Di MARCO BASCETTA
Un libro appena giunto nelle librerie in Germania, ma discusso già prima della sua uscita agita le acque turbolente della Linke, il partito della sinistra radicale tedesca. Ne è autrice Sahra Wagenknecht, dirigente storica del partito di cui è stata anche vicepresidente e capogruppo al Bundestag. Il libro si intitola Die Selbstgerechten (i presuntuosi, compiaciuti, pieni di sé) e prende di mira, con uno stile del tutto privo di tatto, quella sinistra ampiamente presente nel suo stesso partito, per non parlare dei movimenti che ruotano intorno alla crisi climatica, alle discriminazioni di genere e di razza che Wagenknecht ritiene colpevole, per dirlo in una parola, di non assumere un punto di vista di classe, rappresentando piuttosto minoranze e ceti benestanti. Non sono posizioni nuove per una esponente della Linke rimasta sempre vicina all’ortodossia socialista e incline a una valutazione alquanto comprensiva della scomparsa Rdt. Conseguentemente ostile nei confronti di una sinistra liberale sempre più caratterizzata da posture etiche, dal proporsi come «stile di vita» e come paladina dei diritti civili delle minoranze invece di rappresentare gli interessi degli sfruttati.
UNA DISTANZA dagli «ultimi» imputata anche al Sessantotto tedesco e al suo mancato appuntamento con la classe operaia. Ricorrenti sono anche la critica di una visione romantica e umanitarista delle migrazioni che ne ignorerebbe gli effetti di dumping salariale, il giudizio sull’irriformabilità dell’impianto neoliberale dell’Unione europea e la scelta dello stato nazionale come unico spazio di costruzione di una democrazia sostanziale. Nuovo è invece il contesto e la fase politica sui quali il libro della Wagenknecht aspira ad incidere, nonché i toni ferocemente polemici quando non liquidatori riservati alle posizioni diverse dalla sua. Il contesto è quello di una grande espansione di movimenti come Fridays for Future, Black Lives Matter, Unteilbar che coinvolgono gran parte della gioventù orientata a sinistra, circostanza che ha spinto un esponente della Linke a definire il libro «una dichiarazione di guerra contro centinaia di migliaia di giovani nostri elettori».
Già, perché le elezioni si avvicinano e Wagenknecht l’ha spuntata ancora una volta a farsi eleggere capolista nel Nordreno- Westfalia. Con l’aria che tira è una scelta elettoralmente assai pericolosa. In generale molte voci si sono levate nella Linke per sottolineare l’incompatibilità delle prese di posizione della candidata con il programma del partito e il suo attuale corso politico, fino ad accuse, decisamente infondate, di razzismo e contiguità con la destra estrema di Alternative fuer Deutschland.
Wagenknecht, per parte sua, respinge con forza ogni connotazione «rossobruna». Ed è infatti altrove, nell’ortodossia socialista, la radice delle sue concezioni antilibertarie.
Questa ennesima lacerazione nella Linke dimostra come la contrapposizione astratta o pretestuosa tra diritti civili e difesa delle minoranze da un lato e interessi di classe dall’altro, sia tutta interna al campo della sinistra. Laddove i primi vengono stigmatizzati come oggetti di una «politica identitaria» fondata su un umanesimo ammodernato alla sola portata dei redditi medio-alti: la protesta di quelli che se lo possono permettere. E in alcuni casi può essere davvero così. Ma come chiamare allora la pretesa che sia ancora e solo l’orizzonte di un lavoro inesorabilmente sempre più scarso a conferire senso e identità?
COME NON ACCORGERSI che i «semplici» sono diventati molto più complicati che il rapporto di forza tra dominati e dominanti si articola in una pluralità di fattori solo in parte riconducibili a quello tra capitale e lavoro? Peraltro è ormai da decenni che qualità relazionali, linguaggi, inclinazioni culturali, gusti e stili di vita sono stati convertiti in fattori (precari o gratuiti) di produzione. Ed è da questa realtà che ogni politica redistributiva deve poter prendere le mosse. Il dilagare dei movimenti di cui Wagenknecht diffida è anche il portato di queste trasformazioni. Parteciparvi in forme non strumentali è dunque una delle premesse per ridefinire rapporti di classe e linee di conflitto.
Posizioni come quella di Wagenknecht, (di cui non mancano certo esempi in Italia e in Francia) poggiano su un’idea di omogeneità sociale del tutto irrealistica e su uno strumentario sociologico inservibile nel tenere il passo con quella che Guy Standing definì anni fa, riferendosi al precariato, una «classe in divenire». Se davvero si punta ad essere «maggioranza» come l’autrice del libro si prefigge non è tornando alle certezze d’un tempo che questo risultato potrà essere raggiunto.
Questo articolo è stato pubblicato su il manifesto il 15 maggio 2021.