilitata nel realizzare questo progetto comune. Cambiare le politiche sociali, le politiche urbanistiche, le pratiche istituzionali e amministrative.

Per farlo c’è bisogno di vincere le elezioni, insomma, ma non solo. Si tratta anche di comporre, mescolare, mettere assieme tante storie e tanti progetti, e di farlo in termini operativi, perché da una parte il processo possa continuare a crescere e dall’altra riesca a tenersi insieme: a sperimentare, immaginare e fare-insieme una vita urbana differente.

In questi mesi, e su questo sito se n’è più volte parlato, la situazione spagnola e quella greca stanno aprendo la possibilità di immaginare il futuro in modo concreto e credo che in questo senso l’esperienza di Barcellona mostri alcuni aspetti importanti di questa capacità di “immaginazione concreta”. Per spiegare l’invenzione politica che si forgia ogni giorno in quello spazio sociale che è Barcelona en Comú, è necessario riprendere, nel senso più stretto del termine, l’idea di un’ecologia.

L’ecologia non fa riferimento a uno spazio omogeneo costruito attraverso una comunità immaginata o meccanismi d’identificazione che operino solamente nel piano simbolico e linguistico. L’ecologia non è una metafora per parlare di altro, ma interpella la consistenza e l’efficacia dell’agire politico nel mantenere vivo un ecosistema. Un progetto il cui fiorire non dipende dal successo di un agente, ma dalla forza dell’ecologia nel suo insieme. Un’ecologia capace di riprodursi ma soprattutto di crescere ed essere una forza di trasformazione permanente della vita sociale.

L’ecologia di Barcelona en Comú è una forza che contribuisce non solo a scardinare e reinventare le pratiche del governo urbano, ma che interviene a livello soggettivo nel mondo creato dal 15M e muove quel territorio oltre l’identico. Questo significa scoprirsi oltre le proprie identità e rendersi conto che, se tante persone hanno vissuto le grandi mobilitazioni del 2011 come una trasformazione profonda della propria vita, per molti è stata anche una occasione mancata.

Dopo il 15M, dopo le mobilitazioni della Plataforma de los Afectados por la Hipoteca, dopo le elezioni europee e l’emergere di Podemos, molti dei progetti nati in questi anni tornano a incontrarsi in Barcelona en Comú, ognuno con un pezzo di strada alle spalle. La possibilità di poterli trattenere insieme e contro l’1% dipende in prima istanza dalla consapevolezza che siamo parte di una stessa ecologia e che insieme ci si deve prendere cura e carico di questa vita collettiva.

Il termine ecologico ci permette di capire come questi fenomeni in ogni momento in cui si espandono nel campo istituzionale, verso l’alto, debbono comporsi attraverso una forza orizzontale. Si tratta di pensare questo rapporto attraverso dei dispositivi di trasversalità e assemblaggio. Vite diverse, gruppi e storie tra loro distinte che s’incontrano, collaborano, si arricchiscono.

Questo approccio alla composizione è emerso in modo chiaro nella confluenza di forze politiche diverse nella piattaforma di Barcelona En Comú. tumblr_nbwm5h0Bza1te7hico1_1280Da una parte una discussione profonda sui rapporti tra i processi organizzati che compongono Barcelona en Comú, ovvero tra la piattaforma municipale in quanto tale e gli attori politici che si sono integrati al processo: Equo, Esquerra Unida, Iniciativa per Catalunya y Verds, Podemos e Proces Constituent. Un dialogo che non solo ha reso espliciti i nessi programmatici e le persone che sosterranno il progetto in Comune, ma ha anche definito le forme organizzative, il contratto politico, etico ed economico tra eletti e cittadini, come anche i meccanismi per la gestione finanziaria e il controllo democratico dell’azione di Barcelona en Comú. Dall’altra parte, soprattutto una chiave ecologica ci aiuta a capire la composizione tra chi Barcelona en Comù la sta costruendo ogni giorno: una composizione che attraversa non solo le strutture organizzative dei partiti e degli attori sociali, ma che soprattutto si costruisce nel lavoro quotidiano. Nelle commissioni di lavoro, nei gruppi territoriali, nei tavoli tematici. Un lavoro che permette giorno dopo giorno di disarticolare le logiche identitarie e di riagganciare i rapporti di base, tra le persone, come forza che sostiene questo processo.

La confluenza di Barcelona en Comú è però soprattutto un’altra cosa: l’invenzione di dispositivi di produzione. Del programma, dell’organizzazione, del movimento Barcleona en Comú nel suo complesso.

