Una prima versione di questo articolo, qui leggermente ampliato, è stata scritta per la testata online On Cuba.

Di DIEGO ORTOLANI DELFINO

“Oggi in Cile la speranza ha vinto sulla paura”, ha detto la sera di domenica 19 dicembre Gabriel Boric nel suo primo discorso da presidente eletto, davanti a una gigantesca moltitudine di circa 500mila persone che riempiva l’Alameda, dal palco montato per l’occasione fino a Piazza Dignità, così ribattezzata dal popolo a partire dalla ribellione dell’ottobre 2019, a dieci isolati da lì. Si lasciava alle spalle, segnato anch’esso dalla paura, quasi un mese di campagna elettorale per il ballottaggio contro l’ultadestrista José Antonio Kast, una figura politica caratterizzata dalla rivendicazione di pinochetismo, neoliberalismo, xenofobia, patriarcato e omofobia: il Bolsonaro cileno.

Figlio di un militare nazista, Kast aveva riunito per la sua candidatura al secondo turno tutte le destre, dalla più reazionaria fino alle sedicenti “moderna”, liberale o “sociale”, che non hanno esitato, avendo perso il proprio candidato al primo turno, a cadere tra le sue braccia praticamente senza condizioni, di fronte alla minaccia “del comunismo” che secondo lui rappresentava Boric. Kast aveva fatto campagna elettorale, fin dall’inizio, agitando questo spauracchio e tutti i soliti atavismi reazionari, oltre a sventolare la bandiera della “libertà”, nome che danno all’anarcocapitalismo fondamentalista di mercato che invocano le nuove ultradestre, in questa nostra era di crisi permanente e impazzita dell’accumulazione del capitale.

Per questa contesa finale, come era logico, Kast ha cercato di trasmettere la “moderazione” e lo spostamento verso il “centro” tipici dei ballottaggi delle democrazie neoliberali occidentali (e in generale, di tutto il loro sistema politico in un qualsiasi momento dei loro rituali sempre più vuoti, fino all’irruzione ora di queste novità).

Ma la sua inoccultabile matrice neofascista e l’allineamento sulla sua figura di tutta la destra e dei poteri reali (grande capitale e mezzi di comunicazione dominanti) facevano temere quattro anni di un governo ancora peggiore, in insopportabile continuità con quello uscente di Sebastián Piñera, saccheggiatore seriale e palesemente criminale. Questo timore era rafforzato dall’appoggio per il ballottaggio del disertore Franco Parisi e del suo nuovissimo Partido de la Gente, un informe pastiche di “antipolitica” e neoliberalismo soft, che erano arrivati terzi al primo turno di queste elezioni. In breve, le possibilità di un trionfo di Kast erano decisamente realistiche, avendo anche superato Boric al primo turno, anche se con uno stretto margine.

In questo modo, nonostante l’ampia vittoria di Boric per 12 punti di differenza abbia provocato un’esplosione di allegria e una straordinaria festa popolare, si è trattato anche di un gran sospiro di sollievo e di un esorcismo alla paura, che ha segnato tanto quanto la speranza la campagna per il ballottaggio. Si può dire che abbiamo vissuto una dialettica aperta tra i due sentimenti, e non credo esista un modo più preciso di descrivere il trasporto emotivo e affettivo di questo mese indimenticabile.

La campagna elettorale e le tensioni

Di fatto, in parte solo così, per il timore di un governo ultraneoliberale e neofascista, si spiega l’enorme mobilitazione che durante la campagna del ballottaggio si è data in grandi settori di quello che qui abbiamo provvisoriamente denominato octubrismo, ovvero del soggetto popolare complesso e variegato protagonista della ribellione contro il neoliberalismo avviata nell’ottobre 2019, che compone la molteplicità del “movimento di movimenti” in Cile.

La diffusione quindi, per quartieri e periferie (oltre ovviamente ai militanti dei partiti di Apruebo Dignidad, la coalizione di Boric), del femminismo popolare, di tanti collettivi e assemblee riuniti in squadre autoconvocate per la campagna elettorale (noi che abbiamo consumato le suole delle scarpe nelle strade e gli occhi nella straordinaria guerrilla memetico-comunicativa che si è portata avanti incessantemente sui social network, come nei migliori giorni del estallido), dei sindacati di base e dei coordinamenti di minatori, i movimenti ecologisti, le diverse sinistre e resistenze radicali, l* artist* del popolo, gl* anarchic* e antifascist* (migliaia de* quali sono andat* a votare per la prima volta nella loro vita, essendo stat* storicamente astensionist* radicali).

