Di ROBERTA POMPILI.
Mutazioni
L’uomo automobilista può essere considerato una specie biologicamente nuova per via dello specchietto più ancora che per via dell’automobile stessa, perché i suoi occhi fissano una strada che si accorcia davanti a lui e s’allunga dietro di lui, cioè può comprendere in un solo sguardo due campi visivi contrapposti senza l’ingombro dell’immagine di se stesso, come se egli fosse solo un occhio sospeso sulla totalità del mondo.
(I. Calvino)
“Un’automobile da corsa… un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia”. Alle soglie del novecento, con entusiasmo “virile”, Marinetti si esprimeva cosi per lodare l’ingresso di una nuova era tecnologica di cui l’automobile era un perno centrale. Anche se sappiamo che Marinetti fece poco più che un giro sulla sua auto, abbandonando la guida dopo una rovinosa caduta.
Dalla fabbrica di macchine Ford nasce la catena di montaggio e il fordismo, l’epoca industriale è l’epoca della automobile, il suo utilizzo trasforma la relazione umana con lo spazio e il movimento, produce nuovi paesaggi. Nel ‘68 i situazionisti realizzarono una feroce critica dell’urbanistica della società borghese che aveva come principale oggetto di attacco le case e le macchine: strumenti di confort, ma anche di individualizzazione e strutturazione della dimensione privata.
La rivoluzione del trasporto individuale privato ha, in ogni modo nel tempo, comportato una particolare produzione dello spazio e della crescita urbana in cui, ad esempio, si è affermata la principale infrastruttura dell’autostrada e la successiva rottura del nesso tra assi viabili e strutture urbane. D’altra parte l’articolazione e la produzione degli assetti urbani e delle cartografie territoriali è attraversata anche dalla circolazione di flussi di messaggi, oltre che di persone e oggetti. Se il territorio è un mix di spazi fisici e di spazi immateriali ad essi immanenti (internet, le autostrade informatiche), da un punto di vista prettamente materiale i flussi dei corpi e la mobilità, continuano ad organizzarsi in uno spazio-tempo automobilizzato.
Donna Haraway ci ricorda come la tecnologia incorporata o intrappolata nei corpi, ingloba -producendoli – i rapporti sociali e le loro rappresentazioni; ancora una recente vasta letteratura studia come il potere e la disuguaglianza informano la governance e il controllo del movimento. Il mondo è attraversato da politiche del movimento che producono confini visibili e invisibili in cui la mobilità – non solo tra gli stati-nazione – si traduce in disuguaglianza e accessibilità disomogenea distribuita in relazione alle linee del genere, della razza e della classe.
Quando devo ricorrere ad un esempio per spiegare il passaggio dal fordismo al capitalismo finanziario dei flussi con le e gli student* utilizzo, spesso, una efficace immagine spazio-temporale sulla gestione del traffico e della mobilità urbana: il semaforo con i suoi stop e ripartenze ha a che fare con l’ordine disciplinato del tempo fordista, come le rotatorie (rond points) gestiscono il tempo- flusso mantenendo inalterato il movimento.
Dalle rivolte per la libertà di circolazione delle persone che attraversano i confini degli stati-nazione fino ad arrivare alle rivolte per i trasporti urbani, le lotte sulla mobilità sono richieste di giustizia per tutt*: il loro portato espansivo e ricompositivo dell’eterogeneità del lavoro vivo è paragonabile alle rivolte del pane che nel passato innescavano la scintilla insurrezionale.
La rivolta del caro-carburante in Francia nasce fuori dalle grandi città e lontano da Parigi e due dei suoi animatori sono i camionisti che hanno per primi lanciato il simbolo della rivolta: I Gilet Gialli. Questa scelta semeiotica è densa di diversi strati di significato; non sono solo sintomo di un’esplicita ricerca di visibilità e unità (una divisa catarinfrangente), ma una rivendicazione di sicurezza sociale (a partire dalla giustizia sulla mobilità) contrapposta alla securitarismo giustizialista al quale siamo da tempo siamo abituat*.
La rivolta è “femmina”!
