di MARCO BASCETTA.
L’epidemia è scomparsa nella contesa per la distribuzione delle risorse. Eppure la pandemia infuria ovunque, riprende forza anche laddove veniva data per imbrigliata come nel cuore d’Europa dove qualcuno la dichiarava addirittura estinta. Ma dietro le parvenze di questa «fase», che non si saprebbe neanche più come definire, il conflitto politico ruota più o meno visibilmente intorno al virus.
Che si tratti di rinviare scadenze elettorali, dagli Stati Uniti alla Bolivia, di estendere i poteri dei governanti come nell’Europa orientale, di stabilire il rapporto tra potere centrale e poteri locali, o di manipolare i dati per allarmare o tranquillizzare la popolazione secondo le convenienze e gli equilibri di potere è sulla leva della pandemia che l’azione si concentra. Tutti pronti a cogliere le occasioni che il suo evolversi potrebbe offrire. A partire da un singolare rovesciamento degli orientamenti politici e delle inclinazioni ideologiche.
Tradizionalmente è la destra autoritaria ad enfatizzare l’allarme sociale e l’intensità dell’emergenza, a soffiare sul fuoco della paura per provocare riflessi d’ordine e obbedienza indiscussa all’autorità. Caso esemplare di questa tendenza è l’«allarme criminalità» che, pur contraddetto da tutti i dati statistici, viene regolarmente giocato per favorire l’inasprimento del codice penale e la moltiplicazione delle forze dell’ordine. Modesti scampoli di terrorismo, consumo di stupefacenti, incidenti stradali, tutto torna utile per mettere in scena drammatiche emergenze da fronteggiare con una stretta autoritaria.
Per non parlare dell’immigrazione il cui impatto sulle società di arrivo viene gonfiato a dismisura fino a tratteggiare catastrofici scenari di scomparsa delle tradizioni e dei modi di vita dell’«Occidente cristiano», sommerso da altre genti e altre culture.
Nel caso dell’epidemia di coronavirus accade invece esattamente il contrario, dalla minimizzazione al negazionismo. E il fenomeno riguarda tanto le destre all’opposizione quanto quelle al potere. Cosicché non può spiegarsi con l’attacco nei confronti di governi avversi. Questa volta le destre sventolano il vessillo delle libertà, non solo quella «d’impresa», come da usuale repertorio, ma anche quelle individuali, altrimenti poco apprezzate e comunque inscritte nel corpo organico della nazione e delle sue presunte tradizioni che ne disegnano i confini.
Dalla porta di Brandeburgo dove migliaia di persone inveiscono contro la politica sanitaria (peraltro assai morbida) del governo di Berlino, ai fans di Donald Trump, ai rumorosi convegni dei parlamentari italiani, si leva l’indignata protesta contro le limitazioni (certo non sempre e non tutte sensate) imposte dai governi per fronteggiare l’epidemia. Ma che resta comunque difficile interpretare come prodromi di una svolta autoritaria. Come si spiega questo rovesciamento di prospettiva?
Il fatto è che il virus, a differenza del criminale o dell’immigrato, non può essere descritto come nemico sociale. Si tratta di una entità «incolpevole». E, laddove la logorata mitologia dell’untore non può più essere messa in gioco (anche se qualcuno ci prova malamente coi migranti, qualcun altro col complotto cinese), il colpevole, dal quale l’autorità pretende di proteggerci, si dissolve. E della figura del colpevole da reprimere, la destra non può mai fare a meno.
La Pandemia ricade invece completamente al di fuori da questo schema trattandosi di un fenomeno di sistema, un prodotto dell’organizzazione sociale e produttiva nel suo insieme. L’emergenza riguarda dunque il suo funzionamento e la sua dinamica espansiva. Esattamente come nel caso del cambiamento climatico o dell’avvelenamento ambientale.
Ma il sistema, ovverosia lo sviluppo capitalistico e il processo di accumulazione, è esattamente ciò che la destra intende conservare invariato. Non le resta dunque che la via del negazionismo o della minimizzazione di una emergenza di cui non si può servire. Anche fuori dal campo della destra, tuttavia, la genesi sistemica di questa pandemia (e di quelle che presumibilmente seguiranno) è oggetto di una generale rimozione che da un lato ha dirottato verso i comportamenti individuali (compresi i più innocui) il recinto delle restrizioni, dall’altro ha generato la falsa normalità nella quale stiamo oggi vivendo.
E tutto quello che da questa sponda ci proviene è la promessa che forse qualche correzione ci sarà. Forse. Il virus purtroppo non mostra altrettanta moderazione.
questo articolo è stato pubblicato sul manifesto del 7 agosto 2020