Insomma, di tutto quel complesso amalgama di lotte che in realtà ha avuto una relazione molto tesa e critica con il Frente Amplio (e perfino con il Partito Comunista, l’altro socio di AD), e in particolare con la figura di Boric. Per moltissima gente, per una miriade di movimenti, collettivi e comunità organizzate, la campagna è stata più una mobilitazione contro Kast che per Boric. Quest’immensa mobilitazione non ha avuto bisogno di ordini di partito né di comunicazione centrale: come in quei giorni di fine 2019 e inizio 2020, si è data in modo diffuso e decentrato.

Riguardo alla forte tensione critica, c’è da notare che, essendo il Partito Comunista un’indiscutibile forza politica storica della sinistra cilena, ed essendo il Frente Amplio nato dal lungo ciclo di lotte controneoliberali aperto a metà degli anni 2000 (con la grande stagione del 2011-12, nella quale sono apparsi sulla scena Boric e altri dirigenti del movimento studentesco), il loro impegno nel sistema politico-istituzionale è stato lontano dalla radicalità e dagli “stili” delle lotte e dei movimenti sociali. Questi partiti hanno dimostrato una scarsa volontà di impegnarsi in un costante lavoro di base, nella quotidianità della resistenza e nella sperimentazione politica “dal basso”, finendo con l’interagire con i movimenti più che altro come serbatoi di voti, in una sorta di estrattivismo elettorale.

Per i nuovi movimenti che sono stati protagonisti di questo lungo ciclo di lotte, il PC (e il suo burocratismo) è rimasto segnato dalla sua partecipazione fino alla fine nel deludente governo Bachelet 2, che sosteneva di essere una transizione verso qualcosa di diverso e alla fine non è stato altro che un epilogo agonizzante dell’ineffabile “Transizione alla Democrazia”, o gestione “progressista” del neoliberalismo imposto dalla dittatura pinochetista durante i famosi “30 Anni”, “che non erano 30 pesos”. Da parte sua, il Frente Amplio (oltre al tiepido parlamentarismo esibito durante i già tremendi due anni iniziali del governo Piñera 2, fino al 2019), ha partecipato attivamente all’Accordo per la Pace e la Nuova Costituzione del novembre 2019, siglato da tutti i principali – e ormai delegittimati – partiti politici con rappresentanza  parlamentare, trovando legittimazione “a sinistra”.

     Da un lato, dal Frente Amplio (e dai settori dell’ex Concertazione che insieme a esso danno vita a una certa egemonia di centrosinistra nella Convención Constitucional derivata dall’Accordo) si insiste ripetutamente sul fatto che sia stato l’Accordo a permettere di avviare il processo costituente, o meglio a convogliare la ribellione per “vie istituzionali e democratiche” evitando “la violenza”. Dall’altro lato, i cosiddetti octubristas interpretano l’Accordo come una manovra istituzionale che ha avuto i seguenti effetti: ha impedito la caduta del criminale governo Piñera, che aveva dichiarato guerra al popolo in rivolta (“Dimettiti Piñera” era uno slogan chiave delle enormi mobilitazioni di quei giorni); ha ostacolato la possibilità di un’Assemblea Costituente più profonda e radicale, i cui protagonisti fossero i popoli in lotta e non la “classe politica” – relativizzando la centralità della rappresentanza politica a favore di forme vincolanti e partecipative di democrazia -; infine, ha rallentato lo sviluppo di un orizzonte più profondamente trasformativo a partire dal momento straordinario delle lotte di piazza.

Inoltre, l’Accordo è stato uno dei passaggi fondamentali che hanno permesso al governo Piñera di sopravvivere e restare a capo della gestione della pandemia. Il governo (che aveva di fronte un’opposizione parlamentare molto timida) ha utilizzato la gestione pandemica per reprimere la ribellione e rafforzare l’attacco alle condizioni di vita del popolo. Nonostante la vaccinazione relativamente rapida ed estesa della popolazione sia stata un successo, siamo arrivati a quasi 50mila morti. Decine di migliaia di morti evitabili, in gran parte concentrate nella classe operaia e nel precariato sociale (è  una vera e propria morte pandemica che ha contribuito a diffondere paura e isolamento in tutto il corpo sociale).

