Pun Ngai insegna attualmente presso la facoltà di sociologia dell’Università di Hong Kong. I suoi temi di indagine sono i nuovi operai cinesi, la classe, gli studi di genere e la storia del socialismo. In Italia sono stati pubblicati: Cina, la società armoniosa. Sfruttamento e resistenza degli operai migranti. Jaka Book, 2012; Morire per un Iphone. La Apple, la Foxconn e la lotta degli operai cinesi. Jaka Book, 2015. In inglese si possono consultare: Migrant Labour in China. Polity, 2016; Made in China: Women Factory Workers in a Global Workplace, 2005. Intervista tenuta presso l’Università di Hong Kong il 25 Agosto 2019. 

Di PUN NGAI

1. Cosa riflette il movimento: la crisi profonda del potere politico

HH: Il movimento contro la legge di revisione dell’estradizione dura da oltre due mesi, e non è in declino. Come vedi lo sviluppo di questo movimento sul lungo termine, quali le opportunità?

PN: Questo movimento contro l’estradizione si è già trasformato, credo infatti che si tratti di un movimento realmente democratico, o almeno ho questa speranza. E se è un movimento di resistenza, allora non si scioglierà così presto.

Mi sembra che il movimento si trovi ora in una situazione di stallo, manca di una visione e di analisi a lungo termine. Attualmente l’obbiettivo della nostra protesta non è più solo il governo di Hong Kong, alle sue spalle c’è infatti un forte governo centrale, e questo governo centrale di Pechino si trova nel sistema globale capitalistico. Dovremmo dunque fare una analisi di ogni aspetto per elaborare una strategia adeguata, solo così sarà possibile una protesta di lungo respiro.

HH: Se il movimento di Hong Kong si trova ad affrontare mostri come il governo centrale e il capitalismo globale, le speranze sembrano deboli.

PN: Visto che il capitalismo globale è in crisi, non sarei così pessimista. La domanda è se il governo centrale possa cambiare posizione o meno. Per rispondere a questa domanda, bisogna provare a capire a quale situazione si trova di fronte il governo. Il Partito può legittimare il proprio potere grazie a 40 anni di reale crescita economica, ma oggi non si può trascurare il fatto che sta affrontando una crisi interna ed esterna.

Il fronte esterno è quello della guerra commerciale. La guerra commerciale fra USA e Cina vede una nazione economicamente forte e una in ascesa che sfida il sistema economico della prima. Questa guerra commerciale ha avuto una grande risonanza nell’intero sistema mondiale del mercato capitalistico, riflettendo così una chiara crisi dell’impianto capitalistico, come a dire che il sistema non è più ben oliato. Se non ci fossero difficoltà, il PIL cinese continuerebbe a crescere, la cosiddetta “nuova via della seta” e tutto il resto avrebbero successo, così che tutte le nostre proteste sarebbero effettivamente senza speranza. Ma in realtà la crescita economica cinese è già arrivata al suo apice negli ultimi anni, tanto che siamo ora in una fase di declino. Che dunque il potere del Partito possa o meno mantenersi stabile dipende dall’acuirsi della crisi economica globale.

Il fronte interno è caratterizzato dalle contraddizioni sociali. Ho studiato i gli operai migranti per vent’anni, ho visto come il potere ha affrontato molte sfide in ogni fase, la più grande di queste è la contraddizione di classe. Vediamo regolarmente a Hong Kong persone dalla Cina continentale  che vengono a investire nell’immobiliare, che si comprano prodotti di lusso. Si tratta però di una piccola percentuale rispetto al miliardo e tre-quattrocento milioni di cinesi, la popolazione di Hong Kong è di qualche milione ed è per questo che i cinesi che vengono a investire e consumare ci sembrano tantissimi. Ma se questi numeri li mettiamo nell’ordine di grandezza della Cina continentale, ecco che la contraddizione emerge fra decine di milioni di ricchi rispetto a un miliardo e tre-quattrocento milioni di persone. In questo caso, la crisi sociale sarebbe così profonda da essere irrisolvibile.

Con l’emergere di una tale crisi, che si dispiega sul fronte interno ed su quello esterno, è sicuro che anche Hong Kong ci sta dentro. Se guardiamo alla storia della Cina, sappiamo che ogni cambio di potere si verifica nel contesto di fortissime crisi a livello interno ed esterno, di fronte alle quali il potere non può che allentare la stretta. Con un potere indebolito, il nostro movimento di protesta come si sta preparando? Di fronte a queste crisi, noi tutti dovremmo capire quali passi in avanti bisogna fare piuttosto che trovarci così dispersi. Per questo, gli attivisti del movimento devono intanto andarsi a rivedere la storia di Hong Kong, quella della Cina continentale e il sistema economico globale, solo in tal modo si potranno formulare giudizi e prendere decisioni adeguate nel corso del movimento. E’ chiaro che si tratta di un impegno gravoso.

