di FELICE MOMETTI.

 

Tom Barrett, uno che conta parecchio nel partito Democratico, è sindaco di Milwaukee da 12 anni. Politicamente molto vicino a Obama, nei giorni scorsi durante la rivolta del quartiere di Sherman Park, provocata dall’ennesima uccisione di un giovane afroamericano da parte della polizia, ha dichiarato che la «situazione è sfuggita di mano» e che «ci sono stati molti individui che hanno usato i social media per organizzare gli scontri con la polizia», tanto da rendere necessario l’impiego della Guardia Nazionale e la proclamazione del coprifuoco notturno per i minorenni, considerati i principali responsabili dei «disordini». Dichiarazioni che potrebbero sembrare sorprendenti da parte di un sindaco che ha destinato più della metà del bilancio comunale all’armamento della polizia, all’acquisizione delle più recenti tecnologie di controllo del territorio, agli incentivi monetari agli agenti di polizia in base alla logica tayloristica del «più sanzioni, più arresti: più soldi».

Basterebbero pochi dati per dimostrare che a Tom Barrett la situazione non poteva che «sfuggire di mano». Uno studio dello scorso anno dell’Università di Los Angeles mostra che gli studenti sospesi o espulsi dalle scuole pubbliche di Milwaukee sono in percentuale doppia rispetto alla media nazionale a causa dei pesanti tagli all’intero sistema dell’istruzione. Gli indici di segregazione urbana – disoccupazione, povertà, precarietà, confinamento territoriale – della popolazione afroamericana, che costituisce il 40% degli abitanti, sono agli stessi livelli dei primi anni ’60. Nella contea di Milwaukee più di metà dei maschi afroamericani tra i 30 e i 40 anni ha conosciuto il carcere.

Durante le notti di rivolta a Milwaukee molti giovani afroamericani portavano cartelli, adesivi, t-shirt che avevano il logo di Black Lives Matter, un modo per riconoscersi anche simbolicamente in un movimento che contiene e permette una pluralità di pratiche, tutte considerate legittime. In realtà la situazione interna a Black Lives Matter sta diventando più complessa di quella di un semplice contenitore di conflitti a vari gradi di intensità. Dopo l’uccisione degli agenti di polizia a Dallas e a Baton Rouge il mese scorso e gli attacchi razzisti contro il movimento afroamericano, si sono moltiplicati i tentativi di istituzionalizzare Black Lives Matter. L’operazione delle ultime settimane con la costituzione del Moviment for Black Lives che ha visto l’alleanza tra un settore di Black Lives Matter e la National Association for the Advancement of Colored People (Naacp) – la storica associazione per la difesa dei diritti degli afroamericani da anni vicina al Partito democratico – è certamente la più consistente e organizzata.

Una trentina di associazioni e collettivi che si riconoscono in Black Lives Matter ha promosso una tre giorni di discussione alla fine di luglio da cui è uscita una piattaforma rivendicativa e una proposta di struttura, su più livelli, del movimento. La piattaforma mette insieme un linguaggio piuttosto radicale nelle analisi sulle varie articolazioni del razzismo negli Stati Uniti con delle richieste che hanno come baricentro la pressione sulle istituzioni, a partire dal Congresso e via via scendendo fino ad arrivare ai consigli di amministrazione delle scuole. Nuove leggi federali e statali, modifiche di quelle esistenti, con un’azione più da lobbying che di conflitto sociale, come strumenti per limitare il potere della polizia e le discriminazioni razziali. I sei obiettivi individuati – la fine della guerra contro la popolazione nera, le «riparazioni» per i diritti negati, la giustizia economica, investimenti nei servizi sociali, il controllo delle istituzioni e degli iter legislativi da parte delle comunità, l’esercizio di potere politico che si fonda sull’autodeterminazione dei neri – saranno perseguiti avendo come punti di riferimento commissioni nazionali composte da avvocati, attivisti «esperti», rappresentanti di associazioni che si appoggeranno alle reti locali della Naacp.

Come tradurre tutto ciò in iniziativa sociale rimane molto vago. Ad esempio, l’autodeterminazione politica dei neri viene prefigurata attraverso un percorso che comprende la fine della discriminazione dell’attività politica degli afroamericani, la fine dei finanziamenti incontrollati ai candidati e ai partiti, la registrazione automatica del diritto di voto, l’accesso garantito a internet, il finanziamento delle associazioni politiche, culturali, formative afroamericane. Nella sostanza si chiede l’applicazione integrale della Costituzione americana. A fronte di una denuncia senza sconti della situazione attuale, nella piattaforma è completamente assente una prospettiva di trasformazione sociale.

Le associazioni e i collettivi che pure si riconoscono in Black Lives Matter, ma non sostengono questa piattaforma, stanno scegliendo un’altra strada. Stanno occupando le piazze davanti ai municipi o alle centrali di polizia a Los Angeles, Chicago e New York. Azioni che durano da settimane per chiedere le dimissioni dei vari capi della polizia di quelle città e per allargare il conflitto contro il razzismo istituzionale, per una drastica riduzione dei finanziamenti ai corpi di polizia e per destinarli ai servizi sociali delle comunità afroamericane e latine. Le modalità delle occupazioni evocano chiaramente il movimento Occupy: l’occupazione di spazi urbani centrali per contestare le istituzioni che direttamente praticano le discriminazioni sociali e razziali, ma anche come apertura di nuovi processi di soggettivazione che non vivano sui modelli del movimento per i diritti civili degli anni ’60. Black Lives Matter è in una fase di transizione e il suo futuro si sta giocando su due alternative difficilmente ricomponibili.

Questo articolo è stato pubblicato su sconnessioni precarie

 

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