di GIROLAMO DE MICHELE.
Il potere, secondo volume dei tre previsti del corso di Gilles Deleuze su Foucault del 1985-86 (trad. di Marta Benenti e Marta Caravà, ombre corte 2018, pp. 388, € 29), raccoglie le lezioni di Deleuze attorno al “secondo asse” del pensiero foucaultiano. Si tratta di uno snodo fondamentale non solo del corso, ma dell’intera lettura di Deleuze, che anticipa in modo sorprendente le interpretazioni successive alla pubblicazione dei Corsi: è infatti all’interno di queste lezioni, che cominciano dal “passaggio al potere” di Foucault e si concludono col “fuori del potere” (l’asse “greco” della soggettivazione), che avvengono quegli slittamenti che preparano la comprensione del terzo asse, quello della soggettivazione.
Si ricorderà che Fréderic Gros aveva definito il libro di Deleuze su Foucault una “fiction métaphisique“, il racconto del sogno di un Foucault metafisico, che gli appariva “lontanissimo dall’effettivo lavoro di Foucault”; e che dopo aver ascoltato le registrazioni di queste lezioni, Gros aveva radicalmente mutato parere: Deleuze, che non poteva conoscere le lezioni del Collège de France ancora inedite, aveva colto con tale giustezza la direzione in cui si era avviato Foucault, da esprimerla con formulazioni nelle quali le parole di Foucault e Deleuze sono indistinguibili. La chiave è nella lezione del 7 gennaio, che si apre con un commosso ricordo di François Châtelet, l’amico-maestro morto dello stesso male che già affligge Deleuze, il cui ricordo getta un’ombra che si allunga, attraverso il tema della morte e della vita come “ciò che resiste alla morte” (Bichat), su tutto il corso. In questa lezione Deleuze elenca quei principi che costituiscono dei contro-postulati delle teorie classiche del potere (proprietà, localizzazione, subordinazione, essenza o attributo, modalità, legalità), e che definiscono un’analitica del potere sotto forma di meccanismi positivi produttori di sapere, moltiplicatori di discorsi, induttori di piaceri e generatori di poteri. L’elenco dei postulati di Deleuze, leggermente diverso da quelli in diversi momenti prodotti da Foucault, e soprattutto quello delle funzioni del potere, sono debitori in modo evidente della conferenza Il soggetto e il potere, la cui ripetuta lettura fa segno a ciò che Foucault aveva esposto nelle lezioni al Collège, ma anche in quelle interviste e conferenze ora raccolte nei Dits et écrits, che Deleuze seguiva nel periodo del grande freddo fra i due. Dalla comprensione del potere come “rapporto di forze che si esercita su altre forze”, Deleuze trae un ricco insieme di concetti. Fra questi il “diagramma”, già presente in Deleuze, che diventa ora (come sottolinea Fadini nella sua introduzione) duplicazione della storia con il divenire che «ci restituisce il carattere costruttivo dei rapporti di forza, dei micropoteri». L’indagine di questi rapporti conduce Deleuze a ri-formulare (lezione dell’8 aprile) il concetto foucaultiano di società di controllo o sorveglianza, con affinità e variazioni, rispetto a Foucault, rilevanti: dove in Foucault è chiaro trattarsi di un dècalage di tecniche che inclina verso la trasformazione della sorveglianza da strumento disciplinare a tecnica autonoma, Deleuze sembra talora pensare a una soluzione di continuità fra due modelli. Ma ciò che più rileva, è che l’analitica delle forze che scaturisce dal pensare in comune dei due autori fa giustizia ex ante dei tentativi di ridurre Foucault a un tardo epigono del liberalismo.
Accanto al diagramma, il “dehors“: non solo lo spazio del fuori, ma anche la “linea del fuori”, nella quale convergono la linea del potere e la linea della morte. Che Blanchot fosse un autore centrale per Foucault non era certo una novità: ma qui Blanchot viene usato da Deleuze non solo come chiave per la comprensione di un Foucault “nascosto”, ma soprattutto per un’esplicita contrapposizione fra l'”on meurt” di Blanchot e l’essere-per-la-morte di Heidegger. Deleuze mette in luce un asse Bichat-Blanchot-Foucault che disegna un altro rapporto con la morte e un altro nichilismo, contrapposto a quello decadente e destinale di Heidegger (che verrà alla luce nelle lezioni sui cinici, come manifestazione di una filosofia militante), e fa giustizia del tentativo agambeniano di mettere i lederhosen a Deleuze per menarlo a errare lungo cammini che non portano in alcun luogo.
Un altro concetto fondamentale è quello di “piega”, che assume un’importanza rilevante nell’ultimo Deleuze (basterà pensare al libro su Leibniz). La sorpresa, per il lettore di Deleuze, è scoprire che questo concetto nasce all’interno della riflessione su Foucault, e che è allo stesso Foucault che Deleuze (nella lezione dell’11 marzo) attribuisce la primogenitura. E ancora, che dietro Foucault c’è quel “vitalismo su fondo di mortalismo” (come si legge nella Nascita della clinica) di Bichat: il piegarsi e ripiegarsi dei tessuti che fa della piegatura la matrice della sostanza vivente. E dunque, quello “strano vitalismo”, quella bizzarra ontologia foucaultiana che delinea un vitalismo resistenziale, una filosofia della vita come resistenza alla morte (lezione del 25 marzo). È in questa resistenza, contrapposta all’abbandono heideggeriano, che la linea si prolunga nel concetto di soggettivazione: «Immaginiamo che il fuori, la linea del fuori, questo al di là del potere sia preso in un movimento che lo strappa al vuoto o che lo allontana dalla morte. Immaginate che la linea del fuori, che rischia di cadere nel vuoto o nella morte, abbracci un movimento che la strappi dal vuoto e l’allontani dalla morte». Se la linea del fuori «è qualcosa di diverso dal vuoto e dalla morte», costituisce un terzo asse «un asse di passione violenta, una sorta di scommessa tra la vita e la morte»: che finora era rimasto nascosto dall’intreccio con gli assi del sapere e del potere, «che già opera sotto gli altri due». Sarà questo asse che permetterà (come si vedrà nel terzo volume) di oltrepassare la linea: «sarà esso stesso il superamento della linea».
questa recensione è stata pubblicata sul manifesto del 31 marzo 2018