di MARTINA TAZZIOLI*.

 

 

Uno spazio di transito di lunga durata, per molti, e uno spazio di attesa indefinita, talvolta di arrivo seppure temporaneo, per altri, la Francia di oggi, tappa o destinazione per una buona parte dei migranti che arrivano in Italia. Se si dovessero tracciare le geografie dei migranti in transito e i punti di blocco in cui questi si arrestano temporaneamente, da Ventimiglia a Calais, ci troveremmo di fronte a una carta densità variate, fatta da spazi in dissolvenza e altri altri di lunga durata che delimitano i punti fissi della mappa. Zone di transito e rifugi temporanei che emergono rapidamente e altrettanto velocemente scompaiono nella Francia dei migranti in transito, si alternano a zone-frontiera e di confinamento, come Calais, che permangono negli anni pur nelle trasformazioni dei meccanismi di controllo e delle strategie di attraversamento che contribuiscono a ridisegnare la geografia di quegli spazi-frontiera.

 

“Centri di tregua” (centres de répit) è il nome dato dal governo francese per indicare i nuovi dispositivi di auto-detenzione in cui ai migranti di Calais viene ultimamente “suggerito” di trasferirsi. Sono centri gestiti da cooperative che ospitano richiedenti asilo e rifugiati in attesa che si liberino i posti del CADA (Centres d’accueil demandeurs d’asile). E che in realtà accettano anche i futuri dublinati, ovvero coloro che dovrebbero essere rinviati nel Paese europeo che per primo ha preso e archiviato le loro impronte e che dunque sarà responsabile di processare la domanda di asilo. Per questo, i centres de répit, oltre che zone di auto-detenzione per i migranti in transito al fine di “dissuaderli ad andare in Gran Bretagna”, come dichiarato dalle autorità francesi, servono da centri di pre-espulsione per i cosiddetti dublinati, che di fatti preferiscono restare in alloggi informali per i primi sei mesi, periodo dopo il quale hanno il diritto a presentare domanda di asilo in Francia. A fronte delle pratiche di non-accoglienza del governo, le stesse autorità presentano i “centri di tregua” come una sorta di esilio volontario concesso ai richiedenti asilo in attesa di un luogo in cui stare. Uno spaccato sulla Francia dei migranti in transito e sulle creative formule con cui vengono nominate le strategie di dissuasione nei confronti dei richiedenti asilo intenti a proseguire il viaggio verso il Regno Unito o a installarsi nell’esagono, rende ben chiaro che i meccanismi definiti di “accoglienza” e le politiche di asilo hanno ben poco di “umanitario” e si concretizzano sempre piú in strumenti di cattura e contenimento alternati a strategie di dispersione dei migranti sul territorio.

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Se nei centre de répit finiscono richiedenti asilo, dublinati e coloro che hanno ottenuto una qualche forma di protezione, gli altri abitanti della “giungla” di Calais, quelli che si sono visti negare l’asilo o che non hanno presentato domanda, sono soggetti agli arresti di massa effettuati ormai da un paio di settimane dalla polizia francese. Le rafles sono cominciate pochi giorni dopo la pubblicazione sul quotidiano Libération dell’ “Appello degli 800” con cui cui cineasti e intellettuali francesi si rivolgevano al governo francese con una richiesta quanto meno discutibile e facilmente strumentalizzabile: “un largo piano d’urgenza per far uscire la giungla di Calais dalla condizione indegna nella quale si trova”1.  Di fronte alla troppa visibilità politica sulla zona di transito, e ormai sempre piú di blocco, piú nota d’Europa, il ministro dell’interno Bernard Cazeneuve non ha esitato, dichiarando di diminuire la popolazione migrante nella giungla di Calais da 6000 a 2000 persone, a colpi di arresti e trasferimenti nei CRA, i centri di detenzione francesi.

A gruppi di cinquanta, centinaia di migranti sono arrivati nei vari CRA di Francia nel giro di pochi giorni. Una strategia di dispersione di massa di fronte a un centro di transito troppo visibilizzato, presentata dal governo come una misura necessaria per alloggiare i migranti rimasti senza strutture di accoglienza. Nimes, Mesnil-Amelot,  Cornebarrieu e Marsiglia: questi alcuni dei luoghi in cui sono arrivati i migranti fatti sparire da Calais. E da quegli stessi centri dopo pochi giorni la maggiorparte dei neo-detenuti sono stati liberati, e da qui hanno cominciato a risalire verso Calais. Una sorta di dissuasione e arretramento forzato dall’obiettivo comune, la Gran Bretagna, che David Cameron ha dichiarato e reso isola irraggiungibile di fatto per tutte le persone dirette nel paese per chiedere asilo. Per distolgierli dal sogno dell’isola, la polizia francese fa arretrare temporaneamente i migranti  nello spazio, costringendoli a ricominciare la rincorsa. Non è la prima volta, in fondo, che la polizia procede a “svuotare” in parte le varie “giungle” di Calais; ma resta che il tempo medio di attesa, in cui i migranti restano bloccati prima di riuscire (alcuni di loro) a passare la Manica si è visibilmente allungato in questi ultimi anni, con l’affinarsi dei sistemi di controllo finanziati dal Regno Unito e l’aumento delle fila delle recinzioni che separano la zona delle partenze dei traghetti dalla strada che costeggia il porto. E non è difficile immaginare che le condizioni di permanenza dei migranti a Calais abbiano raggiunto limiti difficilmente sostenibile da tutti coloro che arrivano al campo per provare a passare oltre Manica.

