Di GIANSANDRO MERLI

Nella grande ondata di solidarietà ai tempi del Covid-19 anche i centri sociali sparsi nelle diverse città dello stivale stanno facendo la loro parte per sostenere chi ha maggiori difficoltà. A Milano, Roma, Bologna e in molte altre città sono in strada per distribuire cibo e medicine a chi non può uscire a fare la spesa o non ha un tetto sotto cui trovare rifugio. Una mappa parziale della solidarietà autogestita.

MILANO

Nel capoluogo lombardo, il Comune ha messo a disposizione la piattaforma Milano Aiuta. Al suo interno sono attive diverse realtà, da Emergency, alle Acli, all’Anpi. «Emergency ha chiamato a raccolta chi voleva costituire brigate di volontari per l’emergenza. Insieme a tante gente comune, si sono attivati i gruppi politici della città: dagli anarchici ai centri sociali della sinistra auto-organizzata», racconta Mattia Rigodanza. Fa parte del collettivo Fuori Luogo e abita nell’occupazione abitativa del Lambretta, un centro sociale in Zona Due riconvertito a base operativa e centro di stoccaggio della «Brigata Lena Modotti». Il nome viene da due partigiane. All’interno della brigata sono attive circa trenta persone. È una delle nove che si dividono i quartieri di Milano.

Si entra nelle brigate di volontari dopo una formazione con Emergency, per imparare a rispettare le pratiche di profilassi che servono a proteggere volontari e utenti. Aiutano chiunque chieda una mano per esigenze pratiche, come fare la spesa o rimediare farmaci. Le telefonate arrivano al centralino messo a disposizione dal Comune e sono smistate territorialmente alle diverse brigate, a loro volta divise in squadre. «Noi dei centri sociali siamo sempre criminalizzati dall’amministrazione comunale, viviamo sotto sgombero – continua Rigodanza – Poi è scattata l’emergenza e il Comune è venuto a bussare alla nostra porta». La Brigata Lina Modotti ha aggiunto un’attività extra a quella delle altre: in cooperazione con pizzerie e forni che si trovano intorno alla stazione centrale distribuisce cibo ai senza fissa dimora. «Loro stanno soffrendo questa situazione più di chiunque altro», dice Mattia.

ROMA

Anche nella capitale, ma senza una cornice istituzionale, sono moltissimi i quartieri in cui è possibile telefonare ai numeri appesi sui muri o diffusi via social network. A nord, tra Rebibbia, Ponte Mammolo e Casal de’ Pazzi da circa una settimana gli attivisti del comitato di quartiere «Mammut», dello spazio sociale Casale Alba 2 e del Forum per la Tutela del Parco di Aguzzano «sono a disposizione per andare a fare la spesa, comprare i farmaci o sbrigare piccole commissioni». A Tufello e Monte Sacro sono i giovani dello studentato occupato Lab Puzzle a portare gratuitamente i beni di prima necessità nelle case di chi ha bisogno.

Nel quadrante est della città, ricchissimo di esperienze di occupazione e autogestione, sono molte le realtà mobilitate. «A San Lorenzo hanno difficoltà a fare la spesa soprattutto anziani e persone che stanno male o hanno figli piccoli – racconta Rocco Cacciani, del centro sociale Esc – Ci contattano, noi ci coordiniamo, anticipiamo i soldi e distribuiamo quello che è stato richiesto, rispettando tutte le misure di prevenzione del contagio. A chi vuole lasciarci una mancia diciamo che ci incontreremo in una grande festa a fine epidemia». Nel quartiere stretto tra la stazione Termini e la città universitaria della Sapienza è stata la rete di quartiere della Libera Repubblica, con i centri sociali Esc, Communia e Nuovo Cinema Palazzo, l’Anpi e l’associazione Grande Cocomero, ad attivarsi subito dopo il decreto che il 9 marzo scorso ha trasformato l’Italia in una grande zona rossa.

Più a est, tra le vie Prenestina e Casilina, ci sono i quartieri di Pigneto e Tor Pignattara. Qui il circolo Arci Sparwasser ha creato una rete di 193 volontari che distribuiscono la spesa a decine di persone. «All’inizio c’era un po’ di diffidenza – racconta Diana Armento, attivista di Sparwasser – Gli anziani, o i loro figli, erano preoccupati di possibili truffe e ci chiedevano chi eravamo e perché lo facevamo. Adesso si è diffusa la voce e il problema principale sono le lunghe file ai supermercati». A chiedere supporto sono anziani e persone con problemi di disabilità. Ci sono anche due famiglie in isolamento totale perché appena rientrate dall’estero. «Ci ha colpito molto una casa in cui vivono tre persone disabili e un anziano di 91 anni. Ci chiediamo come facessero a fare la spesa anche prima. Una situazione davvero difficile», dice Diana.

