Riprendiamo qui l’intervista a Veronica Gago del 30 marzo per Radio Onda d’Urto, che può essere ascoltata qui
DI RADIO ONDA D’URTO e VERONICA GAGO.
Intervista alla docente universitaria e attivista di Ni Una Menos, Verónica Gago. L’intervista è stata fatta tra sabato 28 e domenica 29 marzo, prima del prolungamento dello stato d’emergenza e della quarantena da parte del governo Fernandez.
Ciao Veronica, ci racconti come i movimenti sociali, soprattutto quelli femministi stanno materialmente affrontando la crisi?
In questa situazione di quarantena ci sono molto organizzazioni sociali, con moltissime donne, che stanno lavorando in prima linea in differenti zone o quartieri dov’è impossibile applicare la misure disposte dal governo per motivi di classe. Parliamo di territori che non hanno acqua corrente, e quindi queste organizzazioni lavorano per garantire quotidianamente che ci siano le misure igieniche basilari. In più è difficile trovare alimenti, c’è un grande problema di inflazione così si stanno creando reti solidali per recuperare cibo. Si sta cercando di costruire una sorta di mercato e circuito economico o popolare per combattere l’inflazione della rete “normale”. Poi vi è un grande lavoro di accompagnamento, fatto da reti femministe, che intervengono su situazioni di violenza che vengono esasperate dalle misure di confinamento. Le linee ufficiali di appoggio per violenze subite sono esplose per la quantità di chiamate ricevute e così le reti femministi cercano di stabilire una linea di contatto, dicendo alla donna di non stare sola e non sentirsi sola e per accompagnarla.
E poi c’è una lotta per difendere i posti di lavoro, perché oltre alle minacce di riduzione di personale, stiamo vedendo licenziamenti e cacciate dai posti di lavoro tra chi è informale, cioè chi non ha un contratto e quindi c’è una rete di accompagnamento per affrontare questa situazione.
Ci stiamo anche chiedendo come continueremo a coordineremo quando le misure di confinamento saranno più dure e le strade vuote.
Tutto questo a pochi giorni dall’8/9 marzo. Non facile?
È strano parlare dello sciopero femminista dell’8/9 marzo visto che una settimana dopo, almeno qui in Argentina, si è completamente modificata per l’arrivo della pandemia. Sappiamo che in Italia non c’è stata nemmeno la possibilità di fare lo sciopero mentre in Spagna dopo le manifestazioni è partito un percorso di criminalizzazione della manifestazione perché irresponsabile visto la presenza del Covid-19. In Argentina la due giorni è stata molto grossa. Ma forse la cosa più importante da dire che è stata una mobilitazione moltitudinaria in tutta l’America Latina. Quello che abbiamo visto è un processo politico in crescita, sempre più potente, per questo è importante segnalare la grande giornata di sciopero in Cile, che certamente è da inserire dentro al percorso di rivolta del paese, ma ha avuto anche accenni di novità e anche quello che è successo in Messico dove per il primo anno lo sciopero femminista è stato un vero sciopero e la discussione attorno alla sciopero è stata ampia e diffusa. In Argentina il tema centrale è stato quello del debito e dell’indebitamento, il motto era “il debito è con noi, non con la Chiesa né con il Fondo Monetario Internazionale”. Questo nasce da un lungo processo politica che lega l’indebitamento nazionale con il Fondo Monetario Internazionale e come questo indebitamento si traduce dentro l’economia domestica in un impoverimento generalizzato e come il debito delle famiglie e individuale è una forma di sostegno alla crisi ma diventa anche uno strumento di sfruttamento delle economie più precarie. Il tema è stato messo in primo piano in questo 8/9 di marzo e si è cercato di ribaltare la questione. Dire il debito è con noi è come dire che noi dobbiamo riappropriarci della ricchezza che ci è stata sottratta dopo averla prodotta. Poi certamente c’è stato un altro tema. Quello dell’aborto. Eravamo alla vigilia della proposta della discussione portata dal presidente Alberto Fernández all’esecutivo per la discussione sull’aborto. E l’idea era quella di continuare a premere su questo punto anche, oltre a quello sul debito, nella congiuntura politica aperta dall’inizio del governo del nuovo presidente. Ma tutto questo ora è in paura a causa della pandemia.
E invece che succede nel resto del continente, anche sull’emergenza sanitaria c’è un processo di legame tra i movimenti femministi latino americani?
Credo che il seguito dell’8/9 stia, in Latino America, nella riflessione che i collettivi femministi stanno facendo sulla crisi che è stata generata dalla pandemia. Sappiamo che gli effetti in America Latina saranno devastanti, veniamo da anni di privatizzazioni e saccheggi, fatti dal sistema neoliberale, al sistema sanitario, ma anche di popolazioni estremamente precarie. In Argentina il 40% lavorano nell’economia informale tra lavori ambulanti o di strada così come nell’economia popolare e quindi della difficoltà di questi soggetti di poter stare in quarantena perché vivono, di fatto, di quello che guadagnano giorno per giorno. L’impatto economico e sociale rischia di essere catastrofico. In Argentina usciamo ora da due anni di recessione economica e già stiamo sentendo i primi effetti economici che derivano dalle misure di contenimento. Come dicevo prima vediamo una crescita dei prezzi dei beni di prima necessità, alimentari e sanitari. Quindi i movimenti femministi stanno ponendo alcune domande nelle discussioni sulla crisi, ovvero cosa significa la precarizzazione della vita, cosa significa la cura come lavoro essenziale, cosa significano i vari dispositivi che hanno colonizzato la riproduzione sociale per estrarre da lì valore, cosa significa che oggi tutte queste misure di contenimento abbiano un’esposizione estrema davanti alla crisi. Per noi è molto importante continuare a spingere questa discussione a livello transnazionale e porre questa chiave d’azione e d’interpretazione della crisi, perché vediamo che questa è accompagnata da dispositivi securitari, razzisti e sessisti, non per nulla vediamo un aumento dei casi di violenza domestica negli ultimi giorni dovuto al confinamento obbligatorio. Quindi siamo diverse di diversi collettivi e di diversi paesi e stiamo articolando un diagnostico comune, femminista, di quello che significa leggere e comprendere la crisi con un’ottica femminista così come dello sgombero, così rapido, di tutti quelli che stavano in strada e ora sono obbligati al confinamento. È molto importante quindi vincolare i diversi femminismi partendo da ciò che è stato discusso, politicizzato, organizzato attorno allo sciopero internazionale e metterle in comune con questa situazione globale di crisi.