L’immagine della classe politica che annunciava quel compromesso, con la partecipazione di Boric come protagonista, ha alimentato una profonda distanza politico-simbolica che non si è mai annullata, nonostante la convergenza in questa campagna per il ballottaggio. Di fatto, questa distanza spiega in larga misura lo scarso risultato di Boric al primo turno; e come suggerivamo, il superamento di questa distanza nel ballottaggio spiega, in misura non esclusiva ma sicuramente fondamentale, la vittoria contro Kast.

Il rovescio della medaglia

La paura era presente anche nell’altro schieramento, dato che la campagna di Kast e della destra non si è nutrita d’altro, così come non si nutre d’altro il neoliberalismo che giorno dopo giorno ne estrae la sostanza del proprio governo sulla vita sociale. Gli argomenti della campagna di Kast sono gli stessi di questo mostro dalle mille teste a tutte le latitudini: la paura del “comunismo” (termine che associano non solo a un’economia politica del bene comune collettivo, ma a qualsiasi politica economica minimamente redistributiva); dell’immigrazione, che tra l’altro è provocata, in paesi limitrofi, dallo stesso neoliberalismo imperial-oligarchico, con le sue guerre sociali e le sue guerre trasversali; la paura della “violenza” delle lotte popolari e del popolo mapuche che equiparano nella loro narrazione, definendole “terrorismo”, alla violenza criminale e del narcotraffico (quel tremendo flagello che colpisce soprattutto i quartieri popolari, motivato esso stesso dalla disuguaglianza e dal degrado provocati dal sistema); la paura della “perdita dei valori” e del “ruolo della famiglia” agitata contro il femminismo e le dissidenze sessuali e di genere.

La sovrapposizione di queste paure costituisce il nucleo del discorso politico dei neofascismi neoliberali. Nella realtà, queste paure sono alimentate dalle ansie esistenziali che il sistema neoliberale dominante produce sulla vita quotidiana delle persone.

Precarizzazione infinita delle condizioni di produzione e riproduzione della vita (lavoro, diritti, orizzonti, famiglie, affetti); lotta di tutti contro tutti nella competizione “meritocratica” tra individui atomizzati; patriarcato machista e al contempo sgretolamento delle condizioni materiali del dominio maschile: grazie alle lotte femministe e ai movimenti dissidenti, certamente, ma anche a causa della precarietà strutturale dell’homo neoliberalis. Qui si trova anche la ragione fondamentale del solido 44% che ha ottenuto Kast, che pende come un’ombra minacciosa sulla speranza riaperta.

Numeri

Ad ogni modo, i numeri sono eloquenti. Non solo per ciò che è stato sottolineato nelle ore successive alle elezioni: che Boric è il presidente più votato (e il più giovane) della storia, che ha ottenuto una differenza di 12 punti, sufficiente per avviare il suo governo con una forte legittimazione di consensi, che ha vinto nonostante l’azione di boicottaggio del trasporto pubblico da parte della destra e delle imprese di categoria. Sapevamo che qualsiasi aumento della partecipazione elettorale, soprattutto nei settori popolari, più vincolati al trasporto pubblico, ci avrebbe favorito. “Sono dei diavoli, era l’asso che avevano nella manica”, dicevano le donne e gli uomini del popolo, la domenica delle elezioni, a chi di noi faceva da “uber civico”, autoconvocati in massa per rompere il boicottaggio trasportando i votanti.

Questi dati sono significativi anche perché dimostrano l’ipotesi che avanzavamo dai movimenti, rispetto al fatto che ciò che poteva garantire alla fine una vittoria contro Kast non erano tanto la moderazione e lo “spostamento verso il centro”, bensì, e soprattutto, la partecipazione al voto della mobilitazione popolare octubrista. Questo perché, ad ogni modo, la grande maggioranza dei votanti ex-Concertazionisti moderati aveva già votato al primo turno, e trattandosi di Kast, quel voto sarebbe stato trasferito quasi completamente a Boric, e perché era dall’astensionismo che si poteva ottenere la maggior quantità di voti nuovi per vincere.

