Di SHENDI VELI

Un gruppo di ragazze avanza rapido su via dei Fori Imperiali come un piccolo tornado di colori. Battute e risate si sovrappongono l’una sull’altra quando all’improvviso una di loro allunga il collo verso due uomini di mezza età che reggono un cartello e inizia a leggerlo ad alta voce. «Mo-vi mento degli uomini casa-linghi» scandisce lentamente e poi urla verso di loro “Braviiiiii” mimando un applauso seguito subito dalle altre. É l’incontro/scontro generazionale che si consuma in mezzo al fiume umano che invade il centro di Roma in occasione del terzo sciopero globale climatico. Stando fermi al crocevia tra Via Cavour e il Colosseo si può osservare con calma tutto lo scorrere del corteo. Con moltissima calma, perché il flusso sembra non esaurirsi mai: i numeri della manifestazione sono impressionanti. La grande maggioranza dei partecipanti ha meno di trent’anni.

A catturare l’attenzione tuttavia non sono solo le quantità e le istanze portate in piazza, ma anche e soprattutto il modo con cui queste rivendicazioni si esprimono, primo fra tutti, re della protesta: il cartello. Pezzi di cartoncino di varie forme, scritti a mano, a volte con accuratezza estetica altre con stile sbrigativo, quasi ogni partecipante ne porta uno, con il messaggio che vuole trasmettere al mondo.
A un primo sguardo emerge la natura eterogenea e disorganizzata di questo movimento. Non ci si accontenta di pochi ripetuti e condivisi slogan, per quanto ci siano dei tormentoni, ma si cerca un modo personalizzato per esprimersi politicamente. Largo spazio alle forme dialettali e colloquiali, poca attenzione al politically correct: «Vacce te su Marte» si legge con pennarello verde su un foglio bianco, «Se non possiamo ripulire il mondo dagli stronzi almeno facciamolo dalla plastica» è il messaggio tenuto in alto da una ragazza. Frequentissime le citazioni prese dalla musica e dalle serie tv: «È il futuro che spaventa più di ogni altra cosa non mi dire di calmarmi che non è cosa» da un brano degli «Psicologi», un duo di giovanissimi emersi di recente. Tanti anche i riferimenti alla serie cult fantasy «Game of Thrones» il cui mantra «The winter is coming» viene ribaltato a «The winter is NOT coming».

La novità che spicca è l’uso esteso dell’inglese, ma anche di altre lingue come mostrano i cartelli in cinese a Prato e quelli in arabo avvistati a Roma e Milano. Affiora la volontà di comunicare con le altre piazze del mondo, creando, in connubio con l’uso dei social, una specie di conversazione globale fatta di corpi e parole in lotta. «I don’t have money to live on the moon» erige con fierezza una ragazza, «We are nature defending itself» o ancora «We can’t eat money» si legge altrove.
Dalla lettura dei messaggi che proliferano nelle strade ma anche dalla spiccata percentuale di ragazze che prendono parola al microfono, si nota una forte contaminazione del movimento green con un’altra sollevazione globale, quella transfemminista. «Distruggi il patriarcato non il pianeta», «Le stagioni sono più irregolari del mio ciclo» fino al più caustico «Il cambiamento climatico è più reale degli orgasmi delle vostre mogli».
Il sesso, l’alcol e le droghe leggere sono un altro leit motiv di questo nuovo linguaggio politico le cui tonalità sono innegabilmente edonistiche e pop. «Il ghiaccio sciolto solo nel mojito» scritto a pennarello nero e grafia irregolare e sostenuto da due liceali, ma anche «Il pianeta è più caldo del mio fidanzato immaginario».

L’atmosfera emotiva tratteggiata dalle scritte colorate è quella del disincanto. L’idea di una possibile morte anticipata viene esorcizzata tramite l’ironia: «Speravo in una morte più fresca» o «Che situazione di merda sinceramente» o ancora «Tu morirai di vecchiaia io per il clima che cambia». Costretti a immaginare la loro morte, questi giovanissimi ribelli sprigionano tuttavia tutto intorno una violenta voglia di vivere.
Le parole d’ordine tradizionali dei movimenti operai sono presenti anche se non egemoni, come già era in parte stato anticipato dal ciclo di lotte studentesche dell’Onda. Numerosissime invece le incitazioni a «cambiare il sistema» o le critiche esplicite al capitalismo.
Pop, sarcastici, social, con la voglia di fotografarsi e farsi fotografare. Poca rabbia tanto pragmatismo, sfiducia nel mondo degli adulti. La protesta climatica parla attraverso i suoi cartelli e racconta una generazione anestetizzata ma lucida, e una realtà che non sempre siamo pronti a vedere.

Questo articolo è stato pubblicato su il manifesto il 28 settembre 2019.

 

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