di CHIARA COLASURDO.  (Nell’ultimo periodo si stanno intensificando esperimenti, anche molto diversi tra di loro, di riappropriazione degli spazi di decisione urbani e di rivendicazione del diritto alla città. Un neomunicipalismo ancora tutto da indagare, che guarda a esperienze europee come quelle di Madrid e Barcellona, provando a declinare nelle trasformazioni metropolitane la produzione di coalizioni dal basso e la necessità di “costruire potere nella crisi”, per dirla con il tema della nostra scuola estiva di quest’anno. Proviamo ad aprire percorsi di inchiesta su questi laboratori, cominciando da un intervento sull’esperienza napoletana di “Massa critica” – red.).

…in comune abbiamo soltanto divieti.

Che senso hanno allora le mie visioni? Che peso per me

possiedono i sogni? Ma possiedono un peso i sogni?

Ovidio, Le Metaforfosi – Libro IX

 

 

È sempre complesso narrare un esperimento mentre si sta svolgendo. Soprattutto se l’esperimento in questione è politico e sociale. Massa Critica, il processo di democrazia dal basso che si è attivato il 5 settembre di quest’anno a Napoli, è una scommessa che movimenti, sindacati di base, comitati associazioni e singoli hanno colto, rinunciando ciascuno a pezzetti di soggettività, con l’impavido obiettivo di riappropriarsi del diritto di decidere sulla propria vita e sul proprio territorio. Contestualmente, l’esperimento attiene anche alla reale possibilità di allargare quelle maglie che, attraverso il linguaggio e l’agire, i movimenti hanno tessuto troppo strette per essere comprese e condivise dalla maggioranza della società. Va altrettanto sottolineato, però, che negli ultimi anni Napoli ha vissuto una felice proliferazione di occupazioni a scopo culturale, sociale ed abitativo, inedita nella storia dei movimenti napoletani se non si risale agli anni ‘70, ed anche una ipersensibilizzazione popolare rispetto all’azione democratica diretta. Fenomeni – questi – sicuramente legati all’aggravarsi delle condizioni di indigenza delle classi subalterne non solo cittadine, nonché ai “fatti di devastazione e saccheggio” perpetrati a danno dei territori e della salute delle persone che li abitano, e che hanno fatto della regione Campania un caso negativamente emblematico. Questo è l’humus sociale da cui Massa Critica trae origine e, ad avviso di chi scrive, il substrato culturale che ha determinato la vittoria di De Magistris alle elezioni amministrative del maggio 2011, che pure, nell’ultimo quinquennio ha riconosciuto come legittimo il potenziamento e l’irrobustimento di processi di resilienza.

Provando, dunque, a procedere attraverso domande, una prima, di partenza è stata: come è possibile che forze che genuinamente lottano per la giustizia sociale siano minoritarie? Decostruendo questo paradosso, Massa Critica prova a costruire organizzazione, metodo e coscienza politica attiva in modo diffuso sul territorio metropolitano. Dal momento che parliamo di un “evento di durata”, che peraltro ha l’ambizione di sedimentarsi e divenire costitutivo di un nuovo modello di organizzazione democratica della società, è opportuno approfondire la questione del metodo. Certamente il modello assembleare è la base organizzativa, dare la parola a tutti attraverso appuntamenti aperti pubblicamente convocati. C’è poi una funzione di approfondimento tematico su nervi scoperti della città che è svolta dai tavoli di lavoro, anche questi pubblici, cui è affidato anche il compito di comporre un’agenda politica, di pari passo con l’indagine e l’approfondimento delle questioni più urgenti: reddito, lavoro, welfare, finanza pubblica, salute, ambiente, territorio, diritto alla città, cultura, ricerca, formazione, democrazia e autogoverno le parole chiave intorno a cui orbita il processo. Una prima utile constatazione è stata intercettata nella cogente connessione pratica tra la comunicazione interna ed esterna, l’organizzazione orizzontale del processo ed il meccanismo della decisione pubblica; per questo molta attenzione si riserva alla riflessione su democrazia ed autogoverno, inteso come metodo intelligibile di produzione di regole di convivenza sociale, liberamente scelte dalle collettività che vivono i territori e non eterodeterminate, applicabili alla gestione di beni e risorse; inevitabilmente il ragionamento su democrazia e autogoverno coinvolge anche il tema del comune e dei beni comuni. La sistematica circolazione e diffusione di riflessioni e proposte assembleari, che aggiornano tutte le persone interessate al processo ed al destino della propria città, è affidata all’opera di un gruppo di lavoro aperto che si occupa della comunicazione ed a soggetti a turno individuati come responsabili dei tavoli, col compito di informare le discussioni tematiche e moderarle, sistematizzare organicamente il lavoro prodotto e tradurlo in un linguaggio comprensibile ai più. Altro strumento tecnico di lavoro è il mapping condotto su individui e gruppi che partecipano agli incontri, sulle iniziative che agiscono nei singoli territori, sui desideri ed i bisogni che esprimono. Dunque, c’è un doppio livello di coinvolgimento nell’esperimento: la partecipazione diretta e l’uso di strumenti di comunicazione e di decisione più agili, che garantiscano aderenza alla realtà, tempestività ed efficacia e che tentano di includere la “massa” delle persone, tenendo conto degli impegni della vita quotidiana di ciascuno, provando a smarcarsi da una sorta di “dittatura della presenza” che produce esclusione dalla determinazione delle decisioni. Strumenti che in questa fase dell’esperimento sono in via di rodaggio.