Si ricordi qui che Boric ha ottenuto scarsi risultati al primo turno (il 25% del 47% dei cittadini che effettivamente hanno votato, ovvero, non più di un 12% reale dei cittadini). Erano stati scarsi anche i risultati delle parlamentari di Apruebo Dignidad, meno del 10% dell’elettorato reale. In quel quadro, potevamo presumere che grandi masse popolari facessero parte in qualche modo dell’octubrismo o simpatizzassero con la ribellione nata in ottobre. Qualcosa di difficile da dimostrare in cifre, ma palpabile nell’imponenza delle mobilitazioni che in quei giorni, in tutto il paese, nelle città e nei quartieri, vedevano il popolo protagonista, o nei grandi festeggiamenti per il primo e il secondo anniversario del “estallido” in Plaza Dignidad e in altre piazze del paese.

E tenendo in conto anche che al primo turno l’astensionismo era stato altissimo nei municipi popolari – ovvero, “il popolo non aveva votato Boric” – ; che nel referendum costituzionale di ottobre 2020 il trionfo dell’Apruebo nel processo costituente era stato tanto più clamoroso nei quartieri popolari; e che nelle elezioni dei membri dell’assemblea costituente di maggio 2021, la presenza di liste di candidati octubristas (pur in condizioni impari rispetto ai partiti ormai delegittimati), aveva propiziato una intelligente risposta popolare alle urne.                                                                                                                                

Effettivamente, la partecipazione elettorale è aumentata notevolmente, sia in generale (da 47,3% a 55,6%), sia relativamente ai quartieri popolari, nei quali ha vinto ampiamente Boric in quasi tutte le regioni, e in molte di queste con cifre spettacolari, dal 65% al 70% o più, contro il 30% – 35% ottenuto da Kast. Secondo uno studio, la somma dei voti del tutto nuovi che ha ricevuto Boric si aggirerebbe intorno agli 800mila. Se si considera che la differenza di voti tra lui e Kast è stata di 971mila voti, questi numeri bastano da soli a spiegare il risultato finale. Inoltre, c’erano già stati travasi di voti octubristas a Boric prima di questo ballottaggio, e si calcola che avrebbe ricevuto circa 720mila dei quasi 900mila voti di Parisi al primo turno, tra i quali, possiamo ipotizzare, molti sono contrari ai soprusi neoliberali e quindi in parte simpatizzanti della rivolta (altrimenti avrebbero votato Kast).

Quello stesso studio indica che sarebbe stato fondamentale l’appoggio massiccio del voto femminile a Boric, ma proprio la mobilitazione, nelle squadre autoconvocatesi in campagna elettorale, di quel motore fondamentale della ribellione contro il neoliberalismo che è il femminismo popolare, è stata straordinaria e si palpava nelle strade il giorno delle elezioni; senza sminuire l’importante ruolo di figure femminili della campagna di Apruebo Dignidad come la leader Izkia Siches, nominata in pieno ballottaggio con una mossa audace, o le deputate comuniste (ed ex-leader studentesche come Boric) Camila Vallejo e Karol Cariola, tra le altre. Al contempo, anche su questo piano, non solo rispetto al voto femminile, l’appello a votare per Boric o la partecipazione nelle campagne autoconvocate di varie figure autonome rispetto a Apruebo Dignidad, come la machi Francisca Linconao e altr* membr* dell’assemblea costituente, Rodrigo Mundaca, Jorge Sharp, Fabiola Campillay, Gustavo Gatica o Victor Chanfreu, hanno avuto sicuramente un grande potere di mobilitazione.

È indubbio che i numeri mostrano anche un appoggio dell’elettorato “moderato”, incluso quello ex-concertazionista. Già al primo turno si è parlato molto di questo aspetto, volendo far derivare dai numeri disponibili la classica tesi che la società è moderata, “che vuole cambiamenti ma con ordine e senza violenza”, che ciò impone “grandi accordi” e che i cambiamenti profondi non si possono ottenere senza la creazione di “grandi maggioranze”. Si “dimentica” costantemente (era impressionante come tutta l’analisi mediatica, inclusa quella “progressista” convergesse su questo) che tutte le percentuali del primo turno andavano divise per più di 2, dato il 53% di astensionismo. Così, per esempio, il terribile 28% di Kast diventa un 13% (e il suo 44% del ballottaggio un 22%). L’emergere del voto popolare che ha contribuito ad assicurare la vittoria, come abbiamo visto, mette però seriamente in discussione questa tesi.

