Pubblichiamo qui l’articolo di Maria Rosaria Marella e segnaliamo l’incontro dibattito di venerdí 8 luglio alle 15.00 “La sentenza della Corte Suprema USA – Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization. Quale autodeterminazione riproduttiva per le donne? Quali le ricadute in Europa?”. Qui la locandina.

Di MARIA ROSARIA MARELLA

Roe v. Wade appartiene alla storia americana ma non solo. È stato come l’epicentro di un movimento tellurico che ha cambiato (per sempre, vogliamo affermarlo!) la vita delle donne e la cultura giuridica occidentali. Attorno e in seguito a quella decisione si sono prodotte svolte nel diritto europeo – dalla sentenza della corte costituzionale italiana del 1975, alla parziale depenalizzazione della legge tedesca (BRD) del 1976, fino alla nostra legge 194/78 – che hanno riguardato tutte noi. E dunque Roe è anche parte della nostra storia.

Ma è innanzitutto una storia americana. Ed allora vale la pena di ricordare il contesto in cui l’overruling di Roe v. Wade si colloca, prima ancora di ricostruire il contesto in cui Roe, come precedente giurisprudenziale, era maturato. Poiché l’esito di questa storia americana si iscrive in un quadro di vera e propria secessione politica, a me pare. Non è infatti solo l’autodeterminazione riproduttiva delle donne a essere in gioco. Anzi è possibile che l’aborto non sia altro che lo scalpo – il più prestigioso e il più caro al nemico – da esibire a chi si vuole sconfiggere su terreni ulteriori. Che riguardano i diritti civili ma non solo. La stessa Corte due giorni prima aveva dichiarato incostituzionale la legge dello stato di New York – uno stato blu, democratico – volta a limitare l’uso delle armi. Una settimana dopo restringe i poteri presidenziali in tema di emissioni delle centrali elettriche a carbone, quasi a voler cancellare il tema del global warming dall’agenda politica nazionale. Invero il quadro che superficialmente si avesse degli Stati Uniti quale realtà politica tendenzialmente unitaria non è affatto realistico, come la plastica distinzione, geografica innanzitutto, fra stati rossi e stati blu evidenzia. E la strategia della Corte Suprema sembra esattamente mirata a universalizzare l’orientamento politico degli stati rossi radicalizzatosi con l’avvento di Trump, estendendolo all’intera nazione. Il vero tema in Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization non è infatti una legge restrittiva del Mississippi da salvare, ma la risposta da dare a ben 26 stati – rossi – che espressamente chiedevano alla Corte l’overruling di Roe e Casey . E se è nota la divergenza fra stati rossi e stati blu in tema di aborto e di armi, è forse meno noto che i diritti di famiglia di stati rossi e stati blu divergono sensibilmente, tanto da legittimare la contrapposizione fra Red Families, maggiormente conformi a valori religiosi e patriarcali, e Blue Families, egalitarie e libertarie, e segnare una distanza profonda nello statuto della cittadinanza delle statunitensi a seconda di dove geograficamente locate. Infine poco si sa in Europa delle legislazioni statali già in vigore o in corso di approvazione che vietano l’insegnamento nelle scuole statunitensi della Critical Race Theory – con questo termine intendendosi in realtà un resoconto accurato della storia americana della schiavitù, delle discriminazioni razziali e del razzismo nelle sue espressioni passate e presenti.

In questo scenario, già estremamente conflittuale e profondamente segnato in termini di genere, razza e classe (la stessa negazione del caos climatico ha e avrà un pesante impatto sociale sul terreno dell’environmental justice) l’agenda politica che la Corte Suprema sta riscrivendo avrà come saldo il sacrificio (ulteriore) dei diritti delle soggettività minoritarie.

Come ha notato Paul B. Preciado, in gioco è innanzitutto il dominio delle tecnologie del corpo quale punta avanzata della libera costruzione della sfera di autodeterminazione di ciascun@, ovvero del controllo biopolitico sulle soggettività, in particolare minoritarie. Ed è proprio questo il fronte di attacco di Dobbs. Che per la verità di corpo femminile neppure parla seppellendolo sotto una fitta coltre di esasperato legalismo.  Nulla della delicatezza, dell’umanità, a tratti del lirismo dell’argomentare di Roe è presente nell’opinione della Corte. Che è ormai nota. Rifacendosi alla dottrina dell’original intent il giudice Alito, estensore della decisione, rigetta l’operazione evolutiva posta in essere da Roe v. Wade qualificandola come clamorosamente (ma anche vergognosamente) sbagliata. L’argomento originalista è fondamentalmente che i diritti che nella costituzione americana non sono espressamente nominati –  e il diritto ad abortire non lo è – hanno copertura costituzionale attraverso la clausola del due process ovvero l’equal protection clause del XIV emendamento, solo laddove essi siano profondamente radicati nella storia e nella tradizione della nazione. Per dimostrare il contrario Alito percorre a ritroso il diritto americano fino a risalire Bracton (XIII secolo) cioè alle origini del common law (inglese) e giunge alla determinazione che l’aborto storicamente è sempre stato considerato un crimine; ed è stato tale fino, appunto, alla decisione, arbitraria, di Roe. La conclusione è che la questione dell’aborto non ha dignità costituzionale e deve tornare a essere decisa dai legislatori statali, anzi dal popolo, “the people of the various States”, come enfaticamente afferma Alito[1]. Con ciò la controrivoluzione della Corte Roberts giunge al suo climax: è la “dittatura della maggioranza” che deve governare le vite; della costruzione della sfera intima e personale di ciascun@ devono ora decidere gli elettori.

