Segnaliamo l’incontro “Verso il reddito di base e oltre” organizzato da Bin Italia.
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Sabato 18 Gennaio 2020, presso la Casa Internazionale delle Donne in Via della Lungara 19 a Roma, Sala Carla Lonzi, dalle ore 17:00 incontro dal titolo “Verso il reddito di base e oltre. Una chiave per il terzo millennio“.
Ne discutono:
Domenico De Masi
Elena Granaglia
Andrea Fumagalli
Luigi Ferrajoli
Coordina
Maria Rosaria Marella
Introduce
Sandro Gobetti
Informiamo che per coloro che lo desiderano il BIN Italia rilascerà attestato di frequenza per eventuali interessi di ricerca, studio, università. Scrivere prima a info@bin-italia.org cosi da poter avere l’attestato il giorno stesso dell’iniziativa
Di seguito l’introduzione al dibattito
Verso il reddito di base e oltre
Con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del decreto legge 4/2019, successivamente convertito in legge n. 26, del 28 marzo 2019, ha fatto ingresso nel nostro ordinamento un nuovo strumento di politica attiva e contrasto alla povertà che, per quanto impropriamente chiamato ‘reddito di cittadinanza’, segna una significativa discontinuità nelle politiche di welfare del nostro Paese. Dalla scorsa primavera, quindi, un numero considerevole di persone possono accedere a una misura di sostegno simile nei caratteri generali a quanto rimane dei classici schemi di reddito minimo europei, sottoposti, come noto, negli ultimi anni a forti tagli e limitazioni.
Come Associazione che si batte da oltre un decennio per l’introduzione di un diritto al reddito di base, dopo aver lavorato a lungo per l’introduzione di un reddito minimo garantito nel nostro Paese, crediamo sia ora possibile e necessario avviarci nella costruzione di un ulteriore passaggio.
Nel pieno di una crisi climatica che mette a serio rischio la stessa sopravvivenza sul pianeta, con la percezione della catastrofe imminente che ben si sposa con la medesima percezione di precarizzazione sociale ed economica che coinvolge milioni di persone, nel pieno di una nuova grande trasformazione generata dalla rivoluzione tecnologica, della robotica e dell’AI, si fa strada, in tutto il mondo, la proposta del reddito di base incondizionato. Dal reddito di cittadinanza in vigore, volgiamo dunque lo sguardo verso idee e proposte nuove che emergono con forza nel dibattito mondiale e che stanno producendo numerose ed interessanti sperimentazioni dal sud al nord del mondo. Un reddito di base incondizionato è una proposta strategica per ripensare una redistribuzione della ricchezza sociale prodotta ed è uno strumento per garantire dignità personale e libertà di scelta ed autodeterminazione. Non solo dunque una misura per contrastare l’emergere di vecchie e nuove povertà, ma uno strumento che provi ad essere una delle chiavi per entrare con rinnovata fiducia nel terzo millennio, per una nuova idea di società, economia e relazioni sociali.
Mettere insieme idee e proposte, a partire dalle esperienze e dalle sperimentazioni in corso nel pianeta, può essere utile anche per aggiornare il dibattito italiano e costruire percorsi possibili anche nel nostro paese ed avviarci cosi a costruire una proposta possibile: quella, almeno, di sperimentare anche qui, forme di reddito di base incondizionato.
Una delle sfide più complesse, ma anche più interessanti, che la contemporaneità sembra averci affidato ha a che vedere con una visione che deve spingersi a immaginare nuovi equilibri tra il tema dell’economia, del lavoro, della giustizia sociale, dell’ambiente, della natura, della libertà e dei diritti umani universali. Viviamo in un mondo nuovo, riplasmato da numerose forze: la dirompente rivoluzione tecnologica, la globalizzazione dei mercati, delle migrazioni e della comunicazione; la crescita impetuosa della domanda mondiale di beni a dispetto dei limiti imposti dall’esaurimento delle risorse naturali; le trasformazioni del lavoro e la crisi delle tradizionali istituzioni di protezione sociale e le interazioni, a volte esplosive, di queste differenti forze (Van Parijs, Vanderborght, 2017). Il sovrapporsi in un’unica fase storica di differenti cicli di crisi, trovano oggi una strana forma di contemporaneità e coesistenza (Fumagalli, Mezzadra, 2009). Una concatenazione di crisi che generano una generale incertezza degli orizzonti e rendono scivoloso il campo delle previsioni sugli sviluppi futuri nel delineare scenari di trasformazione o di rottura dei cardini consolidati dell’esistente. Non si può infatti immaginare una ripresa della cosiddetta economia reale senza pensare alla ricaduta ambientale; discutere della crisi dei modelli democratici nati nel secondo dopoguerra, senza parlare dei diritti sociali che sono stati smantellati o semplicemente superati.
