— Valeria Solesin, Asimmetrie del mercato del lavoro e ruoli di genere, 24 novembre 2015.
Valeria Solesin, la ricercatrice italiana assassinata al Bataclan, aveva partecipato nel 2014 a un convegno su Districare il nodo genere-potere: sguardi interdisciplinari su politica, lavoro, sessualità e cultura. La ricordiamo pubblicando, col consenso dei familiari, il suo contributo intitolato Asimmetrie fuori e dentro il mercato del lavoro. Una comparazione tra Francia e Italia sui ruoli di genere e l’attività professionale.
— Marco Bascetta, Gli strateghi della guerra inutile, 24 novembre 2015.
A partire da un assunto, “Daesh è uno stato”, e dalla categoria di “guerra utile”, Marco Bascetta analizza le ultime guerre condotte in Medio oriente o in Africa dagli Stati uniti, dalle diverse coalizioni internazionali, e nessuna “regge alla prova della guerra utile”. Nondimeno egli prende una netta posizione, una posizione politica che interpella tutte e tutti, rispetto a questo nuovo “fascismo confessionale”: “Se Daesh punta a stringere il legame tra il fascismo islamista con la sua Mecca mesopotamica e l’emarginazione metropolitana in Europa, noi dovremmo puntare a reciderlo. Non in chiave nazionalpatriottica, ma sul terreno dei desideri di libertà e di benessere che attraversano le periferie metropolitane e non solo i frequentatori del Bataclan. L’ennesima “guerra inutile” e perdente sarebbe quella contro le cosiddette “classi pericolose”. Possiamo solo sperare che i ragazzi di Saint Denis e dei grandi ghetti della cintura metropolitana parigina gettino via le cinture esplosive per tornare a incendiare le banlieues contro i loro colonizzatori, islamisti o repubblicani che siano. Poliziotti razzisti o predicatori barbuti. Ogni sovversivo in più sarà un terrorista di meno.”
— Francesco Brancaccio, À la guerre comme à la guerre. Note sullo stato d’emergenza in Francia, 23 Novembre 2015.
Riflessione sullo “stato d’emergenza”: “per anni siamo stati sommersi, fino all’asfissia, dalla letteratura e dalle retoriche sull’emergenza. Oggi, anche in Europa, ci troviamo di fronte ad un vero stato d’emergenza, sul piano giuridico e perciò materiale. Dalla fiction siamo passati al reality.”
— Federico Tommasello, La strage di Parigi 10 anni dopo le banlieues. Una coincidenza su cui riflettere, 23 novembre 2015.
L’autore muove la sua riflessione da una coincidenza significativa: “l’orrenda strage di Parigi cade esattamente nel decennale della cosiddetta rivolta delle banlieues“. Nel testo, non si illuminano le “cause socio-economiche alle radici dell’islamizzazione”, bensì l'”alternativa morale che il soggetto sceglie attivamente e consapevolmente.” Vale a dire che “l’Islam politico incarna così per questi giovani europei una sorta di ritorno alle origini e alla tradizione che ha sapore di riscatto verso un sistema che ha reso invisibile e fastidiosa la tua specifica differenza. La rivolta del 2005 nelle banlieues si scagliava contro il fatto di esser lasciati ai margini di una società in cui si voleva il proprio posto. L’affermazione dell’Islam politico nelle periferie segna il tramonto di questa opzione, della sua plausibilità, e l’affermarsi di un’alternativa complessiva.”
— Ilaria Bussoni, La banlieue che è in noi, 20 novembre 2015.
Una lettera in risposta che assume i toni di una domanda lacerante: “Dov’è finita quell’alleanza tra quelli di dentro e quelli di fuori, che talvolta si è intravista nelle lotte francesi degli anni ’90, e non solo perché ci aiutassero a spaccare vetrine, della cui urgenza sapevamo già prima dell’uscita del film di Kassovitz?” Una riflessione sull’odio profondo icasticamente fissato nella banlieue, interna, quale spazio tra “il me individuato e le pratiche del comune, le facoltà di tutti e i loro usi privati.”
— Judith Revel, Loro, io, noi: riflessioni sul novembre parigino, 19 novembre 2015.
Lettera a un’amica che è una riflessione sul crescente nazionalismo, a seguito della strage del 13 novembre, fatto di rivendicazione di bandiera, identità, rabbia e orgoglio, etc., ignorando le cause interne ed esterne che hanno prodotto quella generazione di “ragazzi” assassini, e di tremendo narcisismo pseudo-empatico.”
“Bisogna andare alle radici del male, e una di queste radici è ormai il grado di sofferenza sociale raggiunto da migliaia di persone letteralmente senza più orizzonte, né possibilità di sentirsi vivi. L’abbiamo creata noi, quella situazione, perché ormai sono passati troppi anni.”
— Jamila Mascat, Paris is burning. Stato d’emergenza e tentazioni sinistre, 17 novembre 2015.