 

La strategia della dispersione delle zone ad alta intensità di migranti “transitanti”, in questo caso verso il Regno Unito, è stata al centro delle misure di sgombero ed espulsione effettuate a Parigi nelle ultime settimane; e anche in questo caso con la motivazione-promessa di fornire a tutti gli occupanti un luogo in cui stare. Lycee Jean-Quarré, Place de Fêtes, Parigi: il liceo dismesso occupato dai migranti del movimento de LaChapelle en Lutte, dopo essere stati sgomberati da LaChapelle definitivamente nel mese di luglio, viene espulso il 23 ottobre dopo lunghe trattative tra attivisti, migranti e prefettura. In quell’edificio abitavano da ormai tre mesi piú di 700, tra richiedenti asilo che non avevano ottenuto un alloggio dallo stato francese e persone in transito verso Calais.

La promessa da parte della prefettura di fornire un posto letto a tutti gli occupanti si è rivelata del tutto futile dopo poche ore dallo sgombero, quando piú di cento migranti si sono trovati senza un tetto sotto cui stare; da lì si sono dunque spostati in Place de la République, dando vita a un campo- sit in ancora funzionante nonostante i due sgomberi in parte effettuati dalle forze dell’ordine nel giro di tre giorni. Quello che si sa degli altri occupanti del Lycée è che sono stati trasferiti in centri di accoglienza nell’estrema periferia di Parigi, o addirittura fuori dall’Ile-de-France, in zone del tutto isolate; e di fatti, alcuni hanno già fatto ritorno a Parigi, rifiutando la sistemazione-parcheggio in cui si sono improvvisamenti trovati. Come usare in modo non controproducente la possibile visibilità politica dello stare sotto gli occhi di una città intera, come nel caso del campo- sit in di République resta in ogni caso un nodo cruciale che caratterizza gli spazi temporanei di rifugio e transito creatisi in molte piazze europee.

 

12036817_1475653626074050_3766822087999873900_nMarsiglia, stazione ferroviaria centrale di Saint-Charles: è difficile indicare quanti migranti ogni settimana in media fanno tappa a Marsiglia dopo aver passato con difficoltà il confine di Ventimiglia-Mentone, prima di proseguire per Parigi e Calais. Per chi arriva da Ventimiglia in effetti Marsiglia è primo luogo sicuro di rifugio temporaneo, anche grazie all’organizzata rete che si è creata nel mese di settembre, Collectif Soutien Migrants 13, composta da singoli individui di varia estrazione politica ma accomunati da un obiettivo comune: assistere i migranti in transito, fornendo un luogo per dormire e facilitando la ripartenza verso Parigi oltre che supportando coloro che decidono invece di restare a chiedere asilo. A differenza dei canali umanitari sempre piú pubblicizzati dalle grandi associazioni, i percorsi verso altre città di Francia costruiti dalla rete di Marsiglia restano volutamente sotto la soglia della visibilità mediatica: aprire spazi di passaggio e di permanenza temporanea all’interno delle rotte monitorate dagli agenti di polizia e dai poliziotti delle agenzie dell’umanitario, non può coesistere, almeno in questo momento, con una visibilizzazione di questa attività di supporto al transito. Dopo lo smantellamento da parte delle forze dell’ordine del presidio NoBorders di Ventimiglia i passaggi della frontiera sono in parte piú difficilmente rintracciabili da parte di chi attende i migranti a Marsiglia. Ma, proprio perché poco visibilizzati, continuano a esserci, anche grazie ai numeri di telefono attivi permanentemente e messi a disposizione dal Collectif per i migranti in arrivo. Fino a poche settimane fa il passaggio dei migranti in arrivo per lo piú dall’Italia ma anche dalla rotta balcanica era in un’unica direzione: Parigi, per alcuni provando a spingersi fino a Calais. Da qualche tempo, invece, si assiste anche a rotte di transito inverse, persone che arrivate a Parigi e talvolta rimaste anche mesi nella giungla di Calais decidono di tornare a sud, e presentare domanda di asilo proprio a Marsiglia o in altre cittadine del sud della Francia. Le doppie barriere di Calais, les rafles della polizia francese, la scarsità di luoghi abitabili nell’area parigina, e l’alta concentrazione di domande di asilo sia su Calais che su Parigi contribuiscono a ridisegnare le geografie dei migranti verso sud. A creare e trovare spazi per i migranti che decidono di fermarsi a Marsiglia sono però soprattutto le persone del Collectif Migrants 13, visto che come a Parigi i posti letto forniti dal CADA sono minimi anche a Marsiglia rispetto al numero dei migranti che ne avrebbero diritto.