Il mondo negli ultimi decenni ha conosciuto una nuova «grande trasformazione», generata dal mutamento nelle forme di produzione nel passaggio dal sistema standardizzato fordista-taylorista della grande fabbrica e della pubblica amministrazione centralizzata, passando per la diffusione globale del post-fordismo e dell’innovazione tecnologica ancora più evidente nei processi di automazione, della rivoluzione digitale di piattaforme tecnologiche, Big Data, Internet of Things e intelligenza artificiale (Brynjolfsson, McAfee, 2015) cosi come delle nuove forme di accumulazione capitalistica.
Consapevoli della straordinaria duttilità e capacità mimetica del capitalismo, ci asterremo dal formulare prognosi definitive o tratteggiare narrazioni o scenari globali. Tuttavia, nel mezzo di questa nuova «grande trasformazione», piena di incognite e che rende incerti molti punti di riferimento, è «necessaria una nuova idea di cittadinanza, di un patrimonio di diritti che accompagna la persona in ogni luogo del mondo» (Rodotà, 2013).
Il ritardo italiano, anche solo in merito alla misura del reddito minimo garantito presente in molti paesi europei, è purtroppo noto. Eppure, già nel lontano 1995, la Commissione di indagine sulla povertà e sull’emarginazione, indicava la necessità di introdurre un «minimo vitale» per «coloro che hanno entrate al di sotto di tale minimo». Nel 1997 nel rapporto della cosiddetta Commissione Onofri, si proponeva di affrontare la «grande anomalia della situazione italiana» in rapporto ai paesi europei, cioè all’assenza «di uno schema di reddito minimo» e per questo si proponeva una misura universalistica intesa come un diritto soggettivo. Solo dopo decenni, si arriva all’introduzione, nel 2019, del cosiddetto Reddito di cittadinanza. Una misura che mostra ancora diverse ombre: non riesce ad esempio a raggiungere la vasta platea di coloro che ne avrebbero bisogno ed è ancora un mix tra politiche attive, con il classico inserimento al lavoro, e politiche sociali come contrasto alla povertà estrema. Inoltre per sostenerlo non è stata ancora avviata quella riforma fiscale necessaria per una più incisiva redistribuzione economica. L’introduzione di questa misura inoltre ha mostrato altri limiti evidenziati anche dal dibattito politico ed istituzionale e tra l’opinione pubblica ed i mass media, che hanno accompagnato la proposta con un narrazione concentrata per lo più su due aspetti: i costi (con il sempre verde «ma ci sono le coperture?») e gli obblighi dei beneficiari («coloro che lo riceveranno non staranno sui divani»). L’approccio paternalistico, moralizzatore, educativo sembra aver avuto la meglio rispetto alle ragioni e le potenzialità del diritto al reddito. La tesi «non staranno con le mani in mano a poltrire sui divani» definisce un’immagine esemplificatrice dei beneficiari: poveri per causa del loro poco impegno. La povertà colpa dei poveri.
Questo dibattito istituzionale, economico e politico, sembra però aver attraversato tutto il continente europeo, a partire dai tanti tagli ai finanziamenti del welfare e dalle tante conto riforme peggiorative dei sistemi di reddito minimo. Molti hanno smesso di chiedere il beneficio per via dei troppi documenti da produrre, delle troppe limitazioni di spesa, dei troppi controlli e dei troppi obblighi.
Come ricorda l’European Anti Poverty Network: «limitazioni all’accessibilità ha significato riduzione della platea dei richiedenti solo a vantaggio di un risparmio di risorse finanziarie». Studiosi come Hugh Frazer e Eric Marlier già nel 2009 sottolineavano che «limitare l’accessibilità ed aumentare gli obblighi verso i beneficiari, ha determinato, negli ultimi anni, una fuoriuscita di milioni di persone dai sistemi di sostegno aumentando la platea dei nuovi poveri». Così come va ricordato il punto 14 dello European Pillar of Social Rights (2017) in cui si definisce il “reddito minimo adeguato” come misura che gli stati membri dovrebbero introdurre, appunto con l’adeguatezza di una erogazione monetaria garantita, per fronteggiare al meglio le difficoltà economiche.