HH: Perché, secondo te, il Governo di Hong Kong non ha mai risposto a nessuna richiesta del movimento?

PN: Effettivamente, delle cinque richieste del movimento (ritiro della legge di revisione dell’estradizione. Ritirata il 4 Settembre 2019, dopo questa intervista; dimissioni di Carrie Lam, capo dell’esecutivo di Hong Kong; inchiesta indipendente sulla polizia; rilascio degli arrestati; democrazia), alcune sembrano avere già un forte consenso sociale, perché sono giuste e ragionevoli. Per esempio, istituire una commissione di inchiesta indipendente con un giudice e persone che godano di una buona stima sociale, una tale commissione non sarebbe probabilmente sbilanciata da una parte. Si tratterebbe di una riforma, un modo per dare a tutti una via d’uscita. Eppure, dopo aver pagato un costo sociale così alto, con così tante persone a protestare quotidianamente per strada, ancora non si vede alcuna risposta.

Come marxista, sono abituata a formulare analisi di economia politica. Questo tipo di approccio in realtà è semplice, devi vedere chi rappresenta il potere, di chi è il potere. Dopo il “ritorno” di Hong Kong alla Cina nel 1997, il Partito comunista cinese si è appoggiato sui grandi gruppi finanziari, le classi superiori e una ristretta élite che dominano Hong Kong. Anche se il movimento è molto forte, non ha tuttavia ancora messo sotto adeguata pressione questo blocco di potere costringendolo a farsi da parte. E’ questo, credo, il motivo per cui il governo non risponde e rifiuta le cinque richieste.

2. Come implementare il movimento: pratiche di discussione e organizzazione

HH: Quindi come pensi che questo movimento possa continuare a radicarsi per mettere pressione sul blocco di potere?

PN: Penso che un movimento sia costituito da tre elementi: discussione, organizzazione, azione. Questo movimento manca di discussione e organizzazione, a tutti piace agire, ma noi vecchietti abbiamo la perseveranza dei vecchi (ride). Sul piano della discussione, dobbiamo innanzitutto analizzare come le contraddizioni sociali di Hong Kong siano arrivate a un punto così acuto. Come ho detto prima, i grandi gruppi finanziari e capitalistici monopolizzano il potere politico. Finanche la borghesia dei medici, degli avvocati, dei docenti universitari è esclusa da questo potere politico, per questo la trovi nel movimento. Inutile parlare della classe media e bassa.

Oggi, sia il governo centrale che quello di Hong Kong pongono al centro del dibattito la questione del “benessere”, dirigono gli apparati preposti alla formazione dell’opinione, si auto-legittimano e con la questione del benessere del popolo vanno a sostituire quella della democrazia, così da sviare l’indignazione popolare. Ora, trattando la questione del benessere del popolo, una parte dei dimostranti si oppone subito negando l’importanza del tema, perché quel che vogliono è la democrazia. Così la discussione fra le due parti produce un’opposizione fra benessere e democrazia. Parlando da una posizione di sinistra, una crisi politica esprime sempre una crisi generale, essa porta con sé sempre un crisi sociale, economica e culturale. Il 5 agosto, giorno dello sciopero generale, tante persone hanno dovuto per forza andare a lavorare. Tutti sanno che lo sciopero non richiede grandi sacrifici, non c’è sangue, e allo stesso tempo ha la capacità di influenzare direttamente l’economia, perché fa pressione sul blocco di potere. Perché in tanti non hanno partecipato? Perché a Hong Kong non abbiamo sussidio alla disoccupazione e non ci sono fondi a sostegno dello sciopero (si veda per esempio lo sciopero dei portuali di Hong Kong del 2013: https://www.hkctu.org.hk/zh-hant/content/donate-strike-fund), e queste sono questioni attinenti al “benessere” del popolo. Il problema del benessere come si risolve senza democrazia? La cosiddetta democrazia, è risolvere insieme i problemi comuni della nostra vita. La democrazia non è astratta, benessere e democrazia sono legati indissolubilmente. Quindi secondo me, per implementare il movimento, dobbiamo riprenderci il completo diritto di parola e discussione degli aspetti profondi che stanno alla base della crisi di Hong Kong. Oltre a ciò, dobbiamo approfondire la discussione sulle “cinque richieste”, bisogna analizzare e discutere più a fondo ognuna di queste richieste, arricchire il loro significato, far sì che ogni partecipante si esprima pienamente, perché è questo il senso della democrazia.