Ma soprattutto, bisogna domandarsi, da un lato, da cosa derivi il comunque alto astensionismo del ballottaggio: probabilmente c’è stata un’astensione di centrodestra, probabilmente c’è anche al fondo un fenomeno di apatia sociale. Tuttavia, molta astensione può essere anche dovuta al rifiuto antisistema.

Dall’altro lato, non bisogna dimenticare lo iato insormontabile tra la logica “rappresentativa” della democrazia (neo)liberale e la lotta popolare, l’autorganizzazione delle moltitudini e l’orizzonte di democrazia partecipativa e radicale a cui mirano. È vero che bisogna costruire “grandi maggioranze”: il punto è quali, come e per cosa. Per il momento, il voto octubrista è più un mandato che un assegno in bianco. E dato che la pratica è il parametro della verità, bisognerebbe vedere cosa succederebbe se ci fosse, più avanti, una piattaforma elettorale octubrista.

Le tensioni della speranza

Così, la mobilitazione octubrista è stata cruciale nella vittoria ottenuta. E riprendendo la tensione tra paura e speranza, è evidente che il sostegno principale è derivato dal grande coinvolgimento popolare descritto. Si parla molto del fatto che ora, con Apruebo Dignidad al governo, si potranno sostenere e rafforzare il processo costituente e la redazione di una Nuova Costituzione, che a sua volta, in una virtuosa dinamica di contaminazione positiva, generi condizioni più propizie per realizzare le trasformazioni per le quali si è tanto lottato. Tuttavia, questo è vero solo in parte, in un percorso che è tormentato da tensioni e contraddizioni. Già il processo costituente era stato smussato nella sua carica trasformatrice dall’Accordo (questione che avevamo analizzato in un precedente testo).

È vero che l’impressionante intelligenza popolare nelle elezioni costituenti di maggio 2021 aveva rimesso tutto in gioco, aprendo una breccia in quelle costrizioni. Ma, da allora a oggi, sei mesi dopo, quelle condizioni sono cambiate in negativo (dall’ottobre 2019, è sempre stato tutto vertiginosamente rapido e mutevole). Ricordiamo: le istanze di coordinamento a cui erano giunt* i candidat* più vincolat* alla ribellione si sono indebolite; i meccanismi di partecipazione popolare vincolante nel processo costituente che si era riusciti a imporre sull’Accordo (che non li contemplava) non si sono potuti sviluppare pienamente (nonostante si siano fatti passi avanti), tanto meno nei territori popolari, dove la mancanza di conoscenza rispetto al processo costituente è grande.

Inoltre, l’elevato quorum dei 2/3 che l’Accordo ha stabilito per l’approvazione nella Convención Constitucional (CC) delle norme costituzionali sono stati ratificati, e aspettano di fare da barriera alle Iniziative Popolari Costituzionali che con fatica abbiamo redatto; si è quasi persa la possibilità che sembrava avessimo ottenuto di approvare le Iniziative Popolari (almeno alcune di esse), qualora respinte dai 2/3 della CC, con un referendum intermedio risolutivo nel quale si manifesti la volontà popolare.

Infine, i tempi dell’assemblea costituente sono estremamente limitati se si intende ampliare la consapevolezza e la partecipazione de* cittadin* (altra concessione dell’Accordo). Rispetto a queste limitazioni, l’egemonia che ha saputo costruire nella Convención Constitucional il Frente Amplio insieme all’ex-Concertazione e ai partiti indipendenti è stata decisiva.