 

Quindi gli 11 euro al giorno che spettano a tutti i richiedenti asilo in Francia sembrano una cifra considerevole rispetto ai 2,5 a testa previsti nei centri di accoglienza in Italia; ma la cifra diventa decisamente irrisoria se si pensa che la maggioranza dei richiedenti asilo resta fuori dalle strutture di accoglienza e deve, come a Marsiglia, crearsi il proprio spazio in cui stare, usufruendo degli squat già esistenti in città o aprendone altri. Non solo, a coloro che rifiutano di trasferirsi nelle strutture di accoglienza, nel caso in cui gli venga offerto un posto letto, viene interrotto il supporto finanziario. Chi non accetta l’assistenza a tutti i costi – anche quello di trovarsi in centri in aperta campagna – diventa immediatamente “fuori da ogni competenza” per i soggetti statali e dell’umanitario.

 

Le rotte “inverse”, di coloro che da Calais o da Parigi decidono di scendere nuovamente verso il Mediterraneo, vanno ad articolarsi alle geografie dei “dublinati” e dei “diniegati” – ovvero coloro a cui è stata negata ogni forma di protezione – i quali vanno a formare una popolazione di richiedenti asilo illegalizzati sempre piú numerosa. Di fronte agli arrivi sempre piú ostacolati dalle polizie di frontiera, di donne, bambini e uomini in fuga da guerre, ciò che i media oscillano nel denominare “crisi umanitaria” o “crisi migratoria” si concretizza negli effetti di illegalizzazione e di invisibilizzazione prodotti dai criteri escludenti dell’asilo. Stando alle statistiche fornite dall’ Ufficio Europeo dell’Asilo, tra il 2013 e i 2015 piú di 220 000 richiedenti asilo sono diventati migranti irregolari sul territorio europeo, a causa del diniego della domanda di asilo. Cosa avvenga a questa popolazione crescente di diniegati e di vite rese invisibili diventa irrilevante per quelle stesse agenzie dell’umanitario e attori statali che li hanno illegalizzati. In Francia, e soprattutto a Parigi, dicono coloro al Lycée Jean-Quarré si recava ogni settimana a fornire sostegno legale ai richiedenti asilo, ai diniegati viene dato un foglio di via, e poi tendenzialmente restano sul territorio, a quel punto privi di ogni condizione minima per inserirsi in circuiti lavorativi che non siano quelli dell’economia al nero. Alcuni cominciano a dirigersi verso altre cittadine francesi, o addirittura a tornare in Italia; e in ogni caso stiamo parlando di un numero di persone che in Francia diventerà sempre piú considerevole, visto la percentuale molto bassa (che attualmente si attesta intorno al 20%) di richiedenti asilo a cui viene conferita una qualche forma di protezione.

 

Tuttavia, non sono mancate recentemente espulsioni da Calais verso paesi come il Sudan, e ancora si aspetta di capire quale sarà la sorte dei migranti arrestati a gruppi di cinquanta a Calais in queste settimane tra cui vi sono anche dei cittadini siriani. Di fatti, se al momento sappiamo che una buona parte dei detenuti sono stati liberati, non è detto che i prossimi annunciati arresti abbiano lo stesso esito. Nelle ultime sere, dai treni e dal campo di Calais le rafles della polizia francese si sono spostate anche in città, dove circa 200 migranti nel weekend sono stati caricati sui pullman o sul charter affittato dal governo francese per effettuare questi “trasferimenti” di migranti da Calais nei CRA di tutta Francia.

Di fronte alle ripetute strategie di confinamento, con cui la Francia prova a far arretrare e a far desistere i migranti in transito, inventando forme di auto-detenzione o svuotando le zone di rifugio temporaneo disperdendo le persone sul territorio, molti provano ad aprire nuovi spazi, di migrazione e di permanenza. Ventimiglia a Calais, da Calais a Marsiglia: le rotte verso nord per molti cominciano a invertirsi, a produrre geografie un po’ meno catturabili dalle strategie di contenimento agite da stati e attori umanitari per rincorrere e sottrarre terreno ai migranti in transito. Per questo la rete di supporto al transito che a Marsiglia stanno provando a costruire guarda anche verso sud, verso l’Italia e non solo a Parigi.

 

*pubblicato in Tutmonda il 3 novembre 2016.

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  1. http://www.liberation.fr/france/2015/10/20/jungle-de-calais-l-appel-des-800_1407520