Il direttore di Liberation, nei giorni successivi alle mobilitazioni, ha dichiarato che con i Gilet Gialli esplicitamente la lotta di classe diventa anche spaziale: “la banlieue contro i centri storici, le periferie contro i bòbò, la campagna contro le metropoli, i piccoli comuni contro le grandi città”.
Lo spazio, dunque, al cuore della lotta di classe non solo per la capacità espansiva e ricompositiva delle lotte che se ne dipanano, ma anche perché dentro gli spazi si riconfigurano nuove geografie ed ecologie.
Nelle giornate francesi la stessa insurrezione/rivolta non si articola in nessuno spazio dicotomico sacrale –unico, il noi-loro sancito ad esempio dalla forma classica del corteo (Judith Revel approfondisce questo tema in un intervento di prossima pubblicazione). Piuttosto assistiamo ad una proliferazione di spazi e di azioni, di occupazioni di rond-points, alla presenza costante di organizzazione, ma dentro la leaderlessness. Prendiamo, per esempio, le occupazioni delle rotonde, spesso citate nei racconti e nei reportage. Uno spazio, guarda caso circolare, ideato per la governance contemporanea della mobilità e che viene ripensato come luogo di azione e produzione politica: il “filtraggio” (come dirà un manifestante “noi non blocchiamo, filtriamo”), spazio di comunicazione e scambio ancor prima che di blocco dei flussi. Gli automobilisti e le automobiliste, in molti casi, manifestano la propria adesione alla protesta suonando il clacson, salutando dalle vetture: si costruisce in questi svincoli un’inedita alleanza di corpi e corpi-macchine. (Sebbene in un altro contesto e in una scala molto differente, ho potuto constatare l’efficacia politica- comunicativa di brevi occupazioni di rotatorie, durante la giornata dello sciopero femminista dell’otto marzo dello scorso anno, lungo il percorso della manifestazione che si è tenuta a Perugia.)
La rivolta, dunque, nella sua costruzione di contropoteri produce una nuova e inedita geografia, la rottura delle tradizionali gerarchie dello spazio e contemporaneamente la costruzione attiva di presidi di aiuto, sostegno, mutualismo e cura.
Il 6 gennaio le donne “Gilet Gialli” hanno fatto il loro ingresso nella scena ufficiale pubblica sfilando in tutta la Francia, per protestare contro la violenza della polizia e rendere visibile il loro posto nel movimento. Su un giornale di inchiesta, qualche intervistata risponde ai giornalisti sulla presenza in piazza quel giorno; il giornalista chiede: perché siete qui? Una donna risponde: “perché siamo lavoratrici, ma meno pagate degli uomini”. Il loro posto nel movimento le donne di fatto lo hanno preso da tempo; le rivolte dei corpi-macchine da tempo stanno costruendo un’altra ecologia dentro e oltre la linea di genere. Adesso, in un nuovo e rinnovato protagonismo le donne dei Gilet Gialli, in risonanza con i movimenti femministi transnazionali, sapranno sicuramente declinare in termini di discorso, la radicalità che emana la loro potente presenza.
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Il Collettivo EuroNomade segnala che, nelle prossime settimane uscirà per manifestolibri “Gilets jaunes“. Chi sono i Gilets jaunes? Quali le prospettive di sviluppo, quali dinamiche, quali le cause del movimento che sta sconvolgendo il panorama politico francese? Al di là degli stereotipi e delle forzature giornalistiche tutte univocamente concentrate sulla questione delle violenza il collettivo EuroNomade cerca, in questa prima proposta editoriale, di fornire una chiave di lettura politica degli eventi. Il testo a più voci è organizzato in 4 movimenti: un prologo che inserisce l’emergenza dei Gilets jaunes nella crisi politica contemporanea, contrapponendo la socializzazione e il conflitto che attraversano la Francia ai populismi dei governi europei; segue un gruppo di testi che ricostruiscono le analisi fin qui circolate nel mondo della cultura e della politica francese; al centro del volume sta poi la cronaca minuziosa che Toni Negri ha svolto dei punti alti della mobilitazione e una sezione di apertura su scenari più ampi della politica globale, dell’economia cognitiva e della crisi della ragione neoliberale. L’Epilogo che chiude il libro, infine, si vuole solo provvisorio. Il volume della manifestolibri è il primo tentativo, in Italia, di descrivere la forma inedita del movimento francese.