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A cura di SANDRO MEZZADRA

Il brano che riportiamo di seguito è tratto da I giacobini neri di C.L.R. James, il libro dedicato a Toussaint Louverture e alla rivoluzione haitiana che divenne un punto di riferimento imprescindibile per lo sviluppo dell’anticolonialismo e del panafricanismo a partire dagli anni Quaranta del Novecento. Al centro del testo sono i maroons, ovvero gli schiavi fuggiaschi che segnarono con le loro pratiche l’intera storia della schiavitù nelle Americhe. Nelle “Indie occidentali”, in particolare, la fuga verso le regioni più impervie dava spesso luogo alla fondazione di vere e proprie comunità, che si strutturavano con proprie regole, si univano tra loro e duravano a lungo. In Giamaica queste comunità si unirono e costituirono un potente esercito guerrigliero, che impegnò gli inglesi in vere e proprie guerre nel corso del XVIII secolo. Nella Guyana olandese (l’attuale Suriname), i maroons costrinsero le autorità coloniali a firmare trattati di pace e a riconoscere la loro sovranità e autonomia. A Santo Domingo, come scrive James, per oltre un secolo costituirono una minaccia continua per l’ordine coloniale e schiavistico, nutrendo un primo grande tentativo di insurrezione che anticipò la rivoluzione degli anni Novanta del Settecento. Il rapporto tra fuga dalle piantagioni (sottrazione alla schiavitù) e costruzione di un autonomo potere dei maroons risulta decisamente molto suggestivo per una teoria del contropotere. Nella sua opera filosofica e letteraria, Éduard Glissant ha ripreso e sviluppato l’esperienza dei maroons.

Fonte: C.L.R. James, I giacobini neri. La prima rivolta contro l’uomo bianco, Roma, DeriveApprodi, 2006, pp. 39-40.

Il numero di schiavi che occupavano posizioni così ricche di possibilità era infinitamente esiguo rispetto alle centinaia di migliaia che sopportavano sulle loro schiene ricurve l’intera struttura della società di Santo Domingo. Non tutti erano disposti a sottomettersi: coloro che per audacia e indipendenza di spirito non tolleravano la schiavitù ma rifiutavano il suicidio, fuggivano nei boschi e sulle montagne, dando vita a bande di uomini liberi, i maroons. Fortificarono i propri nascondigli, furono raggiunti da molte donne, cominciarono a riprodursi. E per un centinaio d’anni prima del 1789 i maroons costituirono una grave fonte di pericolo per la colonia. Nel 1720 fuggirono in montagna mille schiavi. Nel 1751 ce n’erano almeno tremila. Di solito costituivano bande separate, ma talvolta trovavano un capo abbastanza forte da unificare i diversi gruppi. Molti di questi capi ribelli riempirono di terrore l’animo dei coloni, per la furia delle incursioni sulle piantagioni e per la tenacia e la resistenza con cui organizzavano la difesa contro ogni tentativo di repressione. Il più grande di questi capi fu Mackandal.

Fu lui che concepì l’ardito disegno di unificare tutti i negri e di cacciare i bianchi dalla colonia. Negro della Guinea, era stato schiavo nel distretto di Lambém destinato a diventare in seguito uno dei massimi centri della rivoluzione. Secondo l’opinione di un contemporaneo bianco, Mackandal era oratore, non inferiore per eloquenza ai migliori oratori europei dell’epoca, dai quali differiva soltanto per la maggior forza e vigore. Era uomo intrepido e, pur essendo privo di una mano a causa di un incidente, sapeva conservare la sua forza d’animo anche tra le più crudeli torture. Pretendeva di saper predire il futuro; come Maometto aveva rivelazioni; convinse i suoi seguaci di essere immortale ed esercitò su di loro una tal presa che si consideravano onorati di poterlo servire in ginocchio; le donne più belle si battevano per avere il privilegio di essere ammesse nel suo letto. Non soltanto la sua banda razziava e saccheggiava le piantagioni in lungo e in largo, ma lui stesso andava da una tenuta all’altra per conquistare nuovi adepti, stimolare i seguaci, perfezionando il suo ambizioso piano per distruggere la civilizzazione bianca a Santo Domingo. Una massa priva di istruzione, che si voglia mettere sulla strada della rivoluzione, inizia solitamente con il terrorismo e anche Mackandal mirò alla libertà del suo popolo con il ricorso al veleno. Per sei anni strutturò la sua organizzazione avvelenando lui stesso, o facendo avvelenare dai suoi seguaci, non soltanto i bianchi, ma anche i membri disobbedienti della banda. Dispose quindi ogni cosa affinché, in un dato giorno, fosse avvelenata l’acqua di ogni casa del capoluogo, per passare poi all’insurrezione generale contro i bianchi non appena fossero stati in preda alle convulsioni e ai tormenti della morte. In ciascun distaccamento di schiavi aveva distribuito gli elenchi di tutti i componenti del suo gruppo; nominò capitani, tenenti e sottufficiali; organizzò bande di negri che avrebbero dovuto abbandonare la città e percorrere le valli per massacrare i bianchi. Ma la sua temerarietà fu anche la causa della sua sconfitta: un giorno si recò in una piantagione, si ubriacò e fu denunciato.

Catturato a seguito della delazione, fu arso vivo sul rogo.

La rivolta di Mackandal non conseguì mai i suoi scopi e restò il solo tentativo organizzato di insurrezione nei cento anni precedenti la Rivoluzione Francese. Gli schiavi sembravano rassegnati per l’eternità, anche se qua e là si davano ancora casi di schiavi affrancati o che riuscivano a riscattarsi pagando al padrone il prezzo della propria libertà. I proprietari, del resto, ben si guardavano dal mettere sul tappeto la questione di un’eventuale futura emancipazione; i coloni di Santo Domingo dicevano che la schiavitù era un’istituzione necessaria e con la questione era per loro chiusa. La legislazione varata per la protezione degli schiavi rimase sulla carta nonostante il principio che ogni uomo era libero di disporre a proprio piacimento del suo destino.

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