Il brano che segue è legato ad un’idea di ricerca militante che Euronomade sta cercando di costituire nel mondo della scuola. Invitiamo i compagn* e le compagn*, impegnati su questo terreno, a contattarci per costruire un lavoro di inchiesta e riflessione comune.
di ROBERTA POMPILI
Apro una pagina fb frequentata da ricercatori e ricercatrici, e trovo con piacere un messaggio degli studenti del collettivo Vittorio Emanuele II contro l’alternanza scuola-lavoro. Un post immediatamente successivo di un avventore della suddetta pagina attira immediatamente la mia attenzione e mi irrita. Il post dice più meno questo: “Da come si comportano a scuola, alcuni dovrebbero fare l’alternanza scuola-lavori forzati…”. Mi soffermo a rimuginare. Questa è guerra di classe, feroce, che non solo intacca quotidianamente il reddito, il salario, il welfare. Il capitale ha frammentato, sezionato, distinto e tramutato la guerra di classe in guerra identitaria.
Girare tra i banchi di scuola è un’esperienza unica per conoscere le nuove generazioni. Impari che il cellulare è praticamente già parte del loro corpo, un innesto. Attraversati da un flusso continuo d’informazioni e stimoli, vivono condizioni di simultaneità con altri posti, luoghi, mondi. E si che conquistare la loro attenzione è molto difficile. Non hanno di certo interiorizzato il mondo della gerarchia e della disciplina fordista, sono già completamente altro, nel bene e nel male. Eppure il loro trincerarsi dietro quest’altra dimensione del tempo e dello spazio è eco non solo di una trasformazione soggettiva, legata a modi di produzione e quindi di controllo differente, ma anche mostra l’aspetto di un’irriducibile e sostanziale forma di resistenza.
D’altra parte come potrebbero porsi questi giovani, in un contesto scolastico che si dimena tra l’educazione tradizionale e autoritaria (quella dei programmi ministeriali), la scuola-supermercato-azienda dei progetti e progettini che continuano a proliferare come funghi e che li coinvolgono generalmente nel ruolo di utenti-consumatori, nonché lo spazio – non da poco- occupato dalla “alternanza scuola-lavoro”. E sarebbe ancora il meno se tutto questo non avesse l’inevitabile correlato securitario: una costante valanga di azioni e interventi, laboratori sulla “legalità”, azioni per “ la sicurezza” “di prevenzione del cyberbullismo”, “bullismo”, “omofobia” etc. etc. etc., con una presenza costante di Forze dell’Ordine deputate a formare in vari modi (come hanno fatto gli organismi addetti al controllo e alla repressione a trasformarsi cosi velocemente in un’agenzia primaria di formazione?). Quando le stesse F.O. non si pongono attivamente presidiando gli ingressi degli edifici scolastici o addirittura in qualche caso perlustrando le aule e gli alunn* degli stessi edifici.
Potrebbe sembrare di essere entrati in una trincea della guerra contemporanea, per il clima disastroso evocato e di fatto prodotto dalle istituzioni e dai media mainstream che costantemente costruiscono il set: la narrazione dell’apocalittico mondo scolastico post-fordista, nonché l’impianto neoliberale –securitario legislativo e politico.
E dall’altra parte gli student* si sentono un po’ in trincea (oggi ci sono i cani della Finanza, l’altro giorno un ragazzo “è stato morso” da un cane della Finanza). E poi come dimenticare la giovane App della denuncia anonima “You Pol” favoleggiata nei corsi di formazione come strumento di sicurezza, ma anche i “Blue box” una scatola blu, posta all’ingresso di scuola in cui segnalare i coetanei indicandone nome e cognome (ufficialmente per casi di molestie, spaccio…). Nonostante le resistenze di parte del corpo docente e di qualche dirigente illuminato, questo modello di scuola è diventato egemone: l’opposto di una scuola come “comunità”, in cui produrre eticamente un senso di responsabilità comune e condivisa, dentro una dimensione pedagogica in cui affrontare tensioni, nodi, conflitti, mettendo insieme e facendo dialogare le differenze. Con buona pace dei tanti corsi che certo contro la lezione tradizionale autoritaria frontale (di certo non rimpiangiamo l’onorevole trittico professore/padre/patria) sono prodighi di cambiamento e insegnano a “imparare a imparare”, il “Cooperative Learning” … insomma la rivoluzionaria buona scuola delle “risorse umane” con il suo corollario di dottrine cognitive-comportamentiste.
E dire che non ci vuole poi molto a capire che il “bullismo” è la costruzione neoliberale della violenza tra pari, una costruzione che epura il discorso della violenza dai suoi legami con il genere, che isola e individualizza i soggetti, decontestualizza la rete di relazioni e di potere che lo produce, annienta la cornice, elide le cause e ci consegna un colpevole-responsabile su cui scaricare le sanzioni, un capro espiatorio sociale.
Parimenti la costruzione mainstream in forma binaria prevede di volta in volta la figura dell’insegnante come vittima o carnefice: un parassita, fannullone con lunghi mesi di vacanza pagati dallo stato, un assenteista, etc., oppure e -siamo ai nostri giorni- una vittima da proteggere dalla crudeltà dei “bulli”. (da poco è anche partita un’iniziativa di alcuni presidi umbri che si chiama Nessunotocchiilprof) A questa narrazione fa eco quella dei genitori permissivi, irresponsabili, assenti, oppure attenti “padri” sempre pronti a dare mano a un facile “ricorso” cui appellarsi.
Mentre peggiorano le condizioni della forza-lavoro nel nostro paese, sappiamo che una partita importante si gioca nella scuola. Le nuove generazioni sono consapevoli che i livelli di vita materiale sono peggiorati e continueranno a peggiorare: la scuola nell’epoca del capitalismo di rapina contemporaneo non viene più percepita come un ascensore sociale, ma piuttosto come un luogo di parcheggio, forse nella migliore delle ipotesi come luogo di resistenza. La stessa stratificazione di classe delle scuole (licei tradizionali versus altre scuole), non necessariamente corrisponde più sempre alla garanzia di accesso a un lavoro remunerativo e gratificante professionalmente, a meno di non poter contare sul privilegio di collocarsi in un solido albero genealogico.
Il capitale nel gestire l’attacco alla formazione utilizza le differenze generazionali, di ruolo e professione e mette in campo nella scuola-azienda, tutto un armamentario che definisce e produce molteplici forme identità, come strumento di controllo, costrutto legislativo dell’individuo proprietario contemporaneo. Una proprietà del sé che orienta ideologicamente la relazione e la contrapposizione con l’altro, sul quale sempre ci si può rivalere a colpi di ascia giudiziaria. (Elemento ormai fortemente interiorizzato dalle ragazze della scuola con cui lavoro, se ogni volta che provo a farle rientrare dal corridoio in classe le stesse possono provocatoriamente e ironicamente rispondermi con: Non mi tocchi o la denuncio!)
Ecco tradotte, attraverso la guerra identitaria, le nuove violente forme di accumulazione del capitale in pratiche di assoggettamento. Student* contro docenti, student* contro student*, genitori contro docenti. Quale miglior metodo per mettere nell’angolo i ragazz* in modo da prevenire ogni possibile forma di conflitto per questa nuova generazione di precar*, ma soprattutto cercare di impedire la dimensione comune del conflitto che dovrebbe riguardare necessariamente un’inevitabile alleanza tra student*, docenti, e genitori?