di ROBERTO CICCARELLI.
L’Europa potrebbe raccogliere la chance offerta dalla crisi cinese per rovesciare l’assetto economico imposto al continente dall’austerità. Per l’economista Christian Marazzi la svalutazione dello yuan voluta da Pechino mercoledì scorso potrebbe aprire uno spiraglio per il rilancio di politiche espansive nell’Eurozona. «Venendo meno la possibilità di esportare massicciamente in Cina – ragiona l’autore de E il denaro va (Bollati Boringhieri) e Diario della crisi (Ombre Corte) — la Germania potrebbe avere interesse nel rilancio della domanda interna entrando così in una fase post-austeritaria».
La Germania soffre da almeno un anno la crisi cinese, ma il suo governo non sembra intenzionato a cambiare impostazione. È uno scenario credibile?
In effetti ci confrontiamo con un fanatismo ordoliberista sempre più politico. La rigidità con la quale i tedeschi continuano ad affrontare la Grecia, ostentando la loro egemonia, lascia in sospeso questa chance. Ma la situazione che è stata ufficializzata dalla Banca del popolo cinese (Bpc) è incompatibile con la rigidità di Schäuble. Con il venire meno della forza della Germania, cioè lo sbocco in Oriente, non vedo come potranno funzionare le sue politiche ossessivamente austeritarie. Si potrebbero addirittura immaginare le sue dimissioni o una crisi seria del governo.
Quali saranno i contraccolpi di questa decisione sull’Europa e le politiche di Draghi?
La Bce sarà costretta a continuare il quantitative easing anche oltre il settembre 2016 dato che uno degli effetti che avrà la decisione cinese sarà quello di esportare deflazione proprio nel momento in cui la Bce sta cercando di debellarla. Bisogna dire che il Qe non genera necessariamente una crescita omogenea, questa situazione complicherà ancora di più l’obiettivo che intende raggiungere Draghi. Nei prossimi mesi assisteremo inoltre alla recrudescenza degli attacchi al salario, alle pensioni e alla precarizzazione dei lavoratori per far fronte ad uno scenario globale destabilizzato. Sarà come prima, ma più di prima. In questa cornice potrebbero rafforzarsi una serie di rivendicazioni politiche anche in Italia, ad esempio quella di sganciare il costo del lavoro dalle condizioni di vita, trasformando il salario in reddito di esistenza e non più in costo del lavoro. Una situazione che potrebbe facilitare una fase di costituzione di movimenti trasversali e postsindacali.
Il fallimento di Tsipras sembra avere invece rafforzato le posizioni sovraniste, noeuro e xenofobe, l’opposto di questo scenario…
Siamo tutti ancora storditi per quanto è successo in Grecia. La forza della necessità prevale ormai sull’ottimismo di una verticalizzazione dei movimenti. La svalutazione cinese e la realtà esplosiva e tragica dei profughi sono i due aspetti più visibili di una situazione in equilibrio precario. Non so quanto potrà durare senza scatenare rivolte che non avranno necessariamente un esito positivo e costituente. Detto questo, è il caso di notare che il piano Schäuble prevede l’uscita dall’euro della Grecia e di altri paesi, cioè la stessa cosa che vogliono i suoi avversari. Il dibattito euro si-euro no mi sembra una grande trappola. È stato giusto investire su Syriza, ora bisogna puntare su una fase di concreta solidarietà, di sperimentazione di monete di scambio locali. Non dev’essere il movimento a verticalizzarsi, com’è accaduto in Grecia, ma la politica a farsi orizzontale e a misurarsi integralmente con le sue istanze.
Quali sono invece gli scenari che si aprono in Cina?
Già prospettando le conseguenze sul governo tedesco delle decisioni della Bcp di Pechino abbiamo compreso che la Cina è, non da oggi, un attore estremamente potente dell’economia globale. Non lo è solo dal punto di vista degli scambi commerciali, ma ormai anche da quello monetario internazionale e degli equilibri dei mercati finanziari. Questa decisione è stata presa per rimediare al terremoto avvenuto sulla borsa di Shangai e ha molto a che fare con una lotta nel partito comunista. Il ventre del Pcc si è vendicato contro XI Jinping vendendo in massa i titoli. La base del partito non sopporta la campagna contro la corruzione voluta dai vertici. È in atto una lotta interna che XI Jinping sta vincendo, almeno per il momento. La banca centrale agisce secondo le direttive del partito per contenere questa resistenza della base.
Quella cinese è una mossa preventiva contro il rialzo dei tassi che la Federal Reserve americana dovrebbe decidere in autunno?
Janet Yellen, la governatrice della Fed, ha seguito una politica intelligente orientata all’uscita graduale dalle politiche di tassi di interesse nulli. Sembrava che si fosse prossimi alla possibilità di farlo, ma quanto successo in Cina l’ha azzerata o posticipata. Non è cosa da poco perché l’aumento dei tassi è necessario per gli Usa in vista di una prossima di crisi. Per gli americani è necessario avere un margine di manovra per contrastare la recessione. Se non possono aumentare i tassi, non avranno questi margini nel futuro. Questi eventi possono avere risvolti anche preoccupanti.
Quali?
Si sono visti subito quando il rendimento dei buoni del tesoro Usa a due anni è calato in previsione dell’impossibilità della Fed di aumentare a breve i tassi per gli effetti deflazionisti della svalutazione cinese. Pensiamo alle conseguenze sui fondi pensione, cioè i maggiori acquirenti di buoni del tesoro al mondo. Con questi tassi di rendimento nulli o addirittura negativi si troveranno nei pasticci quando dovranno erogare le rendite pensionistiche. Poi c’è l’effetto sulle materie prime, come l’oro o il rame che subiscono contraccolpi forti per il calo della domanda mondiale. Infine c’è il calo del petrolio che dall’anno scorso ha pesanti effetti sull’industria del fracking. L’unica cosa che potrebbe controbilanciare la rigidità dei tassi di interesse prossimi allo zero è che in questi mesi sono stati fatte tante fusioni e acquisizioni visto che il denaro costa nulla. Tutti temevano un rialzo dei tassi di interesse e quindi un effetto pericoloso sulle grandi corporation che si sono comprate a vicenda, indebitandosi.
Perché il Fondo Monetario mantiene la calma in questa situazione?
Perché un cambio più flessibile permette di avere un’economia dinamica e favorisce l’entrata del renminbi nel paniere dei diritti speciali di prelievo, costituito dal dollaro, l’euro, la sterlina e lo yen. Dall’inizio del 2014 il renminbi si è rivalutato di oltre il 10 % a causa del suo legame con il dollaro. La terza svalutazione della moneta cinese riequilibra in maniera normale la parità con le valute dei partner commerciali occidentali ed è un primo passo verso la mercatizzazione di quella cinese che non sarà più una moneta circoscritta agli scambi con i paesi asiatici più vicini. Secondo la loro tradizione, i cinesi hanno astutamente rovesciato la critica degli americani (rigidità del renminbi) a loro vantaggio. Oggi il loro vantaggio sta nella svalutazione che compensa il calo della produzione e delle esportazioni che è molto più grave di quella annunciata.
Si rafforza allora la trappola dell’economia finanziaria: tassi bassi, crescita bassa e liquidità a go go?
Sì, l’economia è destabilizzata e lo resterà. In questo scenario va inteso il contrattacco cinese contro una politica finanziaria americana che ha voluto penalizzare i paesi emergenti, e la Cina in primo luogo.
questa intervista è stata pubblicata sul manifesto del 14 agosto 2015