“Se quel che si prepara (il se è retorico) è un giro di vite accelerato sulla sicurezza e le libertà, è bene trovare le parole per dire che nella restrizione delle libertà di tutti, quelle di alcuni saranno minacciate più di altri; che il via libera alla caccia ai terroristi consisterà anche in un via libera agli abusi razzisti da parte delle forze dell’ordine; che migranti e rifugiati ne pagheranno le spese, insieme a chi intende stare dalla loro parte, e che di tutto questo, cioè dello stato d’emergenza e dei suoi derivati, non c’è bisogno.”
— Jean-François Bayart, Il ritorno del boomerang, 17 novembre 2015.
Il politologo Jean-François Bayart, professore presso l’IHEID (Ginevra) e direttore della cattedra di Studi Africani Comparati (UM6P, Rabat), ha ben dimostrato che gli attentati non sono nient’altro che il “ritorno di un boomerang” che noi stessi abbiamo lanciato. Le origini del 13 novembre dunque vanno anche ricercate nella politica estera europea e francese di questi ultimi quarant’anni. “La dimissione dell’Europa sulla questione palestinese, l’occasione mancata con la Turchia che si poteva cosi facilmente annettere à l’UE, l’alleanza della Francia con le petrolmonarchie… sono altrettanti errori che non hanno fatto che aggravare il disastro e nutrire rancore e radicalizzazione in Vicino-Oriente.”
— Eric Fassin, Non possiamo volere ciò che vogliono i nostri nemici, 17 novembre 2015.
Sociologo e americanista, docente presso l’Ecole Normale Supérieure, Eric Fassin sostiene quali possano essere le tattiche per neutralizzare gli effetti delle azioni del 13 novembre. “Mai pagare il riscatto: la regola d’oro, a pena di incoraggiare rapitori futuri. Lo stesso vale per il terrorismo: per combatterlo, non è sufficiente (anche se è necessario) per combattere i terroristi. Particolarmente importante è dimostrare che le loro azioni sono inefficaci, e quindi non riescono a imporre una reazione politica.”
— Saverio Ansaldi, Parigi, foglie d’erba, 17 novembre 2015.
Lettura spinoziana e deleuziana sugli attentati parigini.
“I nuovi teologi sono quelli che credono di poter risvegliare in noi la piccola anima fascista, ma non sanno che noi un’anima non ce l’abbiamo mai avuta e mai ce l’avremo, perché non sapremmo cosa farcene, perché l’anima ci ha sempre fatto ridere, soprattutto la loro. Noi siamo come quelli del Bataclan, foglie d’erba tutte uguali e tutte diverse, che spuntano chissà dove e chissà perché, proprio lì dove nessuno se l’aspetta, nell’ombra e nella luce, di giorno e di notte, fra il cemento più orrido e il cielo più limpido.”
— Girolamo De Michele, Dieci tesi su politica della paura, Isis e fascioleghismo, 16 novembre 2015.
Isis e fascioleghismo sono gemelli che si nutrono della politica della paura, dell’odio per il diverso, il moderno, le donne, i comunisti, gli omosessuali.
“Alla schiuma che cola in queste ore dalla bocca delle belve dell’intolleranza e del razzismo è necessario trovare una risposta, che è anche un ulteriore passo in avanti verso una coalizione senza padri nobili – nella quale siamo tutti madri e padri ignobili e plebei – che incorpori nelle proprie pratiche di antifascismo militante l’avversione non solo verso i fascisti di ogni risma – compresi quelli jihadisti – ma anche e soprattutto verso le politiche della paura, del rancore e dell’odio sociale verso il capro espiatorio designato che di ogni fascismo – di nuovo: compreso quello jihadista – costituiscono l’humus.”
— Simon Le Bon, L’Isis e il rinnegato Kautsky, 16 novembre 2015.
Ammazzare francesini che ascoltano gruppi metal di venerdì o plaudire la buona scuola ogniddì: ecco l’alternativa fallace che la socialdemocrazia ci offre.
“Morta la fabbrica, morto l’operaio, asservita la vita al nuovo padrone full time, la socialdemocrazia ha pensato di poter proseguire nel tradimento. Rappresentando deserti lavorativi, miseria assoluta, devastazione di città e campagne per erigere exposizioni la cui “universalità” non andava più in là di Gallarate ha cercato di fingersi utile al capitale finanziario che, al contrario, come chi usa Denim, non deve chiedere mai. Inutile al padrone, inutile al servo. Il servo, dismesse le sciarpe colorate, i pantaloni a zampa, e poi le cravatte rosse su camicia bianca, la ventiquattrore con dentro la girella, sconfitta la disco, anima transumante nella città vomitata, si è perso nei vicoli della legalità […] legalità è merda: che provenga da un giudice con la bianca chioma e l’accento forbito o da uno pseudo religioso in ciabatte a metà tra Osama Bin Laden e lo stilita di Buñuel non fa differenza.”