In questi mesi i gruppi territoriali sono serviti come strumento di conricerca e diagnosi delle problematiche della città, coinvolgendo centinaia di persone nell’analisi e nella discussione. La costruzione di tavoli tematici e territoriali ha permesso di proporre già in novembre una serie di documenti “di posizionamento”, a partire dai quali in queste settimane si sono definite e si definiranno proposte operative in termini di politiche di emergenza e per quanto riguarda l’agire politico a medio termine nel governo della città.

Questo metodo ha segnato il lavoro quotidiano di Barcelona en Comú. Gli esempi che si possono fare sono infiniti: si tratta di cercarli in una ecologia composta da decine di gruppi territoriali, altrettanti tavoli tematici e cinque commissioni operative – oltre naturalmente a una serie di dispositivi (assemblee e gruppi) che si incaricano di coordinare i vari pezzi di questo ecosistema. Coordinare in questo caso significa agire sulle micropolitiche dell’ecosistema, gestire le frizioni e i possibili conflitti in modo costruttivo, così come cogliere i meccanismi che bloccano il funzionamento di questo spazio collettivo e intervenire per modificare i flussi di informazione, i linguaggi che si usano o i ruoli che generano squilibri. Un gruppo di organizzazione interna si occupa di gestire i punti di crisi puntuali che emergono, i conflitti e le discussioni più complicate. Allo stesso tempo questo gruppo pensa come riformulare l’organizzazione nel suo complesso nelle differenti fasi del processo, aggiungendo strumenti per il lavoro collettivo in corso d’opera: giornate inter-tematiche, processi coordinati a livello territoriale, giornate plenarie per aiutare a comporre uno spazio che fino a pochi mesi fa non esisteva in quanto tale.

Partendo dalla mia esperienza, nella commissione che si occupa di Governo Locale si sono organizzati processi partecipativi aperti di diagnosi del funzionamento del Comune come struttura istituzionale e amministrativa, per capire come ripensare i rapporti interni ai servizi municipali, tra i lavoratori, con la cittadinanza e con gli eletti. Allo stesso tempo si è sviluppato un processo di monitoraggio su processi municipalisti a livello europeo, per scoprire pratiche virtuose in altre città e compilare un libro bianco di politiche amministrative radicalmente democratiche. Tutto ciò accompagnato da un lavoro di definizione di protocolli operativi per la trasparenza istituzionale e per una partecipazione sociale effettiva nella decisione politica; e infine da un lavoro di coordinamento con gli altri tavoli tematici per capire come le proposte di ogni tavolo possano essere rese operative da un punto di vista amministrativo e legale. E la stessa complessità attraversa il resto dei tavoli tematici e i gruppi territoriali.

Nel lavoro organizzativo emerge invece la forza di un processo che sfrutta quotidianamente la tecnopolitica come strumento per coniugare l’apertura dei processi e l’efficienza nella decisione e nella gestione. Si è visto tanto nella costruzione di protocolli pubblici di gestione finanziaria da parte della commissione di tesoreria, così come nel coordinamento territoriale aperto – ed efficiente – tra le decine di strutture di quartiere che compongono Barcelona en Comú. Ma soprattutto nella costruzione di dispositivi di partecipazione online che stanno permettendo a questa piattaforma di coinvolgere migliaia di singolarità nella costruzione collettiva di un percorso condiviso: dall’articolazione delle strategie comunicative di questo processo, fino all’arricchimento delle proposte programmatiche e la decisione politica attraverso software di partecipazione come DemocraciOS o AgoraVoting.

tumblr_nknui9l1Gs1te7hico8_1280L’intelligenza collettiva e la capacità di critica diventano dunque meccanismi di intelligenza operativa che inventano dispostivi di produzione: meccanismi di organizzazione interna e pubblica così come meccanismi di coproduzione istituzionale di protocolli, servizi, politiche. Insomma si tratta di agganciare la pratica di critica a una operatività materiale. Di porre l’intelligenza al lavoro per produrre prototipi che sappiano sbilanciare continuamente il “gesto serio” che i processi istituzionali e amministrativi richiedono. Una intellettualità diffusa che serva per costruire dispostivi di articolazione trasversale capaci di comporre operativamente le differenze e di mantenere viva l’ecologia complessa di questo processo: uno strumento essenziale perché il salto istituzionale non si trasformi in una fuga verso l’alto o in un salto nel vuoto.

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