HH: Dal punto di vista organizzativo, come vedi il modello di questo movimento di protesta democratico “senza leader”?

Il movimento degli ombrelli ( http://www.ultra-com.org/project/black-versus-yellow/)aveva dei leader, la sua sconfitta ha reso reso tutti consapevoli della questione della leadership. Il movimento di ora prende le decisioni sul da farsi sul momento oppure solo oggi sai cosa si fa domani. Fatta una proposta, non si sa quanti la seguano, cinquemila persone, diecimila, duecentomila, tutto è possibile. L’utilità della guerriglia è che non c’è un capo fisso, il potere non può arrestarti subito; senza una leadership che impartisce ordini, l’organizzazione del movimento è molto flessibile e vitale.

Ma dopo due, tre mesi il problema diventa chiaro: questa prassi democratica è troppo estemporanea, a tale proposito utilizzo spesso l’espressione “democrazia agli spaghetti istantanei”. Istantaneo o temporaneo si riferisce al fatto che si tratta di una democrazia non pienamente dibattuta, così che è il fronte avanzato della protesta a dover decidere. Non abbiamo possibilità di far incontrare e discutere a pieno le diverse opinioni dentro il movimento per arrivare a una posizione comune, consensuale su cui tutti si basano per proseguire nello scontro. Gli inconvenienti dell’organizzazione sono i tempi lunghi, l’irrigidimento e il deterioramento, ma i lati positivi sono la possibilità di avere una piena discussione e una pratica democratiche. L’organizzazione offre un territorio delimitato per praticare la democrazia, sulla base di idee comuni rende possibile l’espressione di diverse opinioni  e la ricerca di comuni denominatori.

L’attuale democrazia istantanea del fronte avanzato difficilmente potrà arrivare a un movimento realmente democratico. Un movimento sociale ha bisogno di un’ampia base sociale. Per avere un movimento di protesta di lungo corso, abbiamo bisogno di una analisi approfondita dei diversi strati sociali. Certo, con alcune classi non possiamo stare insieme. Nei gruppi con cui possiamo unirci dobbiamo capire se le persone con una diversa estrazione adottano una posizione di “pace, ragionevolezza e non violenza” oppure se sono radicali ( che poi queste due posizioni al loro interno ne hanno diverse altre). Il bisogno di organizzazione del movimento, significa che le persone di ogni differente estrazione hanno la possibilità di trovare il proprio posto nel corso del movimento, così il movimento può farsi onda di marea dove ogni persona con la propria posizione partecipa al conflitto.

A volte la radicalità di un fronte avanzato è necessaria, non nego questa strategia, ma alle spalle del conflitto radicale serve l’unione. Anarchia, guerriglia vanno bene, appartengono tutti alla tradizione dei movimenti della sinistra. Ma ciò che tutti devono capire è che in questa tradizione, anarchia e guerriglia hanno bisogno di organizzazione.

3. “Collegamento, indipendenza e non isolamento”: alla ricerca di compagni di strada nel movimento.

HH: Una delle strategie del movimento è cercare l’appoggio di governi stranieri (occidentali) o supporto internazionale di massa. Che ne pensi?

PN: Come internazionalista, appoggio il collegamento internazionale. Ma l’unione internazionale non può assolutamente fidarsi di alcun potere politico. Oggi, a livello globale il neoliberismo è già entrato nell’epoca populista. Il modo di fare della Cina non è molto differente dal potere statunitense di Trump. Guarda a come gli USA respingono i migranti provenienti dall’America latina, o guarda al nuovo premier inglese… praticamente quasi tutti i poteri politici si sono spostati verso una destra dittatoriale, nessuna ragionevolezza, nessuna democrazia, nessun ascolto del popolo. Per questo penso che non ci sia poi tanta differenza tra gli USA e la Cina. Quindi non penso proprio che il movimento di Hong Kong debba collegarsi col governo americano o inglese. Non penso proprio che il nostro movimento debba andarsene sventolando la bandiera statunitense o inglese, queste azioni hanno un’influenza negativa.

Non è dunque possibile avere collegamenti internazionali? Al contrario. Dobbiamo capire chiaramente chi sono i nostri amici e chi i nemici. Più sono gli amici meglio è, giusto? Quindi devi guardare al popolo. Dobbiamo dunque collegarci a livello globale con le forze di protesta, sindacali, di organizzazioni democratiche, di base, popolari, con chi cerca la giustizia democratica.