Il tentativo – che, come suggerisce il giudice Thomas nella sua concurring opinion, è foriero di ulteriori, distopici sviluppi – è quello di azzerare la rivoluzione democratica iniziata dalla Corte Warren nel 1965 con il caso Griswold v. Connecticut, quando l’autonomia riproduttiva e, più in generale, lasessualità fanno ingresso di prepotenza nella sfera di rilevanza costituzionale. Da allora l’uso del e il controllo sul proprio corpo si pongono al centro di alcune fondamentali decisioni della Corte Suprema degli Stati Uniti destinate ad avere ampia eco in Europa e nel resto dell’occidente. È un’elaborazione condotta dalla Corte sin dai primi anni ’60, in virtù della quale la libera espressione della sessualità viene ad essere identificata con il nucleo duro di quel diritto all’autodeterminazione che si assume garantito dal XIV Emendamento, e la tutela della (constitutional) privacy, in tal modo realizzata, si tinge di caratteri apertamente countermajoritarian. Proprio quanto l’interpretazione originalista di Dobbs e la sua (possibile) onda lunga rischia di travolgere.

A partire da Griswold v. Connecticut, la Corte respinge sistematicamente i tentativi delle legislazioni statali di influenzare l’atteggiarsi delle relazioni personali a carattere sessuale[2]. In Griswold, in particolare, è l’idea che lo stato possa decidere al posto dell’individuo che i rapporti sessuali che intrattiene all’interno del matrimonio debbano avere esclusivamente scopo riproduttivo ad essere rifiutata con forza dalla corte, la quale, pertanto, giudica illegittimo il divieto, penalmente sanzionato, di far ricorso alla contraccezione per le coppie sposate[3]. Successivamente il principio sarà esteso anche alle relazioni sessuali fuori dal matrimonio[4]. L’orientamento giunge al suo culmine proprio con Roe v. Wade, quando la libertà di costruzione della sfera di libertà individuale si dilata fino a ricomprendere il diritto della donna di interrompere la gravidanza indesiderata[5]. Nella decisione successiva in tema di aborto, Planned Parenthood v. Casey (1992), la Corte preciserà a chiare lettere la sua missione: “Our obligation is to define the liberty of all, not to mandate our own moral code”. Non è esattamente quanto pensa di dover fare ora la Corte Roberts! Al contrario l’operazione di smantellamento della libertà di autodeterminazione va ben oltre Roe, intende travolgere l’intero impianto dottrinale che la sostiene sino a Griswold, al principio, affermato con forza in quella sentenza, che la constitutional privacy sia sottaciuta nel Bill of Rights americano non in quanto estranea al tessuto costituzionale, ma al contrario in quanto “penumbra”, presupposto e condizione dell’esercizio di ogni altro diritto costituzionale. È piuttosto logico che rimuovendo quella pietra angolare l’intero edificio sia destinato a crollare. Se ciò non avverrà sarà forse per ragioni di convenienza, ad esempio, perché far cadere la libertà costituzionale di autodeterminazione sui contraccettivi significherebbe mettersi in aperto conflitto con Big Pharma. O invece perché solide alleanze intersezionali fra le soggettività colpite o minacciate dalla controrivoluzione tentata con Dobbs saranno in grado di fermarla.


[1] In realtà nel 1959 l’American Law Institute elaborò uno schema di legislazione per depenalizzare l’aborto in determinati casi, per esempio i casi di aborto terapeutico, che già venivano praticati in molti ospedali. Almeno 13 stati accolsero questo schema di legislazione già prima del 1973 e in alcuni di essi le leggi adottate erano più permissive di quanto prescritto in Roe.

[3]  Griswold v. Connecticut, 381 U.S. 479 (1965).

[4]  Eisenstad v. Baird 405 U.S. 438 (1972).

[5]  410 U.S. 113 (1973). Si veda anche il caso gemello Doe v. Bolton, 410 U.S. 179 (1973).

Immagine di copertina di Victoria Pickering su flickr.

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