L’istituzione del cosiddetto “Reddito di Cittadinanza” ci offre tuttavia anche dei punti di partenza per avviare un ulteriore dibattito, destinato sia a migliorare l’attuale impianto legislativo sia a tentare nuove strade, anche sperimentali, di un nuovo diritto sociale ed economico come il reddito di base incondizionato. La Risoluzione del Parlamento Europeo del 2010 invita a realizzare progressi «nell’ambito dell’adeguatezza dei regimi di reddito minimo garantito, affinché siano in grado di sottrarre ogni bambino, adulto e anziano alla povertà e garantire loro il diritto a una vita dignitosa». Individualità del diritto, dunque, per garantire ai singoli uno ius existentiae in grado di sostenere l’autonomia, la dignità e la libertà di scelta della persona; accessibilità attraverso parametri che non siano discriminatori, o peggio che l’organizzazione tecnica e amministrativa per fare richiesta diventi una sorta di lotteria, che stigmatizza socialmente i beneficiari; garantire mezzi di sussistenza necessari e la possibilità di avere un’esistenza appagante e per una partecipazione libera alla vita pubblica e sociale. Questi sono solo alcuni elementi che potrebbero emergere da un dibattito più articolato e maturo. Le persone libere di scegliere e di autodeterminarsi possono migliorare, oltre che la propria condizione, una società nel suo complesso. Nelle maglie della proposta troviamo inoltre già alcune formule interessanti e da implementare, come quella della «congruità del lavoro proposto» e l’attenzione per coloro che svolgono attività di cura e che, in funzione di questo, non devono essere sottoposti ad obblighi lavorativi.
Nell’era della quarta rivoluzione industriale, del post-work in cui pare emergere un lavoro senza fine ed una forza lavoro costretta dentro nuovi meccanismi di sfruttamento, tra capitalismo digitale e nuova economia del web, il cittadino globale, come direbbe Zygmunt Bauman, di fronte alle grandi sfide ed alle contraddizioni della contemporaneità, appare essere sempre più solo nel mancato rapporto con forze politiche e sociali che sembrano non riuscire ad entrare in sintonia con questa trasformazione, e non in grado di agire una critica radicale alla facilità con cui il neoliberismo si è imposto nella società dal punto di vista anche culturale. Dunque, forse, l’individuazione di misure solo atte ad “attenuare” la fame che morde lo stomaco dei poveri rischia di rimandare ad una ottocentesca war on poverty e non è in grado di rispondere alle contraddizioni e alle opportunità di questa nostra contemporaneità.
La riformulazione del welfare verso schemi di reddito di base incondizionato e una nuova politica redistributiva in grado di definire un nuovo patto sociale, non hanno trovato, e non trovano ancora, riscontri significativi.
Avanzare dunque nuove proposte per estendere il “Reddito di Cittadinanza”, ampliare la platea, aumentarne l’impatto, costruire nuovi meccanismi fiscali per garantirne la sostenibilità, può rafforzare sia il dibattito che la misura stessa. Così come avvenuto in altri paesi, lo studio di buone pratiche ed esperienze internazionali, può essere un esercizio utile per individuare percorsi nuovi. Anche perché, e questa forse è la più grande opportunità che l’introduzione del Reddito di Cittadinanza in Italia ci consegna, oggi milioni di persone ne parlano al bar, in famiglia, in fila agli uffici postali, segnando forse una nuova sintonia tra l’idea di un nuovo diritto economico con la società stessa. Valorizzare il piano culturale che sostiene le ragioni del reddito diventa dunque strategico quanto la sua introduzione per legge. Un reddito garantito può liberare le catene della sopravvivenza, ed essere strumento per passare dal ricatto all’opportunità e permetterci di compiere un primo passo per guardare al presente ed al futuro con rinnovato ottimismo. Verso un diritto universale.
