Di MARCO BASCETTA
Nel cercare di comprendere la natura dei movimenti, la loro direzione di marcia, il posto che occupano nella sfera politica si rischia sempre di essere prematuri o inattuali. Del resto ogni movimento sociale è attraversato da flussi emotivi e bisogni profondi in buona misura inconoscibili. Perfino per quanti vi sono interamente immersi l’insorgenza di un movimento ha qualcosa di miracoloso: una rottura imprevedibile e stupefacente dello scorrere ordinario del tempo sociale. Ciò vale a maggior ragione nelle fasi aurorali come quella che la mobilitazione delle “sardine” sta oggi attraversando. Così, rinunciando preventivamente a stabilire chi siano e verso quali sponde muovano, si possono nondimeno cogliere alcuni segnali che parlano alle nostre facoltà di comprensione.
A PARTIRE dal contesto in cui il fenomeno si manifesta. Ovverosia la larga diffusione di un senso comune dominato dalla paura e dal risentimento (forma debole e passiva dell’odio) che reclama l’intervento salvifico di un potere “pieno” capace di perseguire senza impedimenti i presunti responsabili del disagio sociale e individuale. Ristabilendo a questo scopo una serie di gerarchie: prima gli italiani degli stranieri; prima la nazione dell’Europa; prima la famiglia tradizionale di ogni altra forma di legame; prima la “vita sana” della libertà di scelta; prima la punizione dei reprobi che la lotta contro le ingiustizie. E così via, in un complesso ideologico di carattere classicamente reazionario, che ha trasformato il tema della sicurezza in una forma di vera e propria superstizione popolare.
È in opposizione a questo ambiente e al fracasso aggressivo dei suoi portavoce che migliaia di persone, secondo una geografia sociale piuttosto indefinita, si stanno radunando spontaneamente nelle piazze italiane, richiamandosi all’immagine del banco di sardine ma, guardando al cielo autunnale di Roma, si potrebbe pensare anche alle fitte evoluzioni degli storni. Laddove la massa delle singolarità (unita, ma distinta nei suoi singoli componenti) si misura con il corpo organico e fusionale del popolo leghista guidato dal suo “capitano” , trasformandosi in “massa critica”, in potenza (in senso filosofico e non militare) acefala e inafferrabile.
VI È DUNQUE una differenza genetica tra questa aggregazione di singoli e gli “italiani” inventati dal neonazionalismo, ma c’è anche una invasione di campo che mette a dura prova i nervi della destra. Quest’ultima ha bisogno dei bagni di folla, di sentirsi , esibirsi e fotografarsi come massa. Non basta la certificazione dei sondaggi per accreditarsi come “guida” del popolo.
LE PIAZZE piene di una presenza altra e oppositiva compromettono la rappresentazione e l’autorappresentazione del cosiddetto populismo, fattori non certo secondari della sua forza politica. Il quale reagisce con lo strumento che gli è più caro; le teorie del complotto. Secondo le quali, dai “Protocolli dei savi di Sion” alla mitologia che Orban ha costruito intorno a George Soros, ogni movimento d’opposizione è considerato il frutto di un disegno politico, di una congiura, di un’oscura macchinazione. Per quanto screditato, l’argomento in mancanza di meglio viene puntualmente riesumato.
La “massa critica” delle sardine non avanza, per il momento, rivendicazioni. Né di natura economica, né di carattere politico. Non si pretende un movimento degli “onesti” contro i corrotti, non invoca manette o punizioni esemplari come gli indignati dell’epopea antiberlusconiana.
PRESUMIBILMENTE perché percepisce che su quella strada non si spezza il clima risentito e vendicativo al quale ci si intende ribellare. Assai più probabilmente si finirebbe col rafforzarlo. Nemmeno si manifesta come una forma di patriottismo costituzionale. Intuendo, forse, che alla Costituzione non si può chiedere di liberarci di tutti i veleni che circolano nelle vene della società italiana. Crea però un luogo politico in cui sensibilità consonanti convergono dando vita, come testimoniano i volti, le parole e le immagini, a momenti di “felicità pubblica”. Costituisce una presenza collettiva che si vuole immediatamente significativa e crea così un ambiente all’interno del quale azioni e idee possono svilupparsi. In quali forme e con quale radicalità sarà l’impatto con i poteri dominanti a determinarlo.
Le sardine sembrano nuotare, intanto, nelle acque di un senso comune da sovvertire e ricostruire, della contrapposizione culturale. Non in quelle dei programmi, delle piattaforme e delle indicazioni politiche.
Volendo ricorrere a una suggestione filosofica spinoziana si danno come un movimento di resistenza contro le “passioni tristi”, contro quella perversione del desiderio di sicurezza che si traduce in obbedienza e sottomissione. Che reprime e blocca ogni piena espressione di libertà.
Contro quel sistema della superstizione che la Lega e i suoi alleati alimentano attraverso la quotidiana e martellante mistificazione della realtà. Fuori dalla destra piacciono a tutti, le sardine. Se ne lodano la discrezione, la gentilezza, i buoni sentimenti. Piacciono anche a chi il discorso d’ordine leghista ha inseguito, blandito, assecondato o contribuito implicitamente a costruire. Dal Pd dei Renzi e dei Minniti ai pentastellati, a tutta la tradizione manettara o antimovimentista e benpensante della stampa italiana.
CI VEDONO addirittura l’antidoto all’“antipolitica” e la restaurazione di un galateo della moderazione. Ma questi estimatori rischiano fortemente di essere presto inclusi nell’atmosfera politica e culturale che le sardine sembrano ritenere irrespirabile. L’accorrere nelle piazze, infatti, è anche un segno di insofferenza per la povertà del discorso pubblico, per la stucchevole ripetitività della pattuglia dei predicatori e degli eterni commentatori della politica italiana.
Questa insorgenza avrà qualche effetto sugli equilibri politici o elettorali? Alcuni lo sperano, altri lo escludono e i più si arrovellano su come indirizzare il movimento nelle vene esangui della sinistra. Ma non è certo la questione più rilevante. Per ora si è data a vedere una massa critica che può scombinare i giochi e spezzare l’incantamento scaturito dal piffero leghista. Attraverso una presenza sempre più numerosa, parca di parole e priva di bandiere.
Questo articolo è stato pubblicato su il manifesto il 27 novembre 2019.