Nuove possibilità

Nonostante tutto, è possibile che, così come si sono riaperti i giochi a maggio, si possano riaprire ora, grazie alla virtuosa convergenza che si è prodotta in risposta al pericolo dell’ultradestra tra mobilitazione octubrista, campagna di Apruebo Dignidad e vittoria di Boric. Per questo diciamo che quella mobilitazione è il motore fondamentale della speranza, la qualifica come speranza attiva, ed è l’antidoto più efficace alla paura che abbiamo vissuto. Anche la pandemia, resa ancora più drammatica dalla gestione neoliberale, ha provocato profonda angoscia e paura, con il suo corredo di malattia, morte, isolamento forzato e un’estesa seconda pandemia di patologie psico-mentali derivate. È commovente che in un contesto così estremo siamo riusciti a ottenere questa vittoria. La “seconda pandemia” colpisce con più accanimento adolescenti e giovani, protagonisti fondamentali della ribellione. Il loro ritorno di massa per la campagna elettorale e nei festeggiamenti per la vittoria la domenica delle elezioni è un altro motivo di stimolo fondamentale, e in questo senso è chiaro che qualsiasi politica futura deve essere anche una terapia.

Boric e la sua squadra hanno dato subito prova, nel discorso della domenica e nelle successive dichiarazioni, di essere aperti al confronto popolare, a un dialogo e un lavoro congiunto con il “movimento di movimenti” octubrista, e il presidente eletto ha anche meritevolmente riconosciuto nel suo discorso il contributo fondamentale apportato alla vittoria dalle squadre autoconvocatesi per la campagna elettorale. All’interno dei movimenti, comunque, si discute già di concetti come “collaborazione tattica e autonomia strategica”. Ciò vuol dire che è tutto da vedere, in una dialettica aperta il cui fulcro si trova in basso, nel movimento come sostanza e motore della radicalità.

Minacce

Senza dubbio, ci sono impedimenti inevitabili e non tutte le trasformazioni sognate e necessarie si potrebbero dare dalla sera alla mattina. Al tempo stesso, stiamo parlando del recupero di diritti sociali fondamentali violati dal neoliberalismo, dalla povertà e dalla miseria (aggravate drammaticamente dalla crisi pandemica), dall’estrema e insopportabile precarietà della produzione e riproduzione della vita del popolo, della dignità della vita della classe operaia e delle classi medie, anch’esse precarizzate. Boric l’ha riconosciuto nel suo discorso: “le cause profonde del estallido sono ancora presenti, lo sappiamo”.

Allo stesso modo, sono ancora presenti la tendenza alla “moderazione”, le allusioni a un’indefinita gradualità, le simpatie con figure di spicco dei “30 Anni”. E come in tutta la Nostra America, ogni volta che un processo popolare si sviluppa e una coalizione o un partito che si oppone al neoliberalismo (sia più o meno radicale e più o meno fedele ai movimenti di base che aprono la traccia) arriva al governo, lì troverà la guerra da parte della destra, del grande capitale e dei suoi dispositivi di potere, l’assedio dell’alleanza imperial-oligarchica.

Per il momento, c’è un’intensa fuga di capitali, che preannuncia l’assedio delle forze del grande capitale, e questioni centrali come l’eliminazione del sistema privato di pensioni dell’AFP, per poter distribuire pensioni degne (una rivendicazione fondamentale della società confermata da Boric nel suo discorso), si scontreranno con il fatto che le AFP costituiscono pilastri del modello neoliberista cileno e un mercato di capitali economici per le multinazionali. La battaglia sarà molto dura e ogni titubanza sarà un diritto non conquistato.

In Cile abbiamo fin troppa esperienza quanto alla capacità di cooptazione dentro il sistema delle coalizioni “progressiste”, e da parte di queste dei movimenti popolari. È questa la storia dei trent’anni di “Transizione”. Allo stesso modo, possiamo vedere da qui, sotto una nuova luce, le esperienze di avvenimenti molto diversi, come il riassorbimento di una formidabile ribellione popolare contro il neoliberalismo quale è stata quella avviata nel dicembre 2001 in Argentina, di fronte alla sua relativa incapacità di auto-costituzione politica; la frustrazione di energie intense come quelle investite dai movimenti sociali nella campagna elettorale per il primo governo Obama; o l’impotenza della coalizione PSOE-Unidas Podemos in Spagna (molto simile a quella che sembra formarsi qui) di fronte alle imposizioni del neoliberalismo europeo. Ma guardiamo anche a esperienze come quella della Bolivia, dove nonostante tutte le tensioni e le contraddizioni tra movimenti e governi, entrambi hanno trovato forme di resistenza a un colpo di stato, senza perdere l’impulso trasformatore.