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Altra caratteristica su cui vale la pena soffermarsi è la qualità delle relazioni umane, politiche e sociali che pratiche di democrazia diffusa, come queste, tendono a sviluppare. Le note dinamiche di contrapposizione ideologica e di divisione politica sono, per accordo d’intenti, sostituite dalla necessità positiva di mantenere aperta la possibilità di stabilire inedite e coese strategie di lotta, fondate sul rispetto delle regole pragmatiche, sulla creazione di nuovi criteri dialogici e trasparenti di risoluzione dei dissidi.

Il fatto che nel 2016 Napoli sarà agone elettorale delle amministrative costituisce un ulteriore movente e stimolo per il percorso intrapreso. Il posizionamento di Massa Critica rispetto a questa circostanza è stato chiaro sin dall’origine: non essere parte della competizione ma, attraverso un processo di partecipazione attiva, porsi come forza politica e sociale organizzata, territorialmente radicata, al punto da vincolare imprescindibilmente al rispetto della volontà delle collettività ed al confronto con esse, qualunque fazione politica ne uscirà vincitrice.

Risulta immediatamente percettibile, quindi, la difficoltà narrativa di ciò che non può non essere in divenire.

Per realizzare questo lungo, tortuoso e complesso progetto politico è importante generare nuove strutture sociali a partire dalla critica “locale” del discorso giuridico tradizionale.

La determinazione di nuove “regole del gioco” non può non prendere le mosse dal locale, contemporaneamente smascherando e facendo saltare logiche “provinciali”. Di qui la necessità di superare l’idea di un consenso universale, verso la costante ricerca di nuovi paradigmi, capaci di accelerare la decadenza delle moderne istituzioni statuali, strutturalmente fondate sulla concentrazione del potere, e delle organizzazioni (partitiche, sindacali, economiche, finanziarie) che tendono a preservarle differendone la “critica” radicale. Se, quindi, presupposti sono i mutamenti sociali connessi alla trasformazione dei modelli produttivi e allo sviluppo tecnologico, la conseguenza non può non essere quella di operare “metamorfosi” democratiche fondate sulla capacità immaginativa di inventare nuove mosse che di volta in volta istituzionalizzino le voci singolari evidenziando pulsioni, esigenze di vita, nuove identità che sfuggono al dominio dell’organizzazione totalitaria della società rompendo anche l’egemonia del discorso teorico che la accompagna.

Gli ultimi tragici eventi internazionali ci offrono ancor di più la possibilità di riflettere sul rapporto tra metropoli e periferie, tra eccedenza ed esclusione, sulla urgente necessità di reagire insistendo sulla contaminazione culturale e l’affermazione di uguali e dignitose possibilità di vita e di lavoro per tutte le persone.

Le assemblee popolari nei quartieri napoletani si stanno moltiplicando, è sufficientemente chiaro, ormai, che la sovranità può appartenere solo a quel popolo che ne rivendica attivamente l’esercizio, parafrasando o parodiando l’ormai desueto art. 1 della Costituzione. Istituzionalizzare questo esercizio diretto di sovranità popolare è un imperativo politico che si impone sotto forma di sfida ed è l’obiettivo primo e decisamente audace che Massa Critica si propone di raggiungere.

Non c’è garanzia di buona riuscita, c’è però la grande emozione e la forte e convulsa manifestazione di vitalità che spinge le realtà impegnate in questo percorso a rischiare, a compromettersi, a fidarsi reciprocamente, ad andare oltre i confini soggettivi, lavorando al limite tra il noto dell’esperienza politica e sociale vissuta, e l’ignoto di ciò che tramite l’opera e l’azione dell’intelligenza collettiva di buono e di nuovo può essere prodotto per il miglioramento della qualità della vita delle persone.

Massa Critica è configurabile, allora, come il tentativo di agire una critica di massa, una critica organizzata e cosciente, propositiva e non meramente contrappositiva, costituente ed insieme istituente.

 

 

Qui il sito di Massa critica

 

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