Di ROBERTO CICCARELLI

C’è un non detto alla base delle discussioni sulla libertà individuale e l’oppressione di uno stato autoritario: il Covid. I discorsi vertono sul rapporto astratto tra la libertà dell’individuo di muoversi e il potere dello Stato di controllarlo. Come se i due aspetti, le cause della pandemia e gli stati di emergenza sanitari, non fossero strettamente collegati. Il virus resta in una penombra, quando non viene definito un’«invenzione» oppure negato del tutto.

La rimozione non è praticata solo negli interventi spesso oracolari di filosofi come Giorgio Agamben o Massimo Cacciari che hanno generato una discussione astiosa. Può essere considerata parte di una strategia discorsiva alla quale non è stato dato il giusto peso. Da marzo 2020 le massime autorità degli Stati e di alcune istituzioni sovranazionali hanno presentato il Covid come uno «choc esogeno», prodotto di una causa extra-umana che non può essere imputabile a nessuno.

Lo scopo della rimozione è tutelare il sistema che produce anche le pandemie, adottando ingegnosi rimedi che servono a proteggere la popolazione ma non a sradicare i rischi che corre. Essere «resilienti», come invita a fare l’omonimo piano della «ripresa», non serve a prospettare lo sradicamento dei rischi, ma l’adattamento a un pericolo endemico che va curato e indennizzato quando non è possibile prevenirlo.

Sono poco comprese le voci degli epidemiologi critici, degli ecologisti o dei materialisti che, a livello internazionale e molto meno purtroppo in Italia, hanno invece sollecitato a indagare la politicità del virus e la rete delle cause che lo hanno prodotto: il capitalismo dell’agribusiness, la deforestazione e le monoculture animali che favoriscono i salti di specie da animale a uomo e hanno generato la famiglia dei coronavirus di cui il Covid è uno di quelli più pericolosi. Questo sistema ha imposto la convivenza forzata tra specie diverse e ha trasformato ogni forma del vivente in un’occasione di profitto. Il dibattito sullo «Structural One Health» spiega come le pandemie siano collegate ai circuiti del capitale che stanno cambiando le condizioni ambientali e mutando le forme del governo.

La critica dell’economia politica permetterebbe di dare concretezza alla ricerca delle alternative a un sistema che continuerà a produrre, direttamente o indirettamente, eventi catastrofici globali. Non si tratta di aspettare la prossima pandemia. È sufficiente osservare le conseguenze del surriscaldamento del clima e il loro rapporto con il capitalismo fossile e finanziario. Non porsi il problema di un mondo ridotto a una fattoria globale, o slegarlo da quello che lo ha ridotto a vivere in una serra, non impedirà la diffusione di fenomeni patogeni o climatici ancora più virulenti e devastanti. E, dunque, il ricorso a politiche di emergenza che distruggono con le quarantene sia la democrazia che l’economia, la socialità e il lavoro. Non c’è dubbio che, in questa prospettiva, le libertà individuali e la solidarietà continuerebbero ad essere ostacolate, e messe in contrasto, dalla proliferazione dei controlli e della sorveglianza. Il problema è questo: tanto più il virus continuerà ad essere rimosso, e affrontato solo attraverso l’immunizzazione com’è già accaduto in passato, tanto più si rafforzerà la sensazione di essere politicamente impotenti.

Il dibattito resta concentrato sulla circolazione del virus e sui modi per rendere possibile quella delle persone. È comprensibile che questo accada in una società il cui primo comandamento è lasciare fare (le persone) e lasciare passare (le merci). C’è chi privilegia il lasciare fare in nome della sovranità individuale e chi considera i diritti in rapporto alla ripresa della circolazione delle merci che garantirebbero il benessere anche se danneggiano la libertà individuale. Sono due visioni della stessa libertà capitalista e rivelano il suo carattere «liberogeno»: da un lato, la libertà si afferma sulla sicurezza; dall’altro lato, la sicurezza divora la libertà mentre la protegge. Molto spesso questo paradosso è accompagnato da un altro: il paternalismo libertario di cui parlano i teorici del «nudge»- cioè il metodo «gentile» per ispirare la giusta decisione senza farla apparire un’imposizione. È un metodo di governo usato sia dai management aziendali, sia dai governi che spingono a vaccinarsi con il green pass senza imporre l’obbligo del vaccino. Entrambe queste tecniche sono usate ogni giorno, a seconda degli obiettivi, e non solo in questa emergenza.

Rovesciare questi paradossi è possibile partendo dalla conoscenza delle cause che rendono dolorosa, incerta e insostenibile una vita. Ciò non significa neutralizzarla, ma liberarla. Su queste basi si potrebbe argomentare la necessità di non subire l’emergenza permanente. La tradizione degli oppressi ci insegna a rovesciarla e a scagliarla contro il capitalismo che distrugge la vita, non la salva.

Questo articolo è stato pubblicato per il manifesto il 4 agosto 2021.

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