C’è perciò una certa convinzione riguardo alla necessità di massima duttilità, pazienza, capacità di ascolto reciproco e dialogo, più politica e meno ideologia, per mantenere aperta la possibilità di una dinamica virtuosa tra “movimento di movimenti” e governo, nella misura in cui questo dimostri di voler provare a realizzare cambiamenti profondi (con tutte le difficoltà del caso). E al tempo stesso, c’è la convinzione di non abbandonare la strada della creazione di contropoteri (o come diciamo qui, poteri popolari di base) e dell’auto-costituzione politica dell’octubrismo, probabilmente anche sul piano politico-elettorale.

Tutto ciò verrà messo rapidamente alla prova, di sicuro, in questioni come il bisogno di quella convergenza tra movimenti, processo costituente e governo per generare le migliori condizioni possibili per una serie minima di trasformazioni improrogabili, o la resistenza (speriamo) comune alla futura reazione, che molto probabilmente arriverà a breve, tenuto conto della posizione vantaggiosa di cui gode la destra in Parlamento, dei possenti dispositivi di potere materiale e simbolico a disposizione dei poteri reali del capitale, e dell’occhio di Sauron imperiale che tutto vede.

Rispetto a quest’ultimo, si dovranno considerare anche i risultati della politica estera del nuovo governo, ma senza dubbio si ritirerà un altro membro dall’infame Gruppo di Lima che cerca di destituire il governo Maduro in Venezuela, e si avrà una disposizione cilena più favorevole all’integrazione con l’America Latina e con le correnti anti-neoliberali che attraversano la politica internazionale. Sarà un altro fronte sul quale sostenere quanto di positivo verrà fatto, e spingere per ampliarlo.

Rimane la delicata questione del neofascismo latente che si è espresso nella campagna elettorale di Kast e nei voti in suo favore. Da un lato, in un lucido articolo apparso prima del ballottaggio, Rodrigo Karmy analizzava come si creano le possibilità per una reazione neofascista per effetto della convergenza tra una tripla morsa terrorista (repressiva, sanitaria neoliberale e socioeconomica) e l’operazione politico-narrativa di cancellazione dell’esperienza octubrista, da parte del “progressismo” neoliberale “modernizzatore”. Dall’altro lato, bisogna domandarsi se non siano il “progressismo” e la sua “condanna della violenza” ad alimentare il mostro neofascista (così ci sembra). Walter Benjamin, quasi cent’anni fa, diceva che ogni fascismo è il sintomo di una rivoluzione inconclusa. Non si tratta quindi, diremmo, di scongiurarla, ma di svilupparla pienamente. Coraggio collettivo contro la paura.

Non si tratta di “violenza”, ma di persistere nella ribellione e nelle trasfomazioni profonde. Denuncia permanente della violenza strutturale del sistema, per superarla. L’unico momento “violento” della nostra lotta è autodifensivo, di fronte al terrore che impiega il sistema e che Karmy analizza molto bene. Di fatto, la gestione neoliberale “progressista” della vita sociale (come vediamo allo stesso modo a tutte le latitudini) alimenta anche il neofascismo nella misura in cui non rompe la subordinazione della produzione e riproduzione della vita al neoliberalismo, e questo perché la precarietà strutturale non cede e l’ansia esistenziale e la paura persistono. Si alimenta quindi la “passione dell’ineguaglianza” di cui parla Rancière.

Occorre avere slancio, virtù che più volte ha dimostrato di avere la lotta popolare a partire dalla grande ribellione contro il neoliberalismo avviata in ottobre. Volontà di persistere per non chiudersi, di espandersi “verso il basso” e “verso l’alto”, nonostante gli enormi pericoli e ostacoli che si trova di fronte. Capacità di pensare e sentire. Sono il cuore di un “principio speranza”, di un laboratorio politico attivo, che, nonostante tutto e fino a qui, non desiste davanti alla paura, cercando all’orizzonte un’economia politica del bene comune, una transizione sociale ecofemminista, una plurinazionalità anticoloniale e una pratica della democrazia assoluta.

Traduzione in italiano di Maddalena Lovadina.

Diego Ortolani Delfino: biologo, ricercatore e attivista dei movimenti sociali cileni, partecipa al movimento di assemblee territoriali.

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