Da questo punto di vista si apre forse un terreno d’azione nuovo attraverso la proposta del reddito di base come una delle chiavi per entrare con fiducia nel XXI secolo. Dibattuta da governi nazionali, regionali o da piccole giunte comunali, sperimentata in Africa, in India, in Nord America, in Corea del Sud ed in diversi Paesi e località della vecchia Europa, sostenuta da reti sociali o da economisti di fama mondiale, da candidati della presidenza americana fino agli imprenditori della Silicon Valley, la proposta del reddito di base supera le frontiere ed avvia un nuovo dibattito mondiale che si interroga sugli effetti verso i beneficiari, quali modellizzazioni economiche sono possibili per la sua sostenibilità, quali le forme di governance e così via. Sperimentazioni che stanno offrendo ottimi risultati ed in alcuni casi addirittura inaspettati.
Il reddito di base (basic income), a differenza del reddito minimo garantito, è un reddito versato indifferentemente a tutti i membri della collettività su base individuale, senza dimostrare lo stato di necessità (no means test) o requisiti connessi al mercato del lavoro. Se il reddito minimo garantito viene pensato come misura ex post, cioè sulla base di un accertamento della stato di bisogno, per il reddito di base incondizionato la logica è opposta, funziona ex ante, dunque a prescindere dalla condizione di partenza e l’erogazione monetaria viene data per intero a tutti. Un reddito di base come diritto economico, sociale ed umano in grado di eleminare lo stigma del povero, la vessazione imposta al richiedente, identificato come soggetto incapace di provvedere a se stesso. Il reddito di base incondizionato eviterebbe, inoltre, la giungla burocratica che caratterizza attualmente le varie misure esistenti che prevedono organismi di controllo statali e locali particolarmente vincolanti e costosi. Nel reddito di base non c’è traccia di umiliazione perché questo sarebbe versato come un riconoscimento della piena cittadinanza, come un diritto umano universale (Van Parijs, Vanderborght, 2017). L’argomentazione cruciale a favore del reddito di base incondizionato, dunque, si poggia sulla visione ampiamente condivisa che la giustizia sociale non è solo una questione di diritto a un reddito ma anche di accesso alle libere attività umane, ad una nuova politica economica redistributiva, alla garanzia dell’autodeterminazione e dell’autonomia delle persone. Dunque ad una più ampia visione del mondo in cui vivere. Inoltre potrebbe donare nuovo senso al concetto di emancipazione del lavoro, garantito attraverso la libertà di scelta e ad un riconoscimento della partecipazione individuale ad una società a partire dalla valorizzazione della attività sociali e culturali. Inoltre favorirebbe quella riappropriazione del tempo di vita che oggi sembra essere la vera scarsità che accomuna molti.
È necessario dunque a questo punto porsi delle domande ed aprire sentieri nuovi: è possibile, e come, avanzare una proposta di un reddito di base incondizionato anche nel nostro Paese? Potrebbe essere accordata, già a partire dalla legge sul reddito di cittadinanza, una formula di incondizionalità a figure sociali specifiche? Si potrebbero avviare forme sperimentali o progetti pilota cosi come avviene altrove nel mondo? È necessario, anche per rafforzare le ragioni di un diritto al reddito (e migliorare l’attuale legge italiana), avviare un dibattito che non si limiti solo alla questione del contrasto alla povertà estrema? Si potrebbe testare un reddito di base incondizionato, come avviene in alcuni paesi, ad esempio solo per i giovani, o le donne, o solo per i bambini per verificarne l’impatto? È necessario un più ampio dibattito in grado di coinvolgere il continente europeo a partire dalla proposta di un Euro-Dividend (già Van Parjis nel 2012) o un Quantitive Easing da destinare a tutti? Può essere una ipotesi quella del riconoscimento del valore prodotto, ad esempio dai Big Data elaborati dalla comunicazione informatica, e dunque ad una redistribuzione di questo valore? Il reddito di base può essere un modo per riconoscere quella partecipazione alla società oltre il lavoro formale? Ed il lavoro, può assumere un nuovo senso emancipatorio grazie al reddito di base, a partire dalla scelta del lavoro e non dal lavoro come solo mezzo per sopravvivere?
Queste solo alcune delle domande che vorremmo affrontare nell’incontro che si terrà Sabato 18 Gennaio 2020 dalle ore 17 presso la Sala Carla Lonzi alla Casa Internazionale delle Donne in Via della Lungara 19 a Roma. Organizza Basic Income Network (BIN) Italia, la rete italiana per il reddito di base.