di MARCO BASCETTA. In Fran­cia le chia­mano bavu­res, «sba­va­ture». Il ter­mine sta a indi­care un inter­vento di poli­zia che com­porta tra i suoi «effetti col­la­te­rali» vit­time inno­centi. Si intende che la «sba­va­tura» non è altro che una imper­fe­zione tale da non met­tere in discus­sione le moda­lità delle forze dell’ordine e il mono­po­lio «legit­timo» della vio­lenza loro rico­no­sciuto. Fatto sta che le bavu­res, si pro­du­cono gene­ral­mente in un tea­tro pre­ciso, le ban­lieue, e col­pi­scono un ber­sa­glio ben deter­mi­nato: il gio­vane di colore. Rice­vendo in rispo­sta estese e con­ta­giose rivolte.

In Ita­lia, le forze di poli­zia, di «sba­va­ture» ne hanno col­le­zio­nate parec­chie. Ma qui usiamo altre ter­mi­no­lo­gie, dal «colpo acci­den­tale» alle «mele marce», quando mal­grado ogni sforzo, l’azione degli agenti appare indifendibile.

Eppure, anche nei casi più evi­denti di gra­tuita bru­ta­lità poli­zie­sca non si sono regi­strate nel nostro paese estese pro­te­ste di piazza, né vio­lente, né paci­fi­che. Perchè?

La rispo­sta più imme­diata è che da noi manca, almeno nelle pro­por­zioni cono­sciute dagli Usa e dalla Fran­cia, l’elemento raz­ziale e cioè una con­si­stente fetta di popo­la­zione «etnica» discri­mi­nata e man­te­nuta in una con­di­zione di esclu­sione sociale e di diritti negati.

Ma c’è un’eccezione, una città nella quale, sep­pur estra­neo al colore della pelle, l’elemento «raz­ziale» è cul­tu­ral­mente ben pre­sente. Que­sta città è Napoli dove ieri è stato fred­dato dai cara­bi­nieri un ragazzo di 17 anni, reo di non essersi fer­mato all’alt, ten­tando la fuga insieme ad altri due gio­vani a cavallo del moto­rino su cui viag­gia­vano. Il colpo fatale è natu­ral­mente «par­tito per acci­dente». E un colpo acci­den­tale, quand’anche que­sta impro­ba­bile ver­sione dovesse reg­gere, non può che essere stato esploso da un’arma sfo­de­rata e con il pro­iet­tile in canna.

Ma dov’è che si sfo­de­rano le pistole e si levano le sicure? Ovvia­mente in un ter­ri­to­rio ostile, popo­lato dal nemico, tea­tro di innu­me­re­voli insi­die. Dove ogni abi­tante è sor­ve­gliato spe­ciale se non diret­ta­mente sospetto. Que­sta è l’idea con la quale le forze dell’ordine pat­tu­gliano diversi quar­tieri di Napoli, non tanto diversa da quella col­ti­vata dai Flic a Saint-Denis, o dalla poli­zia che setac­cia i quar­tieri neri di Los Ange­les o Fer­gu­son. Nes­suno neghe­rebbe che que­sti luo­ghi pre­sen­tino un alto tasso di cri­mi­na­lità non­ché dif­fuse pra­ti­che ille­gali di soprav­vi­venza. E tanto basta per rubri­care intere popo­la­zioni sotto la voce «classi peri­co­lose» ed ela­bo­rare i rela­tivi modelli di con­trollo e repressione.

È in que­sto con­te­sto che le «sba­va­ture» ten­de­ranno ine­vi­ta­bil­mente a mol­ti­pli­carsi. Non c’è da stu­pirsi, allora, se gli abi­tanti di que­sti quar­tieri per­ce­pi­scano le forze dell’ordine come forze d’occupazione. Di que­sto stato d’animo Napoli ci ha mostrato già le prime mani­fe­sta­zioni: gente in strada, auto della poli­zia distrutte, rab­bia popo­lare con­tro gli uomini in divisa.

Non siamo ancora a Fer­gu­son, ma forse già nei suoi din­torni. I «colpi acci­den­tali» rischiano di costare molto cari.

Questo articolo è stato pubblicato da il manifesto del 6/9/2014

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