Continuando verso est in direzione del grande raccordo anulare c’è il quartiere popolare del Quarticciolo. Al centro della sua piazza principale si trova una grande occupazione abitativa, una ex caserma trasformata in appartamenti e in una palestra popolare. «La nostra prima iniziativa è stata portare solidarietà ai detenuti del carcere di Rebibbia, durante le proteste del 9 marzo scorso – dice Pietro Vicari, del collettivo Degage – Ci siamo andati insieme alle famiglie del quartiere. Il giorno seguente abbiamo fatto un’iniziativa per l’amnistia. Lì abbiamo scoperto che c’era bisogno di amuchina e materiali per evitare il contagio. Li abbiamo trovati e distribuiti». Ogni giorno alle 18 mettono musica dal palazzo occupato. «È diventata una specie di radio comunitaria: ci inviano canzoni o pensieri da far ascoltare dalle casse e noi li facciamo suonare. Ieri un bambino ci ha spedito una poesia via whatsapp», dice Pietro.

BOLOGNA

A Bologna le attiviste e gli attivisti degli spazi sociali Labàs e Tpo sono usciti in piena notte per distribuire, nel rispetto delle misure di sicurezza igienico-sanitaria, un kit medico ai senza tetto, del cibo e qualche parola di conforto. «D’accordo con altre realtà del territorio abbiamo portato saponi, disinfettanti e qualcosa da bere e da mangiare – racconta Tiziano Ghidelli, di Labàs – In giro c’erano solo i rider e la polizia. Abbiamo anche incontrato delle persone senza casa che avevano ricevuto la denuncia per l’inosservanza del decreto».

In queste ore gli attivisti stanno discutendo come organizzare delle forme di distribuzione di beni di prima necessità che permettano ai cittadini in difficoltà di non dover ricorrere per forza alle grandi piattaforme legate alla cosiddetta «gig economy». Il capoluogo dell’Emilia-Romagna è una delle città in cui la lotta per i diritti dei rider è stata più forte e anche durante il periodo di quarantena ci sono state proteste.

MEDITERRANEA SAVING HUMANS

Una solidarietà extraterritoriale è quella fornita dalla missione Mediterranea. La Mare Jonio, ribattezzata la «nave dei centri sociali», è al momento ferma in porto, al pari di tutte le altre imbarcazioni umanitarie. Anche le attività degli equipaggi sono in stand by. Così gli attivisti si sono riorganizzati e hanno attivato dei numeri telefonici da cui i team di assistenza medica e psicologica forniscono informazioni e aiuto.

«Avevamo in programma un intervento medico per i rifugiati a Lampedusa e sulle isole greche, ma non lo abbiamo potuto realizzare a causa dell’epidemia – dice Stefano Caselli, coordinatore sanitario di Mediterranea – Così abbiamo deciso di attivare un supporto telefonico per dare indicazioni di base alle persone che hanno dei dubbi su alcuni sintomi o, nel caso, reindirizzarle ai numeri competenti». Il servizio aiuta anche tanti migranti che hanno difficoltà linguistiche a recepire i vademecum del ministero, anche grazie a una guida tradotta in 17 lingue dall’associazione Naga.

Capitolo a parte è quello sul benessere mentale in un periodo di isolamento forzato, per cui sono state attivate linee telefoniche specifiche a cui collaborano in 23 tra psicologi, psichiatri e psicoterapeuti. «All’inizio le persone cercavano informazioni a cavallo tra medicina e psicologia, per leggere i sintomi che presentavano – afferma Francesco Caputo, psicologo, psicoterapeuta e attivista di Mediterranea – Nell’ultima settimana le esigenze riguardano più nello specifico la salute mentale, gli stati di ansia e le paure che sorgono in una condizione di isolamento domestico. Al di là dei sintomi il tema è capire come si vive con se stessi quando si sta sempre da soli». Le richieste di supporto arrivano da tutta Italia, con un’incidenza maggiore della Lombardia e di altre regioni del nord. Anche l’età degli utenti è molto variegata.

«La nostra preoccupazione è soprattutto per chi non chiama: migranti, persone che vivono disagi familiari e gli stessi operatori sanitari che in questo momento sono soggetti a molta fatica e molto dolore – continua Francesco – Sarebbe importante che servizi di questo tipo siano estesi, perché c’è bisogno di comprendere ed elaborare questo difficile periodo che stiamo vivendo».

Questo articolo è stato pubblicato su il manifesto il 22 marzo 2020.

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