HH: Oltre ai collegamenti internazionali, c’è possibilità che il movimento di Hong Kong si colleghi con le masse della Cina continentale?

Oltre a dover cercare l’appoggio popolare internazionale, il movimento di Hong Kong sul lungo periodo deve per forza cercare l’appoggio popolare della Cina continentale. Di fronte al potere e al capitale, siamo tutti deboli. Ma se ci appoggiamo ai numeri, siamo la maggioranza. Certo sono forti, ma sono minoranza. Hanno gli apparati di propaganda, il potere politico e finanche gli eserciti e i soldi. Ma dobbiamo ricordarci che a Hong Kong siamo 7 milioni; in Cina sono un miliardo e quattrocento milioni.

Al momento il movimento di Hong Kong ha una tendenza populista. Se tutto il movimento diventa anti-cinese, significa che non ha compreso quanto è enorme la distanza tra governo e popolo. Gli studenti cinesi che vengono a Hong Kong e sono esclusi, i cinesi che vengono a Hong Kong e che vengono continuamente insultati… così tutto il popolo cinese diventa un obbiettivo della protesta, non è questo il modo di fare corretto. Dal momento che nella Cina continentale le informazioni sono interamente controllate, il nostro ruolo è di mettere in contatto le popolazioni dei due territori. Le distorsioni che l’informazione cinese opera sul movimento di protesta di Hong Kong, i controlli dei contenuti dentro gli smartphone alla frontiera (tra Hong Kong e la Cina continentale) etc etc da questo noi capiamo bene che ciò che il governo teme è proprio la possibilità di comunicazione fra le popolazioni.

Facendo un passo avanti, dovremmo pensare a come Hong Kong possa porsi come esempio, è un ruolo questo che richiede collegamento e indipendenza ma non isolamento. Il cosiddetto non isolamento significa non guardare solo a sé stessi pensando che la Cina e l’estero non ci riguardino (tante persone a me vicine così la pensano). Un movimento di lungo corso per avere forza dovrebbe pensare a come le genti cinesi, gli oppressi possano avere un linguaggio comune con noi e condividere le medesime richieste.

HH: Questo movimento ha polarizzato la società, le diverse visioni diventano sempre meno compatibili. All’interno dell’università anche ci sono posizioni differenti, per esempio nell’Università di Hong Kong fra gli studenti locali e quelli della Cina continentale.

PN: Penso che ci siano due livelli su cui operare.

Il primo: come comunicare con la base. È comprensibile che gli universitari abbiano un atteggiamento elitario, ma credo che tale atteggiamento vada eliminato, solo superato questo si può arrivare a una comunicazione di base. Come ci si arriva? Bisogna entrare nelle comunità. Quando se ne ha l’occasione, bisogna andare nelle diverse comunità della gente, approcciare i diversi gruppi del popolo, e comunicare. Anche se le opinioni sono diverse, bisogna ascoltare. E quando torni (nell’università) fai l’analisi. Entrare nelle comunità è uno dei momenti fondamentali del mio insegnamento universitario. Sono stata nell’Università di Pechino per sette anni, ogni anno portavo gli studenti nelle fabbriche, nei cantieri, nei villaggi di campagna, a far dialogare la gente del popolo con quegli studenti d’elite dell’Università di Pechino. Entrare nelle comunità è una parte fondamentale dell’educazione democratica.

Il secondo: la comunicazione con la Cina. Data la situazione attuale è inutile andare in Cina, perché tantissimi studenti cinesi vengono a studiare a Hong Kong. Vogliamo o no dialogare con loro? Vogliamo o no fare dei gruppi di studio con loro? I gruppi di studio non servono al curriculum formale, ma sono attività extra, ed è in questo modo che espressioni differenti possono emergere. Visto che non sono collegate al voto, ci si partecipa per vero interesse e si costruiscono gruppi, in questo modo gli studenti di Hong Kong e della Cina continentale possono discutere insieme. Da una parte si possono conoscere meglio le istituzioni cinesi, il modo di pensare, i problemi sociali. Dall’altro, gli studenti locali possono presentare ai cinesi le problematiche di Hong Kong. Date le aspettative di entrambe le parti, locali e cinesi possono approfondire vicendevolmente la conoscenza della propria storia.

(Traduzione a cura di DG)

Versione originale

Per un veloce riepilogo degli eventi del movimento di Hong Kong: HK democratic M 2019 o anche: 116 Days of Hong Kong Protests. How Did We Get Here?

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